Via di S.Stefano del Cacco

via di s.stefano del cacco

Via di S.Stefano del Cacco collega, con una caratteristica quanto particolare forma a T, ben 3 vie: via degli Astallivia del Gesù e via del Pie’ di Marmo. Il nome deriva dalla chiesa che qui si trova, S.Stefano del Cacco, costruita da Pasquale II nel IX secolo, poi ampliata nel 1160 con l’aggiunta del portico e del campanile romanico.

statuetta del dio thot
1 Statuetta del dio Thot

Il suo vero nome sarebbe “S.Stefano de pinea” (dalla pigna che, allusiva al nome del rione, si trova sulla sommità del campanile) ma è popolarmente chiamata “del Cacco” dal ritrovamento, nel Medioevo, di una statuetta del dio Thot (nella foto 1), la divinità egizia della luna, della sapienza, della scrittura e della magia nelle sembianze di un babbuino: il popolino la chiamò “macacco” (ossia macaco), in seguito abbreviato nel dialetto romanesco in “cacco”. La statuetta è oggi visibile presso il Museo Gregoriano Egizio dei Musei Vaticani.

santo stefano del cacco
2 S.Stefano del Cacco

Nel 1563 la chiesa (nella foto 2) fu concessa da Pio IV ai Padri Silvestrini che dapprima vi costruirono il convento inglobando il portico e poi la ristrutturarono completamente; l’attuale aspetto barocco le fu conferito dalle successive trasformazioni avvenute tra il 1638 ed il 1643 dall’architetto Paolo Marucelli (conosciuto anche come Maruscelli). Tra il 1857 ed il 1865 venne decorata la navata centrale e realizzato il nuovo pavimento, per il quale furono utilizzati i marmi provenienti dalla basilica di S.Paolo fuori le mura, andata distrutta nell’incendio del 1823. La semplice facciata, incorporata nell’edificio conventuale, è a due ordini di paraste ed è conclusa da un timpano triangolare; il bel portale in travertino è sormontato da un timpano triangolare e presenta la seguente epigrafe dedicatoria: “D(ICATUM) STEPH(ANO) PROT(OMARTYRI) CONG(GREGATIO) MONAC(HORUM) SILVESTRINORUM”, ovvero “Dedicata a S.Stefano Protomartire, la Congregazione dei Monaci Silvestrini. Ai lati del portale un tempo erano situati i due leoni di basalto, provenienti dal “Tempio di Iside”, e successivamente posti da Michelangelo alla base della Cordonata. Dell’antica chiesa romanica oggi rimane soltanto il campanile romanico, non più visibile dall’esterno perché inglobato nel 1607 nel Convento dei Padri Silvestrini. Dei suoi quattro piani sono ora visibili solo gli ultimi tre: sono aperti a trifore, per la maggior parte tamponate. I piani sono scanditi da cornici costituite da fasce di laterizi, a denti di sega ed orizzontali, separati da una fila di modiglioni. L’edificio si conclude con una cuspide piramidale sulla quale è posta, come sopra menzionato, una pigna di marmo bianco, a cui di deve l’antico appellativo “de Pinea“. L’interno della chiesa, a forma basilicale, presenta tre navate e numerose opere d’arte, come l’affresco di Perin del Vaga raffigurante “Cristo in Pietà” e nell’abside il “Martirio di S.Stefano” di Cristoforo Casolani. In questa zona si estendeva il più importante santuario egizio a Roma, dedicato a Iside e Serapide, conosciuto anche come “Iseo Campense”, una monumentale testimonianza del cosmopolitismo dei culti a Roma. Il santuario, costruito nel 43 a.C., si estendeva su un’area di circa m 220 x 70, oggi compresa tra via del Seminariopiazza di S.Macutovia di S.Ignaziopiazza del Collegio Romano, via di S.Stefano del Cacco, via del Gesù, un breve tratto di via di S.Caterina da Siena per ricongiungersi a via del Seminario attraverso l’area oggi occupata dall’abside di S.Maria sopra Minerva. Oggi siamo in grado di conoscere la sua ubicazione e la sua struttura grazie alla pianta marmorea della Forma Urbis Severiana.

iseo campense
3 Ricostruzione dell’Iseo Campense di Jean-Claude Golvin

Con l’aiuto della mappa 3 (una ricostruzione molto fedele del complesso dell’archeologo ed architetto francese Jean-Claude Golvin) iniziamo la nostra visita partendo dalla parte meridionale, dove ci troveremmo dinanzi al Serapeo 1, costituito da un’esedra semicircolare, scoperta e porticata, nella quale, al centro del lato curvo, si apriva il tempio dedicato a Serapide, che ospitava sulla facciata una statua del dio Thot (nella foto 1): il tempio, infatti, corrisponde esattamente alla collocazione odierna della chiesa di S.Stefano del Cacco. Oggi si ritiene che da qui provenga anche il colossale piede marmoreo (nella foto in alto sotto il titolo) ritrovato nel XVI secolo ed oggi collocato in questa via, forse pertinente proprio all’acrolito di Serapide. Originariamente il piede fu posto nella via che da esso prende il nome, ovvero via del Pie’ di Marmo, e vi rimase fino al 1878 quando, in occasione del corteo funebre di Re Vittorio Emanuele II diretto al vicino Pantheon, fu spostato, affinché non ne ostacolasse il passaggio, nella posizione attuale, all’angolo tra via del Pie’ di Marmo e via di S.Stefano del Cacco. Il percorso dell’odierna via del Piè di Marmo ripercorre invece l’area occupata da una piazza rettangolare e porticata 2, aperta, sui lati brevi, con due archi: ad ovest il cosiddetto “Arco Quadrifronte” 4, alto circa metri 21 e largo 11, che metteva in comunicazione il santuario con gli adiacenti “Saepta Iulia” attraverso il “Portico di Meleagro” (che correva esattamente lungo l’attuale via del Gesù), mentre ad est si apriva l’Arco di Iside 3, nel Medioevo denominato “Arco di Camigliano“, del quale possiamo ancora ammirarne un pilastro nell’edificio posto ad angolo con piazza del Collegio Romano. Al centro di questa piazza, la Forma Urbis mostra un elemento quadrato ed uno circolare: il primo è riconducibile alla base su cui era situato un obelisco, isolato in quanto di dimensioni maggiori degli altri, e probabilmente corrispondente a quello oggi situato a piazza Navona. L’elemento circolare invece corrisponderebbe ad una fontana, forse adornata con una pigna bronzea che ha dato il nome al rione ed oggi situata nel Cortile della Pigna presso i Musei Vaticani. Sempre da questa piazza provengono le due grandi statue del Nilo e del Tevere, oggi rispettivamente ai Musei Vaticani ed al Louvre, i due leoni posti anch’essi nel Cortile della Pigna ma dei quali possiamo ammirarne le copie presso la Fontana del Mosè e quelli alla base della Cordonata. Oltrepassata la piazza si apriva un viale monumentale 5 (il dromos) fiancheggiato da statue di divinità, di animali e, come evidenziato nella pianta severiana, da una serie di punti troppo distanziati per essere colonne: si tratta degli altri obelischi ritrovati in varie occasioni nella zona ed oggi situati in piazza della Rotonda, a villa Celimontana, in viale delle Terme di Diocleziano, in piazza della Minerva, nel giardino di Boboli a Firenze (una copia è situata nel parco di villa Medici, dove in passato vi era l’originale) e ad Urbino, davanti al Palazzo Ducale. Alla fine del viale era situato il Tempio di Iside 6, il cuore dell’Iseo Campense, e che, grazie ad una moneta dell’età di Vespasiano, sappiamo fosse tetrastilo, con una raffigurazione della dea a cavallo della stella Sirio scolpita sul frontone e che sculture egiziane, sorrette da basamenti, inquadravano la scalinata principale. La statua di culto era raffigurata nell’atto di libare con un recipiente nella mano destra: non è da escludere la sua identificazione con “Madama Lucrezia”, una delle “statue parlanti” di Roma. L’Iseo subì persecuzioni da parte di Augusto e di Tiberio, tanto che quest’ultimo lo avrebbe addirittura distrutto e gettato i simulacri nel Tevere: fu ricostruito prima da Caligola e poi, dopo la distruzione dovuta al grande incendio dell’80 d.C., in forme grandiose da Domiziano e da Alessandro Severo.

casa a via di s.stefano del cacco
4  Casa al civico 19

Proseguendo la visita di Via di S.Stefano del Cacco si possono notare alcune costruzioni molto antiche, come quella situata al civico 19 (nella foto 4) che si apre con un grande portale bugnato, o la casa cinquecentesca che oggi ospita il teatro dedicato allo scomparso scrittore Ennio Flaiano.

teatro flaiano
5 Teatro Flaiano

Il teatro (nella foto 5) fu inaugurato nel novembre del 1928 con il nome di “Teatro dei Fanciulli” dal Cavalier Gioacchino Flamini, con spettacoli che avevano come titolo “Cenerentola”, “Cappuccetto Rosso” o “Il Gatto con gli Stivali”. Nel 1944 cambiò nome in “Teatro Arlecchino”, con la direzione artistica di Aldo Fabrizi, divenendo così ritrovo di artisti e intellettuali come Anna Magnani, Luchino Visconti, Bice Valori, Monica Vitti, Valeria Moriconi. Nel 1969 divenne “Teatro Ennio Flaiano”, in omaggio allo scrittore pescarese che qui aveva rappresentato, insieme ad altri intellettuali dell’epoca, il suo “Teatro tascabile”. Nel 1990 la gestione passò dal “Teatro di Roma” a “Teatro e Società”, nella persona di Pietro Mezzasoma, che lo ristrutturò completamente e lo gestì fino al 1996, anno in cui venne affidata la direzione artistica a Maurizio Costanzo: in questi anni si alternarono artisti del calibro di Valeria Moriconi, Anna Proclemer, Ottavia Piccolo, Paolo Poli, Giorgio Albertazzi, Leopoldo Mastelloni. Nel 1997 il teatro venne rilevato dalla Pro.s.i.t. di Gabriella Callea che ne affidò la direzione artistica a Rossana Siclari.

fontana a via di s.stefano del cacco
6 Fontana

Infine, quasi al termine di Via di S.Stefano del Cacco, ad angolo con via del Gesù, incontriamo la facciata posteriore di palazzo Altieri: qui, accanto al bel portale del palazzo, è situata una fontana (nella foto 6) costituita da uno splendido sarcofago marmoreo di epoca romana finemente decorato con sculture a bassorilievo raffiguranti, sul frontale, due amorini in volo ad ali spiegate che sostengono un clipeo con testa di Medusa, affiancati da altri due putti alati; in basso due scoiattoli che mangiano la frutta uscita da due vasi rovesciati, un arco ed una faretra. Il sarcofago, sollevato su due sostegni di travertino, riceve acqua da due fistole a semi-calotta stellata poste all’estremità del prospetto architettonico decorativo al quale la fontana è addossata e che è formato da un’epigrafe racchiusa in una cornice mistilinea sovrastata dallo stemma della famiglia Altieri. La fontana si trovava, fin dalla metà del Seicento, nel cortile di palazzo Altieri, poi, come ricorda l’iscrizione, fu “TRASFERITA DALL’INTERNO A PUBBLICO USO L’ANNO MDCCCLXXIV (1874)”.