Il Santuario della Madonna del Divino Amore sorge sulla Via Ardeatina, a circa 12 km da Roma, in una zona dell’Agro Romano denominata Castel di Leva. La località è menzionata per la prima volta in una bolla di Papa Gregorio VII nel 1081 con il nome di “Casale Castellione”, dove risultava proprietà ecclesiastica dell’Abbazia di S.Paolo. Nel 1268 la tenuta divenne proprietà della chiesa di S.Sabina, poi passò agli Orsini e nel 1295 ai Savelli, i quali provvidero alla costruzione di un castello circondato da un muro di cinta intramezzato da sei od otto torri: in quest’epoca la denominazione era divenuta “Castrum Leonis“, poi volgarizzato in “Castel di Leo” o “di Leone” nel XV secolo, quando il complesso divenne proprietà dei Cenci. Nella seconda metà del Cinquecento proprietario della tenuta divenne Cosimo Giustini, il quale nel 1570 lo donò a due Istituti di Carità, la Casa degli Orfani ed il Conservatorio di S.Caterina della Rosa. La proprietà andò sempre più degradandosi finché nei primi del Settecento la tenuta, nel frattempo denominata “Castel di Leva”, probabile corruzione dell’antico “Castel di Leo”, appare desolata, fatiscente e l’antico complesso un ammasso di rovine. Unica nota vivace appare un’immagine della Madonna affrescata su una torre del castello (nella foto sotto il titolo), raffigurata seduta in trono con in braccio Gesù Bambino e con la colomba discendente su di Lei quale simbolo dello Spirito Santo, davanti alla quale i pochi pastori che durante l’inverno facevano pascere lì intorno le loro greggi solevano riunirsi per recitare il Rosario. Ed è proprio in questa ambientazione che accadde il fatto che sconvolgerà la vita della zona tutta e della tenuta in particolare: in un giorno di primavera del 1740 un viandante, giunto nei pressi della torre, fu assalito da una turba di cani inferociti. Il malcapitato, guardando la Sacra Immagine della Vergine, invocò il suo aiuto ed improvvisamente i cani, quasi frenati da qualcosa di invisibile, rabboniti, si dispersero per la campagna. Il pellegrino, com’è naturale che fosse, raccontò il fatto a chiunque incontrasse e la notizia si propagò immediatamente tra gli abitanti della zona, arrivando ben presto anche a Roma. Iniziò così un grande pellegrinaggio di fedeli tanto che, come disse un cronista dell’epoca, “non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini più devoti e numerosi che ricevevano numerose grazie”. In conseguenza di ciò il Vicariato di Roma decise di non lasciare più all’aperto la Sacra Immagine: fu così che il 5 settembre 1740 la Vergine con il Bambino fu asportata dalla torre (il taglio sarebbe riconoscibile nella linea curva dei tufi situata sulla parte alta della torre) e trasferita nella chiesa di “S.Maria ad Magos” presso la vicina tenuta della Falcognana. Il trasferimento scatenò però un putiferio perché il territorio di Castel di Leva era proprietà del Conservatorio di S.Caterina, mentre la Falcognana apparteneva alla Basilica di S.Giovanni in Laterano. Allora intervenne il Tribunale della Sacra Romana Rota e decise che le offerte dei pellegrini sarebbero state di proprietà della Vergine ed adoperate quindi “per costruirle una chiesa, come richiede sia la necessità di aumentare il culto verso l’Immagine sia la riconoscenza per i miracoli ottenuti”.
Dopo cinque anni, esattamente il 19 aprile 1745, la Madonna fu ricondotta nella sua antica sede di Castel di Leva, dove nel frattempo era stata eretta una chiesa (nella foto 1), opera di Filippo Raguzzini, consacrata il 31 maggio 1750 dal cardinale Carlo Rezzonico, divenuto poi papa con il nome di Clemente XIII. Da allora la devozione del popolo romano e delle campagne circostanti accrebbe sempre più, tanto che si decise di affidare il santuario ad un custode eremita, il primo dei quali fu Pasquale Francesco. Gli eremiti però non erano sacerdoti e non potevano quindi assumersi l’assistenza spirituale dei pellegrini ed allora nel 1805 si decise di affidare la cura del santuario a sacerdoti, nominati dal Conservatorio di S.Caterina, che vi dimoravano però temporaneamente nei periodi di maggiore afflusso, ovvero durante il periodo di Pentecoste.
I grandi cambiamenti avvenuti a Roma dopo il 20 settembre 1870, con la fine del potere temporale dei papi e l’entrata in vigore del Primo Governo Italiano, decretarono anche cambiamenti sostanziali per il Santuario: l’esproprio degli edifici e dei terreni ecclesiastici a favore dello Stato e la trasformazione di Istituti di beneficenza e di Carità in Opere Pie, alle dipendenze del Ministero degli Interni, ebbe come conseguenza che il Conservatorio di S.Caterina fu affidato ad un Consiglio di Amministrazione, il quale, per mantenere le educande del Conservatorio, decise di affittare la tenuta di Castel di Leva. Il cortile divenne parcheggio per gli attrezzi agricoli, accanto all’ingresso della chiesa fu installato un fienile, a sinistra del campanile trovò posto una stalla, a destra della sagrestia si trovavano la rimessa, il forno, il pollaio, il porcile e negli edifici innanzi al Santuario fu aperta una dispensa per i contadini e persino un’osteria. L’affittuario della tenuta non si fece scrupoli neanche di guadagnare dai rivenditori ambulanti e così tutta la salita si andò riempiendo di bancarelle e baracche. La condizione di abbandono e di precarietà del Santuario della Madonna del Divino Amore portò ad un clamoroso furto nel giugno 1930, in conseguenza del quale vennero asportati tutti i gioielli e l’oro offerto alla Madonna. L’inchiesta che ne seguì non servì a scoprire i colpevoli, tuttavia attirò l’attenzione delle autorità sulle condizioni nelle quali giaceva da tempo il Santuario. Il Vicariato di Roma decise allora di inviare sul posto, con l’obbligo di residenza, un rettore che dal 1932 divenne anche parroco della nuova Parrocchia del Divino Amore: per fare ciò si rese necessario il distacco dal Capitolo di S.Giovanni e successivamente l’indipendenza dal Conservatorio di S.Caterina dei Funari. Il primo rettore fu don Umberto Terenzi, che il 25 marzo 1942 istituì la Congregazione delle Figlie della Madonna del Divino Amore, alla quale, nel 1962, seguirono i sacerdoti Oblati che da allora custodiscono il santuario.
Il 1931 fu anche l’anno in cui venne innalzata sulla sommità della chiesa la statua dell’Immacolata, scolpita in marmo di Carrara dallo scultore Cosimo Docchi, e venne consacrata la nuova campana (che si andava ad aggiungere alle due già esistenti), del peso di due quintali e mezzo, offerta dalla città di Palestrina (nella foto 2 il campanile). Il 18 marzo 1932 nel Palazzo del Vicariato venne anche risolta la questione più grave: il cardinale Marchetti Selvaggiani ed il marchese Pietro Pellegrini Quarantotti, presidente dell’Opera Pia di S.Caterina, firmarono il contratto di cessione del Divino Amore e degli edifici adiacenti dall’autorità civile a quella ecclesiastica. Questa sistemazione giuridica favorì la soluzione di allontanamento delle baracche e dell’osteria e la restituzione del colle al Santuario. I pellegrinaggi, con lo scopo di ottenere le grazie, si moltiplicarono, soprattutto dal lunedì di Pentecoste fino all’autunno, in un misto di sacro e di profano, perché finirono per identificarsi con le Ottobrate, vere e proprie scampagnate, dettate certo da un’iniziale devozione religiosa ma che poi terminavano con canti, balli e grosse “abbuffate”. Nel 1944 gli eventi bellici indussero la Chiesa di Roma a trasferire l’affresco della Madonna a scopo precauzionale e così il 24 gennaio venne trasportato prima in S.Lorenzo in Lucina e poi nella chiesa di S.Ignazio: qui il 4 giugno 1944 il popolo romano invocò la salvezza della città, facendo voto di erigere un nuovo santuario e di realizzare un’opera di carità in suo onore. La Madonna compì il miracolo e Roma fu salva: l’11 giugno 1944 Papa Pio XII si recò a pregare dinanzi all’Immagine della Vergine e, circondato da una folla immensa, rivolse, dal pulpito di S.Ignazio, le sue parole di ringraziamento alla Madonna e le conferì il titolo di “Salvatrice dell’Urbe”. Il 12 settembre 1944 la Madonna fece ritorno al Santuario, scortata da un alone di folla lungo tutto il percorso.
Nel 1947 fu realizzata la Cripta dell’Addolorata (nella foto 3), ricavata nella cisterna dell’antico palazzo: le pareti sono rivestite di tufelli squadrati con quattro mezze colonne di peperino terminanti in un dado quadrato di marmo bianco. A questa parte antica vennero aggiunti nuovi elementi, su disegno e sotto la direzione dell’architetto Stefano Balzarro, costituiti dal rosone, l’abside e la balaustra.
Il rosone in peperino è chiuso da artistiche vetrate colorate, lo zoccolo dell’abside è splendidamente ornato da un prezioso ornamento di onice mentre il catino da un grande mosaico raffigurante “Cristo Buon Pastore” (nella foto 4) e dai due fatti più importanti nella storia del santuario: la riproduzione artistica del primo miracolo ed il Voto di Roma.
La Cripta conserva anche uno splendido pavimento cosmatesco in mosaico ed il gruppo della “Madonna Addolorata”, raffigurante Maria che asciuga il sangue di Gesù nel momento della sua sepoltura (nella foto 5); qui, inoltre, sono conservate le spoglie di don Umberto Terenzi, morto il 3 gennaio 1974 (nella foto 5 la tomba in primo piano). Il 1° maggio 1979 Papa Giovanni Paolo II visitò il santuario e lo definì il “Santuario Mariano di Roma”; vi tornò il 7 giugno 1987 per l’apertura dell’Anno Mariano ed ancora il 4 luglio 1999 per la consacrazione del Nuovo Santuario, sciogliendo così il voto fatto dai romani il 4 giugno 1944.
Negli anni ’80 furono eseguiti lavori di restauro dell’altare e dell’antico e prezioso affresco della Madonna, oggi visibile sull’altare della chiesa (nella foto 6).
Non si sa con precisione quando l’affresco (nella foto 7 in dettaglio) sia stato eseguito, anche se approssimativamente lo si fa risalire alla fine del 1300, soprattutto grazie alle caratteristiche tecniche ed iconografiche del soggetto, in particolare per le linee che formano la somatica facciale di Maria.
Dal 1935 sulla Torre del Primo Miracolo è situata una grande maiolica (nella foto 8) che riproduce le misure dell’originale, opera del grande ceramista Alfredo Santarelli, situata però al di sotto del posto in cui si trovava in origine. La torre (nella foto sotto il titolo), una costruzione a tufetti squadrati a forma di parallelepipedi, è alta circa 10 metri, presenta un ingresso ad arco con una cornice in peperino e due incastri marmorei che si presume appartenessero ad un ponte levatoio.
Vale la pena soffermarsi anche su uno dei tantissimi ex voto e lapidi commemorative che adornano il santuario: si tratta della “cuffia prodigiosa del radiotelegrafista Biagi che (come recita l’iscrizione situata sotto il quadro) per grazia della Madonna del Divino Amore salvò da terribile morte i naufraghi caduti sui ghiacci del polo dal dirigibile della disgraziata spedizione Nobile”. Il dirigibile “Italia” toccò il Polo Nord il 24 maggio 1928 ed il quadro (nella foto 9) rappresenta tutta la storia della spedizione: al centro è situata la cuffia, in alto il primo volo glorioso del generale Umberto Nobile ed il lancio sui ghiacci del Polo Nord della bandiera italiana e della croce d’oro donata dal papa; nel riquadro di sinistra la caduta del dirigibile e gli inutili tentativi dei superstiti di comunicare con la “Tenda Rossa”; a destra il disperato voto del telegrafista Giuseppe Biagi di donare la sua cuffia alla Madonna del Divino Amore se fossero riusciti ad uscire vivi da quella situazione disperata di morte sicura; nel riquadro in basso la radio, per 18 giorni rimasta muta, nonostante tutti i tentativi, all’improvviso inizia a funzionare, si ascoltano le prime voci di soccorso, arrivano gli aeroplani della salvezza, finalmente riportati in salvo grazie alla mano misericordiosa della Madonna.
Oggi il Santuario della Madonna del Divino Amore è ancora meta di pellegrinaggi, come quelli che si svolgono il sabato sera, dal primo sabato dopo Pasqua fino all’ultimo sabato di ottobre, con partenza da Piazza di Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo. Si parte alle ore 24 e si arriva al Santuario a piedi, percorrendo Via Appia Antica e Via Ardeatina, a dimostrazione della grande devozione che i romani ancora oggi ripongono nella “Salvatrice dell’Urbe”, dalla quale tante grazie hanno ricevuto. Il pellegrinaggio termina con la S.Messa festiva delle ore 5.00. Ogni anno, inoltre, si tengono due pellegrinaggi notturni straordinari in occasione delle più importanti feste della Beata Vergine Maria, ovvero il 7 dicembre (vigilia dell’Immacolata) ed il 14 agosto (vigilia dell’Assunta).
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