Il nome di questa via, che conserva un’atmosfera tipicamente medioevale, deriva dagli antichi “silices” (un tipo di roccia, omogenea, compatta e costituita di silice o selce) di lastricato romano ritrovati durante un restauro in questa zona intorno all’anno Mille: probabilmente sono tracce dell’antichissimo “clivus Suburanus“, che nella parte iniziale ricalcava esattamente via in Selci, proseguiva fino alla “porta Esquilina” e di lì, forse già con il nome di “via Labicana“, fino a Porta Maggiore. Sul “clivus Suburanus” si apriva l’ingresso principale, preceduto da una gradinata, del “Portico di Livia“, la moglie di Augusto, alla quale l’imperatore dedicò questo edificio fatto costruire tra il 15 ed il 7 a.C. al posto della splendida casa ereditata da Vedio Pollione. Come risulta dai frammenti della pianta severiana, l’edificio, lungo circa m 120 e largo m 95, era situato, con i lati brevi, tra il “clivus Suburanus” (approssimativamente nel punto in cui oggi sorge la chiesa di S.Lucia) ed il parallelo “clivus Sabuci” (oggi corrispondente alla via delle Sette Sale). Era costituito da un doppio colonnato su quattro lati intorno ad una grande piazza rettangolare, al centro della quale si trovava quello che molti interpretano come l’Ara della Concordia, un altare fortemente voluto da Livia per celebrare la sua unione con Augusto. Nel Medioevo l’attuale via in Selci era denominata “clivo di S.Martino“, dal nome della chiesa alla quale conduce, ed in seguito anche “via di S.Lucia in Selci“, dal nome della chiesa che qui è situata. Questa antichissima diaconia, risalente ai tempi di papa Simmaco (498-514), fu costruita per la cura dei malati e l’assistenza ai poveri; fu poi restaurata da Onorio I e da Leone III. Ne fu titolare anche il cardinale Cencio Savelli, detto Camerario, divenuto poi papa con il nome di Onorio III: il titolo cardinalizio rimase alla chiesa fino al XVI secolo allorché fu abolito da papa Sisto V.
La diaconia paleocristiana però non corrisponde alla chiesa attuale, ma era situata nella parte alta della via, poco prima che questa si apra sulla piazza di S.Martino ai Monti, dove oggi una grande facciata (nella foto 1) conserva la forma di un portico con quattro pilastri in travertino, incassati nelle mura, e sormontati da cinque archi di scarico, mentre, all’altezza del secondo piano, piccole finestre rettangolari sono situate al centro di cinque antiche finestre ad arco, in seguito murate. Si potrebbe supporre che proprio questi archi di scarico siano quanto resta del “Portico di Livia“, sfruttati nel V secolo per l’insediamento dall’antica diaconia e successivamente, nel XIII secolo, per l’edificazione del monastero, che accolse prima i frati di S.Benedetto, poi i padri Certosini ed infine, dal 1534, le suore Benedettine, alle quali si aggiunsero, intorno al 1570, le suore Agostiniane.
Nel 1604 le suore provvidero ad un grande restauro di tutto il complesso: Bartolomeo Bassi fu incaricato del rifacimento dell’antico edificio di clausura, che nel frattempo si era ingrandito incorporando alcuni edifici confinanti, mentre Carlo Maderno si occupò della costruzione della nuova chiesa di S.Lucia. Un bel portale con timpano spezzato (nella foto 2), poggiante su due mensole a volute, anche questo opera di Carlo Maderno, permette l’accesso sia alla chiesa, sia al monastero annesso.
Varcato l’ingresso, una breve scalinata conduce in un androne dove si trova ancora un’antica “rota lignea” (nella foto 3) che aveva la stessa funzione della corrispondente “ruota degli esposti” situata presso l’Ospedale S.Spirito, ovvero affidare al convento, in totale anonimato, i neonati abbandonati. L’interno della chiesa, a navata unica, conserva una cantoria del Borromini ed una preziosa immagine di “Dio Padre” del Cavalier d’Arpino; nella Cappella Landi è situato anche un bellissimo altare ritenuto fra le prime opere del Borromini.
Al civico 94 della via si trova la Casa dell’ex Monastero delle Paolotte (nella foto 4), un edificio settecentesco costruito da Francesco Fiori per le suore dell’ordine di S.Francesco da Paola, dette appunto “Paolotte”. Nel 1744, durante i lavori di edificazione, fu ritrovato un complesso di antichi oggetti in oro, argento e marmo che facevano parte di un corredo nuziale di “Secundus e Proiecta“, della celebre famiglia degli Aproniani, databile alla fine del IV secolo in base all’iscrizione sepolcrale che papa Damaso compose nel 384 per la giovane defunta. Il prezioso materiale fu subito alienato dalle monache e purtroppo andò disperso. L’edificio, espropriato dallo Stato Italiano dopo il 1870, fu completamente trasformato all’interno ed attualmente è sede di un Comando dell’Arma dei Carabinieri.
Accanto al monastero, ad angolo di Via in Selci con Via di Monte Polacco, è situata la chiesa dei Ss.Gioacchino e Anna (nella foto 5), iniziata nel 1589 ma terminata soltanto nel Settecento, ovvero quando vi fu annesso il Monastero delle Paolotte. La chiesa è introdotta da una gradinata con una facciata suddivisa da paraste corinzie in alto stilobate e doppio timpano; l’interno, a croce greca, è ricco di elementi barocchi e tardo rinascimentali: notevoli i fregi e gli stucchi che adornano le pareti e la cupola superiore.