Incerta appare l’origine del toponimo di Piazza del Biscione, anche se l’ipotesi più verosimile sembra quella che lo fa discendere dall’anguilla rappresentata nello stemma Orsini, famiglia proprietaria nella zona di alcune dimore turrite costruite intorno alla grande torre detta “Arpacata” (nome di ignota origine) già dal XII secolo; l’altra ipotesi fa derivare il nome dal biscione visconteo dell’insegna di un albergo di proprietà o gestito da milanesi, anche se questa spiegazione, forse dettata dal fatto che la zona era ad alta densità di alberghi, sembra piuttosto teorica e non convince, in quanto l’etimologia insegna che quasi sempre sono le insegne degli alberghi a derivare il nome dalle caratteristiche del luogo e non viceversa. Le dimore degli Orsini furono erette sfruttando le rovine (popolarmente chiamate “trullo”) di un antico monumento dell’antica Roma, il “Teatro di Pompeo“. La prima struttura dell’edificio oggi conosciuto come Palazzo Orsini Pio Righetti risale al 1450 per volontà del cardinale Francesco Condulmer, nipote di papa Eugenio IV, ma già nel 1494 l’edificio rientrò in possesso della famiglia degli Orsini con Virginio, il quale provvide ad un primo restauro ed all’inserimento di un orologio sull’antica “Torre Arpacata” (oramai inglobata nel palazzo e probabilmente identificabile con l’edificio stretto e quadrato situato alla sinistra del cinema Farnese e visibile da Campo de’ Fiori), tanto che l’edificio venne soprannominato il “Palazzo dell’Orologio”. Una recente teoria ritiene che questo palazzo insieme alla Torre Arpacata facessero parte di un complesso fortificato ancora più grande, difeso da una vera e propria cinta muraria, di cui avrebbero fatto parte la Torre Tufara, la Torre di Monte della Farina e la Torre di vicolo dei Chiodaroli 15.
Ai primi del Seicento il palazzo (nella foto sotto il titolo) passò ai Pio di Savoia da Carpi, i quali nel 1667 affidarono all’architetto Camillo Arcucci una completa ristrutturazione e l’erezione della maestosa facciata a due piani con otto finestre scandite da lesene, a timpani curvilinei con teste di leone e pigne al primo piano (nella foto 1), a timpani triangolari decorati con aquile coronate al secondo (nella foto 2), tutti emblemi araldici dei Pio di Savoia; il cornicione invece reca mensole con protomi leonine e rose, emblema degli Orsini. Alla metà del Settecento il palazzo fu venduto in comproprietà al principe Lancellotti, a monsignor Ottaviano Bufalini ed ai Santacroce, mentre l’importante raccolta di dipinti della famiglia Pio fu acquistata da Benedetto XIV e finì in gran parte alla Pinacoteca Capitolina. Nell’Ottocento il palazzo fu acquistato dal banchiere Righetti che, durante i lavori di consolidamento, nel 1864 riportò alla luce la statua dell’Ercole, oggi ai Musei Vaticani.
L’edificio ospitò nel 1866 la Direzione del Lotto, poi la Pretura Urbana e nel 1887 l’Istituto “Tata Giovanni”, fondato da Giovanni Borgi, un muratore romano che dedicò la sua vita ai bambini abbandonati assistendoli ed insegnandogli un mestiere: i “callarelli”, così erano chiamato i ragazzi, vi rimasero fino al 1926, quando l’Istituto si trasferì nell’attuale sede di viale Ardeatino.
Su Piazza del Biscione, di fronte al palazzo, è situato un piccolo edificio (nella foto 3) ricco di decorazioni graffite dai colori vivaci che si ritiene originariamente ospitasse le stalle di Palazzo Orsini Pio Righetti. In seguito i locali divennero la sede di una rimessa per vetture in affitto, alla quale vi ricorrevano diverse famiglie romane, anche nobili, per le consuete passeggiate in carrozza, avendo rinunciato a tenere una propria costosa scuderia.
La presenza della rimessa, qui presente almeno fino al 1920, è testimoniata da un bassorilievo (nella foto 4) con teste di cavallo al centro della quale appare la scritta “VETTURE DI RIMESSA A(UGUSTO). PISANI”.
Sull’edificio vi è situata anche una Madonnella (nella foto 5) inserita all’interno di una cornice rettangolare di stucco con volute nella parte superiore e timpano mistilineo, sotto il quale vi è una raggiera col monogramma di Maria. L’affresco raffigurato all’interno è conosciuto come “Madonna del Latte”, forse per la posizione della mano sinistra sul seno. La parte inferiore presenta una mensola al di sotto della quale vi è posto un lume a braccio di ferro e l’iscrizione “IN MANIBUS TUIS SORTES MEAE“, ovvero “Nelle tue mani (sono) le mie sorti”.
La presenza in questa zona dell’antico “Teatro di Pompeo” (nell’immagine 6 la ricostruzione del Teatro ad opera dell’archeologo ed architetto francese Jean-Claude Golvin) rappresenta sicuramente il lato più affascinante e più importante dal punto di vista storico. Il teatro, il primo a Roma in muratura, fu costruito nel 61 a.C. dal console Pompeo dopo i suoi trionfi e fu inaugurato nel 55 a.C. con grandi spettacoli. La sua costruzione avvenne grazie all’astuzia di Pompeo che riuscì ad eludere il divieto vigente in Roma di costruire teatri in pietra (considerati centri di depravazione e dissipazione) con il pretesto che la costruzione in atto era soltanto la scalinata per accedere al “Tempio di Venere Vincitrice“, situato sulla sommità della cavea ed al centro della facciata curva, mentre in realtà erano le gradinate del futuro teatro. Le dimensioni del teatro sono veramente eccezionali per l’epoca, se si considera che la cavea aveva un diametro di circa 150 metri e la lunghezza della scena era di circa 90 metri, con una capacità di almeno 20.000 posti. La facciata semicircolare della cavea (la parte dove stavano gli spettatori) era impostata su una serie di arcate poggiate su pilastri di pietra gabina e travertino ornati da semicolonne. L’interno era costituito da una doppia serie di muri radiali collegati tra loro da strutture curvilinee che formavano i “cunei”, coperti da volta a botte, che sostenevano le gradinate. La scena, decorata da 14 statue rappresentanti le 14 nazioni conquistate da Pompeo (due delle quali sono oggi conservate al Museo di Napoli ed al Louvre), era articolata nella parte anteriore da tre esedre colonnate, delle quali la centrale era rettangolare mentre le due laterali semicircolari. Dietro la scena si estendeva un quadriportico di 180 x 135 metri, un vero e proprio parco pubblico ornato di statue, con boschetti di platani bordati da fontanelle e terminante con una grande esedra rettangolare, utilizzata come Curia per le riunioni del Senato ed ornata con una grande statua di Pompeo (rinvenuta nella vicina via dei Leutari ed oggi conservata all’interno di palazzo Spada): è la famosa “Curia Pompeia” dove il 15 marzo del 44 a.C. venne ucciso Gaio Giulio Cesare, motivo per il quale Augusto la fece murare, definendola “locus sceleratus“. Vari furono gli interventi di restauro del teatro, la maggior parte in seguito ad incendi, come quello del 26, dell’80 e del 291 d.C. Impressionante e stupefacente risulta la continuità urbanistica degli edifici attuali inclusi nella zona compresa tra largo di Torre Argentina e Campo de’ Fiori (nel senso est-ovest) e tra via del Sudario e via di S.Anna (nel senso nord-sud), perché ricalcano esattamente il tracciato, le proporzioni e le dimensioni del grande complesso pompeiano, del quale furono sfruttate le antiche sostruzioni.
Con l’aiuto della cartina di Google Maps (nell’immagine 7) possiamo riconoscere il Tempio di Venere Vincitrice che sporge verso Campo de’ Fiori nello spazio oggi perfettamente ripetuto dal Palazzo Orsini Pio Righetti; la curva esterna del teatro è ben visibile nel semicerchio maggiore costituito da Via del Biscione, mentre la curva interna è ripresa esattamente dall’andamento semicircolare delle case situate in via di Grottapinta e riconoscibile nel piccolo semicerchio interno. Via dei Chiavari delimita altrettanto precisamente il confine tra la scena ed il quadriportico, il quale risulta altrettanto ben visibile nei suoi confini con vicolo dei Chiodaroli e via di S.Anna a sud, via del Sudario a nord, via dei Chiavari ad ovest e largo di Torre Argentina ad est, a formare un quadrilatero quasi perfetto. Numerosi sono anche i resti conservati al di sotto della pavimentazione odierna, come i cunei in “opus reticulatum“, che servivano di sostegno alle gradinate, conservati nei sotterranei di Palazzo Orsini Righetti o del Ristorante Pancrazio; una colonna granitica del portico è situata al di sotto del Teatro Argentina, insieme ad alcune fontanelle che decoravano gli antichi giardini; un grandioso basamento della “Curia Pompeia” è visibile ai margini occidentali dei templi dell’Area Sacra di largo di Torre Argentina.