Monte Testaccio

monte testaccio
Monte Testaccio visto da Google Earth

Il nome di Monte Testaccio (nella foto sopra) deriva dal latino “testa“, ossia coccio, in riferimento al materiale con il quale fu artificialmente costituito, cioè le anfore scartate dal limitrofo insediamento annonario (gli Horrea). La calce è l’unico materiale che tiene insieme i detriti fittili, sui quali la presenza di uno strato di terra ha permesso il consolidamento di vegetazione, e conferisce alla collina stabilità ed aspetto di rilievo naturale. Ha un perimetro di 700 metri circa, un’altezza massima sul piano di 36 metri ed una superficie di circa 22.000 metri quadrati. Le datazioni consolari, insieme a molte altre indicazioni commerciali reperibili sui frammenti, consentono di datare la maggior parte degli scarichi fra il 140 d.C. e la metà circa del III secolo. I tre quarti dei frammenti sono anfore olearie betiche (la Betica fu provincia romana, corrispondente all’attuale Andalusia), mentre i rimanenti frammenti sono anfore olearie africane.

i cocci del monte testaccio
1 I “cocci” ammassati

Nella foto 1 possiamo notare i frammenti sovrapposti l’uno sull’altro, a formare quasi un muro. La croce, collocata sulla sommità il 24 maggio 1914 (visibile nella foto 2), ricorda che questo luogo era il punto di arrivo di una celebrazione in occasione della “via Crucis“: il corteo partiva da una casa scomparsa in via della Bocca della Verità 37 (che ancora nell’Ottocento conservava il nome tradizionale di “Locanda della Gaiffa“), giungeva alla Casa dei Crescenzi (che raffigurava la casa di Pilato), proseguiva per S.Maria in Cosmedin, attraversava l’Arco di S.Lazzaro per terminare al Monte Testaccio, chiara allusione al Monte Calvario.

versante orientale del monte testaccio
2 Versante orientale con la Croce

Ma la memoria del monte e del sito circostante è legata soprattutto alle feste del carnevale, il “ludus Testaccie“, documentato per la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e rinnovato ogni anno fino al 1470 circa, allorché Paolo II lo trasferì in “via Lata“. I giochi che vi si svolgevano, assai movimentati e cruenti, consistevano nel lancio di maiali, tori e cinghiali giù dal monte dove i “lusores” se li contendevano per ucciderli con la spada e venirne in possesso. Per il buon funzionamento dei giochi molte città soggette (Tivoli, Velletri, Cori, Terracina) consegnavano annualmente un tributo, inviando a Roma “jocatores” e “lusores“. All’Università degli ebrei erano imposte, invece, le spese generali, consistenti in 1130 fiorini che versavano alla Camera Apostolica, con l’esonero, però, di prestare la persona soggetta a ignobili lazzi, come il caso, rammentato da un Codice Vaticano, dell’anziano chiuso in una botte chiodata fatta ruzzolare dalla cima del colle. Nel Seicento il monte cambiò volto, e precisamente dal 17 ottobre 1670, quando certi Pietro Ottini e Domenico Coppitelli acquistarono 200 canne di terreno intorno al colle per aprirvi “grottini” destinati ad osterie che via via aumentarono di numero. La speculazione privata vi si gettò a capofitto per trasformarlo in un enorme frigorifero, ripostiglio di vini e vivande.

versante occidentale del monte testaccio
3 Versante occidentale

Dalle feste medioevali dei tori e dell’albero della cuccagna si passò al sollazzo bacchico e gastronomico delle Ottobrate romane: nella foto 3 possiamo osservare il versante occidentale del monte che prospetta sul Mattatoio, tuttora animato da numerose attività commerciali, mentre nella foto 2 il versante orientale. Dagli inizi del Seicento e fino alla metà del Settecento il Monte Testaccio servì anche, come documenta un’incisione del 1628, come poligono di tiro dei bombardieri di Castel S.Angelo, puntando a tre quarti di altezza del fianco est, dove si riscontra effettivamente un forte avvallamento irregolare. È poco prima del Settecento che appaiono le prime testimonianze di interessamento da parte delle autorità cittadine e del pontefice Benedetto XIV a salvaguardare l’integrità del monte come prezioso reperto archeologico, vietando e punendo l’asportazione di terra e cocci, il pascolo ed ogni tipo di degrado. Durante la Seconda Guerra Mondiale vi fu installata anche un’intera batteria antiaerea, smantellata alla fine del conflitto, ma tuttora visibile negli avanzi di quattro piattaforme per cannoni antiaerei.

> Vedi Cartoline di Roma