Piazza di S.Pantaleo (nella foto sopra) prende il nome dalla omonima chiesa che qui si affaccia (nella foto sopra a destra). La topografia della zona subì grandi mutamenti soprattutto alla fine dell’Ottocento in occasione delle demolizioni per l’apertura di Corso Vittorio Emanuele II: fu proprio in conseguenza di questi lavori che la piazza venne ampliata ed assunse l’aspetto attuale. La chiesa, già esistente alla fine del XII secolo secondo una bolla del 1186 di Urbano III, fu consacrata nel 1216 da Onorio III e dedicata a S.Pantaleone (a Roma il suo nome divenne Pantaleo), martire sotto Diocleziano nel 305 e patrono dei medici e delle nutrici. Fu detta anche “de Petracarolis“, una denominazione che probabilmente le derivò dalla presenza nelle vicinanze di una di quelle pietre sulle quali si svolgeva il mercato del pesce, di proprietà di un mercante di nome Carolus. S.Pantaleo fu restaurata nel 1621 da Giovanni Antonio De Rossi su richiesta di S.Giuseppe Calasanzio, in occasione del quale al santo fu concessa la casa annessa alla chiesa per esercitare la sua opera di educazione gratuita della gioventù più povera tramite l’ordine, da lui fondato, dei Chierici Regolari delle Scuole Pie, detti “Scolopi”. Qualche anno dopo il Calasanzio fu accusato ingiustamente dal Sant’Uffizio, processato e deposto da Superiore Generale dell’Ordine, fino alla soppressione dello stesso nel 1646: nel 1648 morì, non potendo così assistere alla riabilitazione degli Scolopi, dapprima come Congregazione nel 1656 e poi di nuovo come Ordine nel 1669. La chiesa conserva ancora il corpo del santo all’interno di un’urna di porfido, mentre nella Casa degli Scolopi si possono ancora visitare le stanze dove visse, una dedicata a museo delle reliquie con la sua penna infilata nel calamaio, gli occhiali, il fermacarte ed altri oggetti personali, mentre in un’altra, trasformata in oratorio, vi sono i paramenti liturgici, il braciere, il cappello e le scarpe “all’apostolica”.
La chiesa (nella foto 1) fu ulteriormente restaurata nel 1806, quando fu costruita l’attuale facciata da Giuseppe Valadier, su commissione di Giovanni Torlonia, come ricorda la scritta dedicatoria posta nell’architrave del portale di accesso: “SS PANTALEONI ET IOSEPHO CALASANCTIO FRONTEM HVIVS TEMPLI MVNIFICVS EREXIT MARCHIO IOANNES TORLONIA ANNO R S MDCCCVI“, ovvero “Il generoso Marchese Giovanni Torlonia eresse la facciata di questo tempio (dedicato a) Ss. Pantaleone ed a Giuseppe Calasanzio nell’Anno di Recuperata Salvezza 1806”.
La facciata si presenta a due ordini a bugne piatte: al primo ordine si apre un portale a timpano triangolare con due colonne con capitelli ionici, mentre al secondo si trova un’arcata cieca con finestra rettangolare. I due ordini sono divisi da una fascia decorata con stucchi di Pietro Aureli, mentre un timpano con dentelli, sovrastato da una Croce, conclude la parte superiore.
L’interno è a navata unica con due cappelle per lato ed un’abside profonda. La volta (nella foto 2) è affrescata con il “Trionfo del Nome di Maria”, un meraviglioso affresco realizzato tra il 1687 ed il 1692 da Filippo Gherardi detto il Lucchesino, nel quale è possibile identificare i quattro continenti all’epoca conosciuti: l’Europa, rappresentata da una donna coronata con ai suoi piedi alcuni putti che porgono corone, le due Americhe raffigurate nella sembianza di un’Amazzone con faretra e dardi, l’Asia, una donna coronata di fiori che porge un calice con spezie orientali, ed infine l’Africa, una donna di colore con in mano un corallo ed ai suoi piedi un putto con cornucopia piena di grano.
L’altare maggiore (nella foto 3) è dedicato a S.Giuseppe Calasanzio, le cui spoglie sono conservate nella preziosa urna di porfido posta alla base. L’incarico di realizzare l’altare venne affidato nel 1748 a Nicola Salvi, probabilmente in collaborazione con Luigi Vanvitelli. Dopo la morte del Salvi (1751), la commissione passò definitivamente al Vanvitelli che ne affidò la realizzazione prima a Carlo Murena e poi a Virginio Bracci. Nel rilievo a stucco è raffigurato “S.Giuseppe Calasanzio e discepoli”, opera di Luigi Acquisti: nella composizione è presente anche la Madonna delle Scuole Pie, un dipinto ad olio donato il 4 dicembre 1688 dalla devota Maddalena Mansueti Baglioni ai Padri delle Scuole Pie con il legato che per sempre l’opera sarebbe dovuta rimanere sull’altare maggiore.
Su Piazza di S.Pantaleo si affaccia anche l’ultimo palazzo romano costruito per la famiglia di un papa, Palazzo Braschi (nella foto 4), realizzato dall’architetto Cosimo Morelli alla fine del XVIII secolo per i nipoti di Papa Pio VI Braschi, Luigi e Romualdo Onesti. Il pontefice, per realizzare il palazzo, fece radere al suolo il preesistente palazzo di Francesco Orsini, prefetto di Roma, a sua volta costruito su un edificio con torre di Cencio Mosca: questo palazzo, dopo vari passaggi di proprietà, dal Cardinale Oliviero Carafa al Cardinale Antonio Ciocchi del Monte fino ai principi Caracciolo di Santobono, fu acquistato nel 1790 da Pio VI, che lo fece appunto demolire per il nuovo edificio. Palazzo Braschi fu terminato nel 1794 ed il duca Braschi poté abitarlo con il suo segretario, Vincenzo Monti. Il palazzo richiese un notevole sforzo economico, ma, dato che il duca continuava a spendere molto e le ipoteche non si contavano più, subì un singolare destino: divenne il primo premio di una lotteria (i biglietti costavano 5 scudi l’uno). Il Governo Pontificio però intervenne a proibirla, i Braschi furono costretti a fallire ed il palazzo passò ai Silvestrelli, ovvero ai maggiori creditori. Questi, nel 1871, vendettero l’edificio allo Stato Italiano che vi insediò la Presidenza del Consiglio d’Italia ed il Ministero degli Interni (con annesso, scherzo del destino, la Direzione Generale del Lotto e delle Lotterie). Da allora il nome di Palazzo Braschi acquisì notorietà internazionale e fu affiancato a quello dei maggiori palazzi del potere delle grandi nazioni. Qui vi passarono i grandi politici dell’epoca, da Crispi a Giolitti, da Salandra a Di Rudini. Dal 1952 il palazzo è sede del Museo di Roma, anche se soltanto nel 1990 la proprietà passò all’Amministrazione capitolina. Il Museo di Roma custodisce una notevole varietà di opere d’arte che illustrano la vita della città dal Medioevo fino alla prima metà del Novecento. Mobili, carrozze, portantine, affreschi, ceramiche medievali, dipinti, sculture. Di grande valore è la raccolta del Gabinetto Comunale delle Stampe costituita da disegni, acquerelli, stampe, incisioni e libri antichi che testimoniano la storia e l’evoluzione dell’arte grafica e delle sue tecniche dal XVI al XIX secolo, nonché la collezione di fotografie antiche dell’Archivio Fotografico Comunale che fornisce un quadro completo della produzione fotografica romana dell’800 e della prima metà del ‘900. La facciata presenta un basamento in travertino, un bugnato al pianterreno e all’ammezzato, con angoli fino al cornicione.
Le finestre al pianterreno sono adorne di una testa di leone (nella foto 5) che regge nella bocca una pigna (elementi dello stemma degli Onesti), mentre quelle al primo piano hanno un timpano curvilineo con festoni di foglie di quercia poggianti su dadi con stelle. Il portale si presenta affiancato da due colonne di cipollino che sorreggono un lungo balcone.
All’interno maestoso lo scalone d’onore (nella foto 6) al quale si accede dall’ingresso di via di S.Pantaleo: statue antiche, stucchi e 18 colonne di granito rosso con capitelli recanti gli stemmi dei Braschi e degli Onesti contribuiscono a rendere l’opera davvero solenne, da alcuni definito addirittura “il più bello e ricco del mondo”. Sull’angolo del palazzo che si affaccia su Piazza di Pasquino vi è collocata la più famosa “statua parlante” di Roma, Pasquino.
Piazza di S.Pantaleo ospita anche il monumento al patriota Marco Minghetti (nella foto 7), Ministro degli Interni nel Governo Cavour e Primo Ministro nel 1863: l’inaugurazione avvenne il 24 settembre 1895 alla presenza dei sovrani Umberto I e Margherita. La statua dello statista, colto nell’atto di pronunciare un discorso, è opera dello scultore Lio Gangeri e dell’architetto Giacomo Misuraca: di bronzo, alta m 3,30, raggiunge gli 11 metri insieme al basamento, dove vi sono posizionate due figure che vogliono rappresentare la “Politica”, saggia e paziente, che tiene stretto presso di sé il “Popolo” irruento e irrefrenabile, simboleggiato da un fanciullo con una bandiera in mano.