Diverse sono le interpretazioni del toponimo di Via Panisperna: secondo alcuni discenderebbe dall’uso dei frati della chiesa di S.Lorenzo in Panisperna di fornire “panis et perna” (ossia “pane e prosciutto”) ai poveri nel giorno della festa del Santo; un’altra interpretazione vuole che derivi dalla corruzione di “palis” (spranghe) e “sterno” (“distendo”), probabilmente in riferimento a S.Lorenzo bruciato sulla graticola; un’altra parla di due famiglie, i Pane ed i Perna, che in questa zona avrebbero avuto alcune proprietà; un’altra ancora, forse la più credibile, trae origine da una bolla di Giovanni XXII, nella quale si parla della chiesa di S.Lorenzo Parasperna, un termine che sarebbe una corruzione della parola greca “para” (“presso”) e di quella derivante dal latino antico “sperno” (“confine”) e che avrebbe indicato che la chiesa era situata vicino ad un confine tra proprietà importanti e limitrofe. Al di là della giusta interpretazione del toponimo, ciò che risalta è la presenza determinante nella via dell’antichissima chiesa di S.Lorenzo in Panisperna, fondata, secondo la tradizione, sul luogo dove il martire subì il martirio della graticola. Riedificata nel 1300 da Bonifacio VIII, la chiesa fu ricostruita nel 1575 dal cardinale Sirleto che ne fu titolare durante il pontificato di Gregorio XIII. Un’ulteriore ricostruzione avvenne in occasione del passaggio del giuspatronato dei Capocci a Jacopo Colonna, che ospitò nell’adiacente monastero le suore di S.Chiara.
Attraverso due rampe si giunge ad un bellissimo portale con timpano spezzato (nella foto 1), al centro del quale è situato lo stemma di papa Leone XIII Pecci e la seguente iscrizione: “DEO IN HON B LAURENTII M“. Un cancello immette in un piccolo cortile alberato, in fondo al quale vi è l’ingresso della chiesa (nella foto 2). La facciata risale al 1574 ed è opera di Francesco da Volterra: ripartita in due ordini, è scandita da paraste e chiusa da un piccolo timpano, al di sotto del quale è situato un grande occhio. L’interno, a navata unica, ospita sepolture illustri come quelle degli Orsini e dei Colonna; sul muro di fondo nel presbiterio vi è il cinquecentesco affresco di Pasquale Cati, il “Martirio di S.Lorenzo“, mentre sulla volta vi è un altro affresco raffigurante la “Gloria di S.Lorenzo“, di Antonio Bicchierai. Dinanzi alla chiesa si trova il Palazzo Cimarra, costruito nel 1736 da Ferdinando Fuga ed originariamente abitato dal conte de Souza Holstein, ambasciatore del Portogallo, divenuto celebre per le sontuose feste e banchetti che allestiva in questo edificio.
Nell’Ottocento il palazzo divenne proprietà dei Cimarra, ma tra il 1860 ed il 1870 vi furono allogati gli zuavi; dopo il 1870 fu acquistato dallo Stato Italiano, che lo adattò a caserma militare della Legione di Antibo. Ristrutturato nel 1958, divenne sede di un comando di polizia. Al civico 207 di Via Panisperna è situato Palazzo Falletti di Villafalletto, costruito nella prima metà del Settecento per la famiglia Passarini di Roffiano, originaria di Norcia, trasferitasi a Roma nel 1715 a Roma, dove Felice Passarini fu chierico di camera di papa Benedetto XIV e conservatore in Campidoglio. L’edificio, attualmente proprietà dei Falletti di Villafalletto, consta di tre piani più un ammezzato: un portale rettangolare decorato da ghirlande e sovrastato da un balcone con mensole immette in un bel cortile ornato con una fontana inserita in una nicchia affiancata da due erme di satiro.
La fontana (nella foto 3) è costituita da una doppia valva di conchiglia, una aderente al muro e l’altra che funge da vasca poggiante su massi di tufo, dalla quale l’acqua, attraverso alcune scanalature, deborda nella sottostante vasca di raccolta semicircolare in laterizio. Di fronte, al civico 88 di Via Panisperna, è situata una casa costruita ai primi del Settecento per l’Arciconfraternita dei Carpentieri, come indica anche lo stemma apposto sopra il portale di ingresso. La facciata sviluppa su quattro piani con finestre architravate al primo, decorate con conchiglie in stucco al secondo e terzo, riquadrate al terzo; la sopraelevazione risale invece all’Ottocento. Una caratteristica è la seconda finestra di sinistra di ogni piano che risulta murata, ma senza dubbio quest’edificio va ricordato perché vi ebbe sede, prima di trasferirsi nella Città Universitaria, l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, dove gli scienziati Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Emilio Segre, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana ed altri, nell’ottobre 1934, scoprirono la radioattività provocata dai neutroni attraverso il bombardamento dell’atomo, ponendo le basi della moderna fisica nucleare.
All’angolo della via con via di S.Agata dei Goti si trova la chiesa di S.Bernardino da Siena (nella foto 4), chiamata anche S.Bernardino ai Monti, che ospitò, con il contiguo monastero (oggi Istituto Tecnico per il Turismo), le suore terziarie francescane provenienti dalla chiesa di S.Croce in Montecitorio. La chiesa presenta una facciata a due ordini, senza alcun ornamento, ad esclusione del semplice portale sormontato dall’iscrizione “IN HONOREM S.BERNARDINI SENENSIS“. L’edificio risulta edificato sui resti di un antichissimo edificio romano dalla pianta ellittica. La cupola, che non appare all’esterno, è ornata dagli affreschi di Bernardino Gagliardi con la “Gloria di S.Bernardino“, mentre nei pressi dell’altare di sinistra si può ammirare una bella tela di Giovanni Baglione con i “Ss.Antonio da Padova, Chiara ed Agata” proveniente dalla demolita chiesa di S.Croce in Montecitorio.
Al civico 28 della via è situata villa Aldobrandini (nella foto 5 il portale di ingresso), costruita nel XVI secolo per la nobile famiglia Vitelli. La trasformazione urbanistica della zona, con l’apertura di via Nazionale, sconvolse nettamente l’aspetto della villa, oltre a diminuirne l’ampiezza: oggi si presenta come un giardino pensile completamente racchiuso tra alti muraglioni. L’area sulla quale sorge la villa fino al 1600 aveva carattere suburbano, era occupata da orti e campi e la posizione elevata rendeva l’aria particolarmente pura (contrariamente ad oggi!) tanto che il cardinale Ippolito d’Este pensò di costruirvi una villa ed a tal proposito acquistò il terreno, ma morì nel 1520 senza aver realizzato il suo desiderio. Alla metà del Cinquecento il terreno fu acquistato dai Vitelli, illustre famiglia originaria di Città di Castello, i quali fecero costruire qui il palazzo e gli altri edifici dall’architetto Carlo Lambardi. Nel 1601 Clemente VIII Aldobrandini acquistò la villa e la donò a suo nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini, il quale affidò a Giacomo Della Porta la ristrutturazione della villa. Questi realizzò un nuovo ingresso carrozzabile sull’attuale largo Magnanapoli, una nuova facciata sul giardino che verrà decorata con rilievi, busti e sculture antiche, nuove scale interne e la riqualificazione del cortile preesistente con logge decorate da pitture. Il dislivello del terreno portò ad un differente numero di piani, tre su via Panisperna, due sul lato ovest: mentre il pianterreno era adibito ai servizi, i piani superiori erano sontuosamente decorati e soprattutto ricchi di opere d’arte. La collezione di capolavori raccolta dal cardinale comprendeva dipinti di Tiziano, del Correggio, del Parmigianino, ora dispersi in vari musei, e le celeberrime “Nozze Aldobrandine“, un dipinto murale romano del I secolo d.C. scoperto per caso sull’Esquilino: l’opera oggi si trova nella Biblioteca Vaticana perché fu venduta a Pio VII per 10.000 scudi. Nella pianta di Roma del 1630 dell’incisore G. van Schayck, il nuovo edificio presentava due corpi di fabbrica principali, uno con fronte sul giardino, l’altro ad angolo sull’attuale via Panisperna, con un aspetto esterno che resterà sostanzialmente uguale sino ad oggi; altri due corpi di fabbrica minori chiudevano il complesso intorno ad un cortile interno e ad una torre preesistente dal tempo dei Vitelli. Nel Settecento il complesso passò ai Doria-Pamphilj ed ai Borghese, un periodo durante il quale la villa subì la maggiore dispersione del patrimonio pittorico ed ebbe anche una notevole fase di declino, dalla quale si riebbe soltanto nel periodo napoleonico, tra il 1811 ed il 1814, quando fu confiscata dal conte generale Sesto Miollis, governatore francese di Roma e degli Stati Pontifici, il quale ne fece la sua splendida residenza. Il generale, amante del fasto, della ricchezza, della musica e delle belle donne, fu l’artefice della rinascita della villa. Una celebre tela, intitolata “Virgilio che legge l’Eneide davanti a Livia Ottavia“, fu commissionata a Jean-Auguste Dominique Ingres, che la terminò nel 1812, e collocata in una stanza da letto. Il generale donò alla villa anche una splendida collezione di quadri del Cinquecento, del Seicento e del Settecento, oltre a moltissime sculture collocate sia nel parco sia nel palazzo. Per la scelta delle sculture e per il loro restauro Miollis si avvalse dell’autorità indiscussa di Antonio Canova. Dopo il 1830 la villa rientrò in possesso degli Aldobrandini-Borghese, i quali provvidero a nuove ristrutturazioni della villa: al 1876 infatti risalgono i due padiglioni su via Nazionale e su largo Magnanapoli. Altri fabbricati furono aggiunti nel Novecento da Clemente Busiri Vici e da Marcello Piacentini. Come già menzionato, l’apertura di via Nazionale sconvolse tutta la struttura della villa: l’altezza del muro di cinta fu aumentata, il portone del Lambardi su largo Magnanapoli venne chiuso con un finestrone cieco e fu aperto l’attuale ingresso su via Panisperna, costituito da un grande portale ad arco fiancheggiato da due solenni colonne sovrastate da due mezzi timpani.
Al di là del portale si apre il giardino inferiore con un ninfeo (nella foto 6) originariamente ricavato nel muro di terrapieno del giardino, demolito nel 1920 per la costruzione di nuovi fabbricati e poi ricostruito qualche anno dopo. Il ninfeo è costituito da un emiciclo con balaustra superiore arricchita da colonne e statue. Al centro della balaustra vi è un’edicola con una statua di Venere acefala situata al centro di un fornice ad arco, sopra il quale vi sono collocati due putti e lo stemma degli Aldobrandini. Sotto la statua vi è posta una navicella con due polene alle estremità ed altri elementi decorativi a stella appartenenti allo stemma della nobile famiglia. Al di sotto, entro il muro di sostruzione, vi sono tre nicchie con fondo a finte rocce. Tra le statue dell’emiciclo quelle meglio conservate sono le due collocate all’estremità, una raffigurante “Atteone” (acefala) e l’altra un personaggio mitologico, molto probabilmente “Ercole“. L’accesso al giardino superiore avviene invece tramite un ingresso costruito nel 1938 da Cesare Valle in via Mazzarino, attraverso ruderi di magazzini del I secolo d.C. disposti originariamente su file parallele ed appartenuti a Nevio Clemente. Nel 1929 la villa fu acquistata dallo Stato, anche per evitare che fosse venduta a privati per fini speculativi: il palazzetto principale fu destinato a sede dell’Istituto per l’Unificazione del Diritto Privato, mentre il giardino venne ceduto al Comune di Roma per fini di pubblica utilità.