Alluvioni a Roma

alluvioni a roma

Per secoli le Alluvioni a Roma causate dalle piene del Tevere sono state una minaccia mortale: ancora oggi molte lapidi indicano il livello, a volte davvero impressionante, raggiunto dalle acque. Gli allagamenti avvenivano o per il rigurgito delle fogne che terminavano nel fiume o direttamente per lo straripamento delle acque dalle sponde. Le inondazioni del Tevere si verificarono fin dai tempi antichi, anche se furono documentate storicamente solo dalla fine del V secolo a.C.: Livio narra che nel 189 a.C. il Tevere inondò la zona del Campo Marzio per ben 12 volte. Da Augusto (che istituì i “Curatores riparum et alvei Tiberis“) a Traiano, da Adriano ad Aureliano (l’ultimo imperatore che, sembra, si sia occupato della “cura Tiberis”) furono studiati i modi per tentare di risolvere il problema delle inondazioni. In epoca repubblicana si verificarono ben 23 inondazioni tra il 414 a.C. ed il 44 a.C., altre 6 in epoca imperiale tra il 27 a.C. ed il 12 d.C. L’imperatore Claudio realizzò presso “Portus“, alle foci del Tevere, quel canale, ristrutturato e poi ampliato da Traiano, oggi noto come canale di Fiumicino, proprio per favorire lo sfogo delle acque verso il mare, riducendo così la pressione delle piene nel tratto urbano. Naturalmente non fu un rimedio risolutivo, come dimostrò di lì a poco l’inondazione del 105, ma è un fatto che statisticamente le inondazioni diminuirono: nell’arco di 385 anni, tra il 15 ed il 398 d.C., si registrarono “soltanto” 15 alluvioni, ovvero una ogni 25 anni circa. Ancor meno furono quelle avvenute nel Medioevo, appena 7 tra il 500 ed il 1100. Il secolo delle grandi alluvioni fu il Cinquecento, perché tra il 1495 ed il 1606 si verificarono ben 7 piene eccezionali: tra di esse, tragica quella dell’8 ottobre 1530, che causò 3.000 morti e distrusse più di 300 case. Non da meno furono quelle del 15 settembre 1557, con altri 3.000 morti, gravissimi danni a chiese ed edifici, oltre a montagne di fango che furono rimosse addirittura dopo diversi anni, e quella del 24 dicembre 1598. I morti causati dalle alluvioni, inoltre, non terminavano con l’abbassamento delle acque e con il ritorno del loro livello alla normalità: le zone prossime al fiume continuavano ad essere apportatrici di malattie e morte per molto tempo dopo. Le abitazioni infatti spesso rimanevano sommerse dalle acque fino al terzo piano e dopo era difficile risanare dalla melma e dall’umidità queste case degradate e spesso prive di sole: per questo motivo spesso alle inondazioni seguivano periodi di carestie e pestilenze. Per le piene storiche si riuscì a collegare le altezze idrometriche dei livelli di piena con gli effetti che ne seguivano: a 13 metri l’acqua raggiungeva l’occhialone di ponte Sisto e si avevano i primi allagamenti per il rigurgito delle fogne; a 14 metri iniziavano invece le tracimazioni; a 16 metri si avevano le vere e proprie inondazioni. Le Alluvioni a Roma avvenute nel Seicento non furono catastrofiche, anche se si verificarono 5 piene eccezionali, ma perlomeno non causarono molti danni e vittime. Una piccola nota per l’alluvione del 1637: la tradizione vuole che papa Urbano VIII rimase talmente impressionato da una barca che venne ad arenarsi su piazza di Spagna a seguito della piena, da volerne far restare perpetua memoria (anche se poi, in verità, la Barcaccia fu soltanto frutto della genialità del Bernini). Il problema Alluvioni a Roma fu affrontato anche da letterati, come l’abate ligure Filippo Maria Berardi, che nel 1663 pubblicò un libro dal titolo emblematico, “Il Tevere incatenato“, ovvero l’arte di frenare le acque correnti, nel quale proponeva la deviazione dell’alveo tiberino. Il Settecento fu un secolo senza gravi inondazioni, come risulta anche dalla mancanza di lapidi commemorative, che cominciarono ad essere disposte sui muri nel 1230, come quella affissa, ma poi andata perduta, sulla facciata dell’antica chiesa della Traspontina per volere di Papa Gregorio IX. Le lapidi furono affisse fino al 1937 per un totale di 122, anche se oggi ne rimangono soltanto 88: alcune rievocavano soltanto gli eventi dell’alluvione, mentre altre indicavano il periodo (con giorno, mese ed anno) con una linea del livello raggiunto dalle acque, a volte evidenziato da una manina che ne indicava l’altezza. La più antica tuttora esistente è quella situata in via Arco dei Banchi (anche se originariamente era situata sulla facciata della chiesa dei Ss.Celso e Giuliano) ed è datata 1277. Altre lapidi sono sparse per la città: in piazza della Minerva, in via Borgognona o in piazza di S.Eustachio, mentre sono veri e propri idrometri quelli situati in largo S.Rocco e in piazza del porto di Ripetta, entrambi originariamente situati proprio sul porto di Ripetta, un tempo punto di riferimento in quanto situato approssimativamente a livello del mare. Le ultime grandi alluvioni risalgono all’Ottocento, in particolare quella tra il 30 gennaio ed il 2 febbraio 1805, con l’invasione delle zone da Ripetta al Corsodella Rotonda, di piazza Navona, alla Lungara ed al Ghetto. Ma sicuramente tragica fu quella del 28 dicembre 1870, con le acque che raggiunsero 17,22 metri, livello che non si raggiungeva dal 1637. Le vittime ed i danni causati dalla piena impressionarono talmente l’Italia, che aveva appena acquisito Roma come sua capitale, che Re Vittorio Emanuele, accorso nella città dove ancora non aveva messo piede, decise di adottare rimedi risolutivi. Nel 1871 l’allora Ministro dei Lavori Pubblici Giuseppe Gadda nominò una commissione di ingegneri idraulici con il compito di esaminare sul luogo le condizioni del Tevere. Tra i diversi progetti che ne scaturirono, nel novembre 1875 fu approvato il progetto dell’ingegnere Raffaele Canevari che prevedeva, in particolare, la costruzione di muri di contenimento, la rimozione dei ruderi dal fondo dell’alveo, l’ampliamento del ponte S.Angelo. I lavori iniziarono nel 1876 e terminarono nel 1926, anche se nel frattempo il fiume non perse l’occasione di inondare la città in altre due occasioni, nel 1900 (nella foto in alto sotto il titolo il livello raggiunto dalle acque dinanzi al Pantheon) e nel 1915. I muraglioni, tanto criticati dal punto di vista estetico, indubbiamente si dimostrarono con il tempo veramente efficaci, seppure a scapito di una sostanziale modifica di tutto l’ambiente tiberino, tra la demolizione di paesaggi e ambienti irripetibili di contorno e di strutture architettoniche, come i porti di Ripettadi Ripa Grande o Leonino. Allontanate le minacce imprevedibili, il Tevere finì per seguire una sua storia, estraneo oramai sotto molti aspetti al contesto cittadino, perdendo in definitiva il suo millenario rapporto con Roma. Durante l’ultima piena del 1937 i muri di sponda contennero molto bene la corrente: pur raggiungendo livelli record, le acque causarono soltanto modesti allagamenti.

alluvione del 1937 a ponte milvio
1 Alluvione del 1937 presso ponte Milvio

Nella foto 1 possiamo notare proprio la piena del 1937 presso ponte Milvio: da allora le piene del Tevere non hanno più costituito motivo di timore per Roma. Riportiamo qui un editto successivo alla piena del 1647 che evidenzia gli effetti dell’inondazione e “le opere di risanamento” adottate dallo Stato Pontificio: “Che si nettano le Case, Cantine, e Strade dall’Acque & immonditie del fiume. Di ordine di N.Sig. s’ordina & commanda a tutti, e singole persone habitante nella Iurisditione di Borgo, che debbano dopo la pubblicatione del presente Editto fare nettare & espurgare tutte le cantine dove vi è l’acqua & immonditie portate dal fiume, & così anco le strade avanti le lor case fra tre giorni prossimi, sotto pena di scudi cinquanta d’applicarsi alla Camera di Borgo & altre pene etiam corporali ad arbitrio d’esequirsi inremissibilmente. Et nella medesima pena incorreranno li padroni quanto li pigionanti, quali saranno tenuti in evento, che li padroni non esequissero in detto tempo d’esequirsi in termine d’altri tre giorni, & non gli s’ammetterà scusa alcuna & alli pigionanti si dà facultà di potersi reimborsare quel tanto, che haveranno speso per dette espurgationi con retenerselo nella pigione che doveranno pagare. In oltre commanda che le robbe naufragate trovate nella detta iurisditione si debba subbito dar notitia & relatione nell’offitio criminale di Borgo, sotto pena di scudi venticinque d’applicarsi come sopra. E vole che il presente Editto affisso nelli luoghi soliti di Borgo astringi ciascuno come se li fosse personalmente intimato. dat. hac die 10 decembris 1647“. Qui di seguito riportiamo l’elenco delle inondazioni avvenute a Roma dal 1230 in poi: 2 febbraio 1230, 6 novembre 1277 (oltre i 16 m), 9 novembre 1379 (17 m), 30 novembre 1422 (17,32 m), 8 gennaio 1476 (17,41 m), 5 dicembre 1495 (16,88 m), 13 novembre 1514 (oltre i 16 m), 8 ottobre 1530 (18,95 m), 15 settembre 1557 (18,90 m), 10 novembre 1589 (oltre i 16 m), 24 dicembre 1598 (19,56 m), 23 gennaio 1606 (18,27 m), 22 febbraio 1637 (17,55 m), 7 dicembre 1647 (16,41 m), 5 novembre 1660 (17,11 m), 6 novembre 1686 (16 m), 2 febbraio 1805 (16,42 m), 10 dicembre 1846 (16,25 m), 28 dicembre 1870 (17,22 m), 2 dicembre 1900 (16,17 m), 15 febbraio 1915 (16,08 m), 17 dicembre 1937 (16,90 m).