Piazza di Porta Capena deriva dalla “Porta Capena” che qui si apriva lungo le antiche Mura Serviane. Nella foto sopra possiamo ammirare quel poco che rimane della cinta muraria che, proveniente dal limitrofo Celio, passava in questo luogo per dirigersi verso la parte alta del Piccolo Aventino, con un percorso che ricalcava approssimativamente l’attuale Viale Guido Baccelli. “Porta Capena“, dalla quale originariamente aveva inizio la Via Appia, deriva il suo nome dalla corruzione dell’antico bosco sacro della “Fons Camenorum” (“Fonte delle Camene”), situato subito fuori della porta, alle pendici del Celio ed alla quale, secondo la tradizione, attingevano le Vestali per i loro riti sacri.
A poca distanza dai ruderi delle mura, all’angolo con Via di S.Gregorio, è situato il cinquecentesco Casino La Vignola Boccapaduli (nella foto 1), costruito nel 1538 per Prospero Boccapaduli, Conservatore in Campidoglio. L’edificio originariamente era situato sull’altro lato della piazza (dove oggi sorge il Palazzo della FAO) ma fu smontato e qui ricostruito nel 1911 in occasione dei lavori per la realizzazione del “Parco di Porta Capena” o “Passeggiata Archeologica”, ad opera dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, il quale volle giustamente valorizzare i grandi monumenti dell’antichità romana che qui sorgono, come le “Terme di Caracalla“. Il Casino fu ricostruito dall’architetto Pietro Guidi che si concesse qualche personalizzazione rispetto all’antico edificio, ricostruendone alcune parti mancanti e disponendolo su una nuova scalinata di 10 gradini rispetto ai 2 originari. Dal 1964 al 2006 il Casino fu sede dell’Istituto Romano per la Storia di Italia, dal Fascismo alla Resistenza (IRSIFAR), mentre dal 2011 è sede del Centro di documentazione sul Secondo Polo Turistico di Roma. L’edificio si apre al pianterreno con un portico in travertino, costituito da tre archi sulla fronte e due sui fianchi, sopra il quale corre un fregio dorico, mentre il piano nobile presenta finestre architravate.
Sull’altro lato di Piazza di Porta Capena sorgeva, fino alla fine del 2003, la “Stele di Axum” (nella foto 2), che, giunta a Roma nel 1937 per espresso volere di Benito Mussolini, fu qui posta in coincidenza con l’anniversario dei 15 anni della Marcia su Roma. Alta 27 metri, con un peso di circa 150 tonnellate, in pietra basaltica scura, a sezione rettangolare, la Stele, che è stata definita da un poeta della sua terra “Flauto di Dio”, viene fatta risalire ad un periodo compreso tra il I ed il IV secolo d.C. e viene attribuita all’opera di artigiani egizi. La stele venne trovata dagli italiani nel 1935, durante l’occupazione dell’Etiopia, rovinosamente frammentata in cinque pezzi, al pari di altre stele presenti nell’area, probabilmente non per opera dei nemici del regno axumita, come si tende ad affermare, ma come conseguenza di rovinosi eventi naturali, quali alluvioni e terremoti. La stele faceva parte di 66 monumenti funerari che nell’antica capitale del regno Axum segnavano la presenza di una tomba reale. I fregi che ne decorano le quattro facciate riproducono un edificio reale a undici piani, di cui si distinguono i particolari incisi con grande cura, come finestre e porte d’ingresso con i battelli a forma d’anello. La parte terminale ha una sagomatura detta a “testa di scimmia”. L’obelisco, costruito secondo la leggenda sull’altipiano etiopico, è considerato il secondo colosso di Axum. Trasportarlo al porto di Massaua, distante 400 chilometri dal luogo originario, per caricarlo sulla nave diretta per Napoli, fu un’impresa senza precedenti durata due mesi, come testimonia la documentazione scritta e fotografica degli archeologi e degli ingegneri del regime fascista. La sua collocazione a Porta Capena, di fronte all’allora ministero delle Colonie, oggi palazzo della Fao, ebbe luogo tra parecchie difficoltà. Lo scavo per le fondamenta fu ostacolato dal ritrovamento di resti archeologici e vecchie fognature, che ostacolarono lo scavo per la posa in opera delle fondazioni necessarie a sostenere il monumento. Dopodiché si realizzò una palificazione su cui fu posta la fondazione, consistente in una struttura di cemento armato dove venne incastrata la parte inferiore della stele. Quindi si dette inizio al riassemblaggio dei cinque pezzi trasportati da Axum presumibilmente impiegando dei perni metallici. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’obelisco diventò un caso diplomatico che divise l’Italia e l’Etiopia: fin da allora Addis Abeba chiese la restituzione dei beni sottratti dal regime fascista e tra le priorità del trattato firmato tra i due paesi c’era appunto il rimpatrio della stele. Nel 1969 il Ministero degli Affari Esteri decise di rinviarlo alla corte di re Haile Selassie, il quale, visti gli alti costi di spedizione, lo dichiarò un suo dono personale all’Italia. Dopo circa 30 anni, deposto il re Selassie, l’Etiopia tornò a richiederne la restituzione: così, dopo il restauro del 2002, tra mille polemiche, fu smontato il 7 novembre dello stesso anno. Il primo frammento partì per l’Etiopia il 18 aprile 2005 ma fu soltanto nel 2008 che fu riconsegnato totalmente. Oggi non rimane che un quadrato di terra a ricordo della sua permanenza a Roma e l’amministrazione comunale sembrava intenzionata a sostituire il monumento con un’opera d’arte contemporanea, ma finora nulla è stato fatto. In questa piazza si trovava, fino all’8 settembre 2011, anche un altro monumento, quello dedicato a tutti i soldati che a Roma, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non si arresero alle truppe tedesche ma morirono in un’eroica resistenza: in occasione del 68° anniversario il monumento fu trasferito nell’attuale sede di Piazzale Ostiense, un altro luogo dove aspramente si combatté.