Porta Maggiore

porta maggiore

La famosa località sita nell’Esquilino che veniva chiamata “ad Spem Veterem“, cioè “alla Speranza Vecchia”, a causa di un tempio dedicato a questa divinità nel 477 a.C., era il punto dove convergevano otto degli undici acquedotti che alimentavano Roma: questa località corrisponde approssimativamente all’attuale Porta Maggiore (nella foto sopra). Questa porta, in origine, era la monumentalizzazione dell’Acquedotto Claudio, nel punto dove questo scavalcava la “via Labicana” e la “via Praenestina“. Le arcate dell’acquedotto assunsero l’aspetto di un vero e proprio arco di trionfo: fu naturale quindi che, quando furono incluse dall’imperatore Aureliano nel 272 d.C. nelle Mura Aureliane, come accadde anche per altri monumenti come la Piramide Cestia o i “Castra Pretoria“, fu utilizzata come porta con il nome di “porta Praenestina” o “Labicana“.

attico e spechi su porta maggiore
1 Attico della porta e spechi degli acquedotti

L’attico è suddiviso da marcapiani in tre fasce, delle quali le due superiori corrispondono ai canali degli acquedotti “Anio Novus” in alto e “Claudio” in basso (ossia la fascia centrale): nella foto 1 possiamo vedere un particolare dell’attico della porta con gli spechi dei due acquedotti. Le iscrizioni sull’attico, ripetute sulle due facciate, sono quelle originarie di Claudio in alto (sul condotto dell’Anio Novus quindi), di Vespasiano per il restauro del 71 d.C. (sul condotto dell’Aqua Claudia) e di Tito in basso, sul basamento dell’attico, per il restauro dell’82 d.C. Nel successivo restauro compiuto all’epoca di Onorio e Arcadio, negli anni 401-2, fu creato un bastione più avanzato, nel quale si aprivano due porte, la “Labicana” a destra e la “Praenestina” a sinistra: è forse di questa epoca anche la controporta, i cui resti furono scoperti nel corso di una recente sistemazione del piazzale. Questa nuova struttura fu demolita nel 1838 per volere di Gregorio XVI, il quale per motivi archeologici volle ripristinare l’aspetto primitivo della porta, riportandola all’assetto aureliano, con la restrizione dei fornici con due muri merlati. La Porta Maggiore, che deve probabilmente il suo nome al fatto che da qui si passava per recarsi a S.Maria Maggiore, è un grande arco a due fornici, con i piloni forati da finestre, inquadrate da edicole con timpano e semicolonne corinzie. Tutta la struttura, in travertino, è realizzata nel tipico bugnato rustico del periodo claudio. Il restringimento merlato dei fornici effettuato da Gregorio XVI fu demolito nel 1915 allorché il Comune di Roma sistemò il piazzale ma furono i lavori effettuati nel 1956 dall’architetto Petrignani che riportarono la Porta allo stato attuale e la piazza all’antico livello, riscoprendo il basolato della “via Labicana” e della “via Praenestina“, insieme ai resti dell’antiporta in mattoni.

sepolcro di marco virgilio eurisace
2 Sepolcro di Marco Virgilio Eurisace

Nel corso delle demolizioni avvenute nel 1838, a cui abbiamo già accennato, si ebbe la sorpresa di rinvenire un sepolcro che era rimasto incluso nella torre centrale tra le due porte: si tratta del Sepolcro di Marco Virgilio Eurisace e di sua moglie Atistia (nella foto 2). Questo sepolcro, ben visibile subito fuori Porta Maggiore, è concepito come una copia delle impastatrici che si utilizzavano in età romana: infatti Eurisace era un fornaio, come precisa anche l’iscrizione: “EST HOC MONIMENTUM MARCEI VERGILEI EURYSACIS PISTORIS, REDEMPTORIS, APPARET“, ovvero: “Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio Eurisace, fornaio, appaltatore, apparitore”. L’epigrafe sta a significare che il fornaio forniva i suoi prodotti allo Stato e che era ufficiale subalterno (apparitore) di una personalità di primo piano, forse un Sacerdote o un Magistrato. A totale conferma della sua professione, l’urna dove erano conservate le ceneri della moglie Atistia (ora al Museo delle Terme) era fatta a forma di madia da pane, o “panarium” come è definita dall’epigrafe incisavi. Inoltre un fregio che corre tutto intorno al monumento raffigura le varie fasi della panificazione: pesatura e molitura del grano, setacciatura della farina, preparazione dell’impasto, pezzatura e infornata dei pani. La tomba si può datare tra la fine della Repubblica ed i primi anni dell’Impero, intorno al 30 a.C. Il nucleo del monumento è costituito, in basso, da blocchi di tufo, in alto di opera cementizia.

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