Via dei Portoghesi (nella foto sopra) collega via della Scrofa a via dell’Orso e prende il nome dall’ospizio sorto qui sin dal Trecento per i pellegrini portoghesi, accanto al quale nel 1445 fu fondata dal portoghese Antonio Martinez de Chaves la chiesa di S.Antonio dei Portoghesi (nella foto 1). Nei primi anni del XVII secolo la comunità portoghese diede il via ai lavori per la realizzazione della nuova chiesa di su progetto di Martino Longhi il Giovane (1630-1638), poi terminata da Cristoforo Schor nel 1695, mentre la cupola fu realizzata dall’architetto Carlo Rainaldi (1676). Divenuta chiesa nazionale dei portoghesi, che la intitolarono al santo di Lisbona, si presenta con una bella facciata barocca adornata con il grande emblema araldico della Casa di Braganza, la dinastia che regnò in Portogallo dal 1640 al 1833 ed in Brasile tra il 1822 ed il 1889.
L’interno a croce latina ospita una bella cantoria di legno dorato con testimonianze delle sepolture della chiesa originaria; nella due cappelle che si aprono su ogni lato vi sono il “Monumento funebre di De Souza del Canova“, la tavola a fondo oro raffigurante “Madonna e Santi” di Antoniazzo Romano e due dipinti di Nicola Lorenese. Dinanzi alla chiesa sorge il palazzo dell’ex Convento degli Agostiniani (nella foto 2), un grande complesso situato tra questa via, la piazza di S.Agostino e le vie della Scrofa e dei Pianellari. La struttura originaria risale ad un convento medioevale sorto con la chiesa di S.Agostino, ampliato nel Seicento con la ricostruzione della chiesa, ma poi completamente riedificato su progetto di Luigi Vanvitelli, incaricato nel 1746 dall’allora priore generale dell’Ordine degli Agostiniani, Agostino Gioia. I lavori iniziarono l’anno seguente dal grande architetto in collaborazione con Antonio Rinaldi, finché nel 1751 al Vanvitelli, impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, subentrò Carlo Murena.
Nella riedificazione si attuò anche una ristrutturazione della parte conventuale già destinata dal 1614 alla Biblioteca Angelica, portando così a termine la grande sala della biblioteca iniziata dal Borromini e non ultimata a causa della sua morte avvenuta nel 1667. La Biblioteca Angelica, così denominata dal nome del suo fondatore, l’agostiniano Angelo Rocca, fu aperta il 23 ottobre 1614; divenuta proprietà statale nel 1871, la biblioteca ha un fondo librario di oltre 170.000 volumi, 2.668 manoscritti e 1.112 incunaboli. Notevoli un codice miniato della “Divina Commedia” del XIV secolo ed il famoso “De Balneis Puteolanis” del XIII secolo con miniature di scuola siciliana; tra gli incunaboli il “De oratore” di Cicerone e il “De Civitate Dei” di S.Agostino, stampati a Subiaco nel 1465 e, tra gli autografi, preziosi quelli di Cola di Rienzo, Sisto V e Torquato Tasso.
La facciata leggermente aggettante, a bugnato continuo nello stilobate, apre su un caratteristico portale (nella foto 3) centinato e bugnato con cartiglio recante l’iscrizione “COENOBIUM S.AUGUSTINI“, mentre una grande e graziosa conchiglia occupa il semicatino. Nel cortile, ex chiostro del convento, è situata una vasca ellittica con quattro mascheroni, attribuita al Vanvitelli, mentre sul lato orientale del cortile vi sono quattro monumenti sepolcrali quattrocenteschi, provenienti dall’antica chiesa di S.Agostino. Il complesso conventuale nel 1808 fu occupato dalle truppe francesi e polacche al seguito del regime napoleonico a Roma, ma la Biblioteca Angelica non fu manomessa e restò sotto la direzione del prefetto agostiniano Thil fino al 1811, quando questi non volle prestare giuramento di fedeltà a Napoleone: fu riconsegnata agli Agostiniani nel 1814 con il resto del convento. Dopo il 1870 il complesso divenne proprietà dello Stato Italiano: la parte conventuale divenne sede del Ministero della Marina e quindi dell’Avvocatura dello Stato; nella biblioteca dal 1941 è ospitata l’Accademia dell’Arcadia, che vi ha depositato il proprio archivio ed i suoi volumi in arricchimento alla biblioteca.
La via ospita anche la medioevale torre dei Frangipane (nella foto in alto sotto il titolo e nella foto 4), inserita nel XVI secolo nel cinquecentesco palazzo Scapucci, nobile famiglia romana che ebbe anche Conservatori in Campidoglio. L’edificio fu fatto costruire ad inizio Cinquecento da Pietro Griffo, vescovo di Forlì, e ceduto a metà del secolo agli Agostiniani, che lo passarono poi in enfiteusi a Modesta Dolci, sposa di uno Scapucci. Gaspare Scapucci fece eseguire, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, lavori di ampliamento e di rifacimento su progetto di Giovanni Fontana, il quale inglobò la torre nel nuovo complesso. Il palazzo si affaccia su via dei Portoghesi con il bellissimo ingresso tra due possenti colonne ioniche con architrave sul quale poggia la balaustra di un terrazzo, la quale ha negli elementi lisci ora una stella ora una mezzaluna, simboli araldici degli Scapucci. La torre, in laterizio, è composta di quattro piani con finestre adorne di mostre marmoree: la finestra inferiore era a croce guelfa ma la crociera è stata asportata, la seconda è moderna, le ultime due hanno una mostra marmorea sormontata da cornice. Sotto le finestre dell’ultimo piano corre una cornice marcapiano in travertino e sul coronamento a beccatelli di travertino poggiano gli archetti sostenenti il parapetto in laterizio della terrazza. La torre risale al 1014 ed è anche chiamata “Torre della Scimmia” perché legata ad una delle più gentili leggende dell’aneddotica romana, divenuta famosa anche perché raccontata dal romanziere statunitense Nathaniel Hawthorne in “The Marble Faun”.
“Viveva nel palazzo una scimmia”, racconta Hawthorne, “che un giorno rapì dalla finestra il figlio neonato del padrone di casa e lo portò sulla sommità della torre. Il pianto del bambino fece accorrere molta gente ma nessuno sapeva come intervenire nel timore che l’animale, spaventato, facesse cadere dall’alto il bambino. Il padre allora, dopo essersi raccomandato alla Vergine, fece il consueto fischio di richiamo all’animale che, calandosi lungo il pluviale e stringendo a sé il bambino, lo riportò incolume a casa. Tutta la gente che aveva assistito alla scena proruppe in un grido unanime di gioia e da quel giorno il padre della creaturina, così miracolosamente salvata, volle che ardesse una lampada dinanzi alla statua della Vergine (nella foto 5) che fece collocare sulla sommità della torre”.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Convento di S.Agostino di G.Vasi
Torre detta della Scimmia di E.Roesler Franz