La chiesa di S.Maria del Carmine (nella foto sopra) è situata in un piccolo slargo che si apre lungo la stretta Via del Carmine, che collega Via Quattro Novembre a Via delle Tre Cannelle. La storia di questa chiesa ebbe inizio il 24 febbraio 1605, quando avvenne la consacrazione dell’area sulla quale sarebbe sorta una chiesa affidata alla Confraternita del Carmine ed iniziarono i lavori di adattamento dei fienili che qui sorgevano, di proprietà dell’Abbazia di Grottaferrata. A Roma la prima Confraternita intitolata a S.Maria del Carmine fu fondata nella chiesa di S.Crisogono e successivamente, nel 1515, ne fu costituita un’altra presso S.Martino ai Monti, divenuta poi Arciconfraternita nel 1606 con Breve di Papa Paolo V. La costruzione della nuova chiesa si rese necessaria perché la sede di S.Martino ai Monti risultava troppo decentrata e piccola: infatti la Confraternita era ospitata in una cappella, quella a sinistra dell’altare maggiore. Per più di un secolo, tuttavia, la sede dell’Esquilino continuò ad essere utilizzata e fu lasciata definitivamente solo nel 1763 a favore della nuova chiesa. Nel 1621 Papa Gregorio XV riconobbe la Confraternita “Madre e capo di tutte le Confraternite dallo stesso titolo” di tutto il mondo e poi, con un Breve del 3 febbraio 1623, le accordò la proprietà dell’area della chiesa di S.Maria del Carmine, di fatto togliendola all’Abbazia di Grottaferrata. I lavori, iniziati nel 1624 a spese del Cardinale Odoardo Farnese, protettore dell’Arciconfraternita, furono molto lunghi e procedettero per fasi. Le prime notizie riguardano la definizione della zona presbiterale avvenuta tra il 1724 ed il 1733 ad opera dell’architetto Giacomo Ciolli, che progettò dapprima l’altare maggiore e successivamente, al di sopra di esso, la nicchia destinata ad accogliere la statua della Madonna del Carmine. Nel 1749, in vista dell’Anno Santo, l’Arciconfraternita commissionò al suo nuovo architetto, Michelangelo Specchi, il disegno di una nuova facciata: questi presentò due progetti, dei quali venne preferito quello di “minor spesa…parte di stucco e parte di peperino“, realizzato nel 1750 con la sola variante del travertino al posto del peperino, come è riportato da una descrizione del “Diario Ordinario di Roma” del 13 giugno dello stesso anno.
Nel 1772 un incendio distrusse gravemente la chiesa: probabilmente in questa occasione andarono distrutti i bassorilievi di stucco, opera di Giovanni Grossi, che ornavano il timpano della facciata. La ricostruzione fu resa possibile grazie all’intervento di Papa Clemente XVI, del Cardinale Protettore Domenico Orsini d’Aragona e dalla vendita di alcune proprietà dell’Arciconfraternita. Dopo soltanto tre anni, nel 1775, la chiesa, fino ad allora solo oratorio, divenne “chiesa pubblica con molti privilegi“. Nel 1798 la chiesa fu saccheggiata durante l’occupazione francese di Roma e conseguentemente chiusa fino al 1801 quando venne riaperta. Nel corso dell’Ottocento una serie di lavori di restauro completarono la chiesa: nel 1862 l’architetto della Confraternita, Vincenzo Martinucci, curò il restauro della navata e del presbiterio e su suo disegno venne definita la partitura decorativa della chiesa con gli affreschi che simulano la presenza di stucchi e cornici. Vennero poi realizzati in forma stabile i due altari laterali nelle nicchie che, fino a quell’epoca, avevano ospitato apparati transitori. Il 22 giugno 2007 un altro incendio, iniziato dall’Oratorio, danneggiò la chiesa: nell’occasione andarono distrutte anche diverse opere d’arte, tra cui una bellissima tela raffigurante la Madonna del Carmine, considerata tra le migliori opere di Gaspare Celio. Questa volta la ricostruzione fu possibile grazie ai fondi della Sovrintendenza Regionale alle Belle Arti, che diede inizio ai lavori di restauro del tetto e della facciata, ridipinta in bianco come nell’originale raffigurato nella stampa di Achille Pinelli (nell’immagine 1), che ritrae la Chiesa di due secoli fa; al restauro contribuì anche l’Arciconfraternita che invece provvide all’Oratorio, che fu ricostruito con ripristino dell’antico soffitto in legno e la rimessa a nuovo del pavimento originale. In occasione dei lavori, presso l’altare laterale sinistro, dal Novecento dedicato a S.Teresa del Bambin Gesù, fu rinvenuta, dietro il quadro della Santa, un’antica tela raffigurante S.Michele Arcangelo, risalente probabilmente al ‘600 e piuttosto danneggiata, di autore ignoto. Originariamente infatti l’altare era dedicato proprio a S.Michele Arcangelo, protettore della Gendarmeria vaticana, in quanto al tempo dello Stato Pontificio la chiesa del Carmine veniva utilizzata per le celebrazioni religiose dei dragoni pontifici. Sull’altare opposto è situata invece una tela settecentesca dipinta su due facce, probabilmente uno stendardo utilizzato come pala d’altare, ove sul lato anteriore è rappresentata la “Vergine che appare ad Elia“, mentre su quello posteriore è raffigurata la “Madonna che consegna lo scapolare a S. Simone Stock, il quale intercede presso di lei per le anime purganti“, attribuito al pittore Sebastiano Conca. L’Arciconfraternita commissionò anche il restauro dell’affresco con la Madonna del Carmine, molto rovinato, situato nella lunetta sovrastante il portone d’ingresso: fu in questa occasione che venne alla luce, sotto l’affresco ottocentesco, un altro ben più antico, anch’esso raffigurante la Madonna del Carmine con il Bambino ed Angeli. L’affresco, in bianco e nero, ad imitazione di una scultura in bassorilievo, presenta l’immagine della Madonna con gli occhi socchiusi e rivolti verso il basso, che sembrano osservare i fedeli da qualunque angolazione, creando così un suggestivo effetto verso chiunque vi si avvicini.
La facciata, disegnata dallo Specchi, si presenta a due ordini, di cui quello inferiore scandito da lesene corinzie, mentre al centro dell’ordine superiore si apre un finestrone rettangolare sormontato da un piccolo e raffinato frontone curvilineo spezzato. Conclude la facciata un semplice timpano triangolare privo di decorazioni. L’interno è a navata unica con volta a botte e conserva, sull’altare maggiore, al centro di un ciborio composto da un timpano sorretto da due colonne, una “Madonna del Carmine” in cartapesta (nella foto 2), ivi posta in sostituzione dell’omonima statua seicentesca che attualmente si trova nella stanza del vestiario.