Il lungo muro che corre lungo il lato destro di Via Ventiquattro Maggio (nella foto sopra) sembra quasi voler avvolgere e proteggere un altro gioiello del panorama architettonico di Roma, ovvero la bellissima Villa Pallavicini-Rospigliosi, commissionata nel 1605 all’architetto Flaminio Ponzio dal cardinale Scipione Borghese Caffarelli, nipote di Papa Paolo V Borghese, per la costruzione della quale si demolirono gran parte dei resti delle Terme di Costantino, la chiesa di “S.Salvatore de Corneliis” ed il convento annesso. Alla morte del Ponzio, avvenuta nel 1613, subentrò Carlo Maderno, il quale portò a termine l’opera. A Giovanni Vasanzio invece si deve la realizzazione del giardino su tre terrazzamenti digradanti verso l’attuale Largo Magnanapoli, ognuno con un Casino riccamente decorato: sulla prima terrazza il celebre “Casino dell’Aurora”, sulla seconda, posta dietro il palazzo, il ninfeo detto “Il Teatro” con le statue del Po e del Tevere e la “Loggia delle Muse”, ossia quel Casino ornato dagli affreschi del Concerto di Orazio Gentileschi ed Agostino Tassi; sulla terza terrazza il Casino affrescato con le “Storie di Psiche”, andato poi distrutto per l’apertura di via Nazionale.
Il cardinale, famoso per la sua grande passione per le opere d’arte, impegnò su questo complesso ingenti somme di denaro, ma gli alti costi di manutenzione, uniti ai grandi sforzi economici per il palazzo Borghese e per la vigna al Pincio (l’odierna Villa Borghese), lo convinsero a vendere Villa Pallavicini a Giovanni Angelo Altemps nel 1616. Nel 1619 la proprietà passò alla famiglia Bentivoglio, quindi nel 1633 ai Lante, nel 1641 al cardinale Giulio Mazzarino e, dopo il trasferimento del cardinale a Parigi, agli eredi Mancini, che vi fecero alcuni lavori di ampliamento: qui soggiornò spesso Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino ed amante di Luigi XIV, della quale probabilmente è il busto marmoreo apposto sulla facciata della chiesa dei Ss.Vincenzo e Anastasio. Nel 1704 Villa Pallavicini fu acquistata dai principi Pallavicini Rospigliosi (tuttora proprietari), che l’ampliarono ulteriormente e vi collocarono la loro collezione di dipinti, una delle più importanti di Roma. Villa Villa Pallavicini-Rospigliosi è preannunciata da un alto muro con finestre cieche e con due portali ad arco bugnato (dei quali uno chiuso), sovrastati da uno stemma che raccoglie gli emblemi araldici dei Pallavicini e dei Rospigliosi (nella foto 1), ovvero quattro losanghe a sinistra (stemma dei Rospigliosi), una fascia scorciata, merlata e contromerlata di tre pezzi di nero ed una croce che riproduce i cinque punti d’oro equipollenti a quattro d’azzurro (stemma dei Pallavicini)..
Oltrepassato il portale principale al civico 43 (nella foto 2) ci appare, in fondo ad un ampio cortile sistemato a giardino, il palazzo (nella foto 3), costituito da un corpo centrale serrato tra due corpi laterali avanzati. Le facciate del palazzo, con due piani e due ammezzati oltre al pianterreno, presentano finestre architravate o incorniciate, mentre i cantonali bugnati sono a tutt’altezza, digradanti verso il cornicione. Negli appartamenti privati del palazzo ha sede la Galleria, ricca di circa 540 dipinti, disegni e sculture, tra i quali opere di Pietro da Cortona, Sandro Botticelli, Domenichino, Guido Reni ed altri, nonché alcuni disegni di Gianlorenzo Bernini. All’ala destra del palazzo, sormontata da una bella altana, si aggancia una struttura supplementare con una loggia: le stanze al pianterreno mantengono la decorazione ad affresco voluta dal cardinale Bentivoglio ad opera di Giovanni da S.Giovanni; nella loggia, incorporata nelle costruzioni aggiunte dai Mancini, vi sono invece affreschi di Guido Reni e Paolo Bril; al piano nobile altre decorazioni di Giovanni da S.Giovanni a carattere storico.
Dalla loggia di Villa Pallavicini si accede ad una piccola corte la quale immette, mediante la duplice rampa concepita dal Vasanzio e conosciuta come “Scala della Pastorella”, ad un giardino sopraelevato dove è situato il “Casino dell’Aurora” (nella foto 4), una bassa costruzione con una piccola loggia costituita da tre ambienti e decorata esternamente con frammenti marmorei romani del II e III secolo d.C. Non è da escludere l’ipotesi che la costruzione del terrapieno sul quale è situato il giardino sia stato realizzato con l’enorme quantità di materiali accumulati con la demolizione delle Terme di Costantino.
Sulla volta dell’ambiente centrale vi è l’affresco che dà il nome al Casino, l’Aurora (nella foto 5), eseguito da Guido Reni tra il 1613 ed il 1614, raffigurante Apollo, circondato dalle Ore, che procede sul carro d’oro del Sole tirato da quattro cavalli pezzati e preceduto da Aurora che, librandosi nell’aria, caccia l’oscurità della notte. Fra l’Aurora ed il carro del Sole c’è un putto alato, il Crepuscolo, che reca una fiaccola dalla fiamma rossiccia. Ma quest’affresco non è il solo gioiello del Casino: sulle pareti le “Quattro Stagioni” di Paolo Bril e sulle due pareti laterali fregi con il “Trionfo di Amore” ed il “Trionfo della Fama”, entrambi opere di Antonio Tempesta.
La sala è adorna anche di busti marmorei seicenteschi raffiguranti imperatori romani e sculture di epoca romana, fra cui le celebri “Artemide Cacciatrice” e la cosiddetta “Athena Rospigliosi”, un’opera di Timotheos del IV secolo. I due ambienti laterali, più piccoli, presentano le volte affrescate con “Rinaldo e Armida” (quello a sinistra) di Giovanni Baglione e “Il combattimento di Armida” (quello a destra) di Domenico Cresti. Al secondo livello del giardino vi è un grande ninfeo, di forma semicircolare, conosciuto come “il Teatro” (nella foto 6): si tratta di uno dei più grandi e suggestivi ninfei barocchi di Roma, realizzato da Francesco Landini e Santino Veronese nel 1613. La zona centrale presenta una grande nicchia sul cui prospetto sporgono quattro pilastri a bugne e due colonne di marmo grigio, sopra i quali corre una trabeazione che prosegue ai lati con andamento curvilineo e delimita tutto il ninfeo. La nicchia è conclusa in alto con un’elegante modanatura che si raccorda alla trabeazione tramite due volute. Dentro la nicchia è situata una vasca con mascherone, dalla bocca del quale fuoriesce l’acqua che si raccoglie in un’altra vasca intermedia, per poi discendere per una scogliera nel grande bacino ellittico. Sul mascherone vi sono due grandi vasi ed una palla sulla quale si trova una losanga, motivo araldico dei Rospigliosi.
Ai lati del nicchione centrale vi sono altre due nicchie, all’interno delle quali sono distese due grandi statue fluviali che simboleggiano il Tevere (a destra) ed il Po (a sinistra). Infine una curiosità: l’ingresso del palazzo situato al civico 44 della via (nella foto 7), in prossimità dell’incrocio con via Mazzarino, costituisce l’antico ingresso della “Farmacia del Quirinale”, inaugurata ed aperta al pubblico nel 1893 dalla dott.ssa Maria Farina Pierandrei. Nel 1913 una legge del Governo Giolitti istituì la “Pianta Organica delle Farmacie” e la farmacia Pierandrei ottenne il “riconoscimento di legittimità” in quanto farmacia ventennale. La Farmacia del Quirinale fu dichiarata “grande farmacia”, un attributo che diversificava fin dal 1700 le farmacie che disponevano di un laboratorio in grado di produrre i “farmaci da banco”.
Il laboratorio preparava elisir, bevande salutari e prodotti di una certa notorietà quali le “Gocce digestive Pierandrei” e lo sciroppo “Rabarbaro composto Pierandrei”. Questa fu, vista anche la vicinanza, la farmacia di riferimento per i membri di Casa Savoia che dimoravano nel palazzo del Quirinale, in particolare della Regina Elena, appassionata di medicina e farmacologia. Quando nel 1904 la famiglia Savoia si trasferì a Villa Ada sulla Via Salaria, il dottor Pierandrei ritenne opportuno seguire la corte e così nel 1927 farmacia e laboratorio si trasferirono a Piazza Verbano, conservando tutti gli stigli e gli arredi originali costruiti alla fine dell’Ottocento da artisti intagliatori di scuola senese. La Farmacia Verbano, tuttora in attività, è infatti caratterizzata da elementi decorativi, incisioni e colonnine a tutto tondo sviluppati lungo le quattro pareti del locale di vendita. Il bancone, nello stile degli scaffali, colonnine scanalate, testine “mostruose”, simboli farmaceutici (coppa e serpenti) e festoni fioriti, è reso funzionale da un comodo piano di lavoro in granito nero lucido.
Nella foto 8 possiamo ammirare una cartolina pubblicitaria dell’antica “Farmacia del Quirinale Cav. E.Pierandrei Chimico Farmacista”, oggi conservata nell’Aboca Museum di Sansepolcro, l’originale museo delle “Erbe e Salute nei Secoli”: la cartolina sponsorizza la farmacia evidenziandone l’internazionalità, in virtù del fatto che vi si parlano 3 lingue (inglese, tedesco e francese), e che i medicinali ivi preparati rispettano la farmacopea britannica, tedesca e francese, ovvero quel codice farmaceutico che garantisce la qualità dei prodotti, dei metodi di preparazione e di formulazione.