La valle del Foro Romano è, in gran parte, il risultato dell’erosione, entro il compatto banco di tufo vulcanico, di uno dei tanti rigagnoli e fiumicelli che si versano nel Tevere. La depressione del Foro, tra il Campidoglio ed il Palatino, si prolunga a sud-ovest verso il fiume, nella valle del Velabro.Gli scrittori antichi ci confermano la natura paludosa ed inospitale della valle del Foro, tanto che, dalla prima età del ferro (IX secolo a.C.) fino agli ultimi decenni del VII, questa valle sarà utilizzata come sepolcreto. Dobbiamo attendere l’avvento della dinastia etrusca dei Tarquini, ed in particolare di Tarquinio Prisco, che, con la costruzione di un grandioso sistema di fognature (la Cloaca Maxima) riuscì a drenare il fondo paludoso delle valli, per vedere i primi insediamenti. Infatti, quasi contemporaneamente, venne costruita la prima pavimentazione del Foro (intorno al 600 a.C.). L’antichità del Comizio (“comitium” significa luogo di riunione) risulta anche dalla scoperta di un complesso monumentale, il “Lapis Niger“, attribuibile con tutta probabilità all’età regia (VI secolo a.C.). Il Comizio era l’antico centro politico della città ed occupava approssimativamente l’area oggi compresa tra la basilica Emilia, l’Arco di Settimio Severo, la Curia Iulia e la chiesa dei Ss.Luca e Martina. Si trattava di un “templum”, cioè di una superficie consacrata dagli àuguri e quindi orientata secondo i punti cardinali, tanto da essere utilizzata, come scrive Plinio il Vecchio, anche come “orologio solare”. Originariamente era uno spazio quadrangolare ma nel corso del III secolo a.C., sull’esempio dei modelli greci, assunse una forma circolare, con gradinate concentriche tutte intorno. Qui si svolse la vita politica e giudiziaria della città dalla fine del periodo regio fino alla tarda età repubblicana, quando gran parte delle sue funzioni trasmigrarono nel Foro. I primi anni della Repubblica (509 a.C.) videro la costruzione dei primi santuari: quello di Saturno e quello dei Dioscuri. Per ritrovare un’attività edilizia degna di nota dobbiamo arrivare al IV secolo, quando Camillo, vincitore dei Galli, fece costruire (nel 367) il Tempio della Concordia.
Ma il grande sviluppo edilizio del Foro (nella foto 1 una bellissima panoramica) si ebbe più tardi, dopo la fine delle guerre puniche, che diedero a Roma il dominio incontrastato del Mediterraneo occidentale, mentre con le guerre d’Oriente contro gli stati ellenistici, Roma allargò il suo dominio anche nel settore orientale. La capitale dell’impero trasformò in pochi decenni l’aspetto del Foro. Sorsero, così, nel II secolo a.C., ben quattro basiliche (la Porcia, situata tra il carcere Tulliano e l’antica “Curia Hostilia”, l’Emilia, la Sempronia e l’Opimia), vennero anche ricostruiti i templi della Concordia e dei Dioscuri. All’inizio del I secolo a.C., la ricostruzione del Campidoglio fornì alla zona un fondale monumentale, il “Tabularium“. La crisi della Repubblica ed il passaggio del potere nelle mani di personalità tendenzialmente monarchiche portò ad un ulteriore cambiamento di funzioni, che si tradusse in una ristrutturazione urbanistica. Le opere apportate da Cesare, da Augusto e da Tiberio trasformarono la piazza del Foro in uno sfondo di rappresentanza, destinato ad esaltare il prestigio della dinastia. Già nel 54 a.C., infatti, Cesare aveva radicalmente trasformato l’antica piazza: la costruzione del Foro di Cesare comportò la scomparsa del Comizio e dell’antica sede del senato, la “Curia Hostilia” (tradizionalmente attribuita al terzo re di Roma, Tullio Ostilio), sostituita, ma in una nuova posizione, dalla “Curia Iulia“. La struttura conferita alla piazza dall’opera di Augusto resterà a lungo immutata e soltanto Domiziano, in significativa coincidenza con la sua politica spiccatamente monarchica, oserà per primo inserire un elemento di rottura: la sua gigantesca statua equestre, innalzata al centro della piazza, trasformò quest’ultima in un semplice inquadramento architettonico e ruppe il delicato e sottile equilibrio voluto da Augusto. Alla fine del III secolo, quando gli ultimi residui del principato augusteo furono spazzati via dalla riforma diocleziana e l’Impero divenne, di diritto, monarchia assoluta, l’area del Foro fu invasa da costruzioni colossali: le sette colonne onorarie, i monumenti commemoranti il decennale della Tetrarchia e la statua equestre di Costantino. La colonna di Foca, eretta nel 608 al centro dell’area, chiude la storia del Foro Romano. Il Foro, quindi, costituì in origine un mercato, per poi divenire, man mano che la città acquistava in potenza e ricchezza, il centro della città stessa, luogo di riunioni e comizi, accademia di cultura e d’arte. L’origine del nome “foro” deriva dal latino “fero”, cioè porto, dal verbo portare, alludendo al fatto che le merci venivano “portate” lì, al mercato, per essere vendute. Dovettero trascorrere molti secoli affinché l’area del Foro tornasse ad essere nuovamente un mercato, in particolare legato al commercio delle bestie, da cui la nuova denominazione di “Campo Vaccino”, risalente almeno alla metà del XVI secolo, come risulta da una bolla di Sisto V dell’8 aprile 1589. La gabella che i bovari dovevano pagare per vendere le bestie vaccine era regolata da apposite disposizioni e norme, che venivano applicate e fatte scrupolosamente rispettare da un “Governatore della Dogana di Campo Vaccino”. Qui si svolgeva la compravendita, come in una fiera, dei bovini e delle pecore. Tutto questo mercato durò fin quando, in epoca napoleonica, iniziarono nel Foro gli scavi: li curò Pio VII ma i lavori di sterro furono eseguiti in gran parte da galeotti. Il papa riuscì a far riemergere l’Arco di Settimio Severo, liberandolo dalla terra, che nascondeva il monumento fino all’altezza di dodici piedi. Nel 1813 fu sterrata una fra le tante colonne onorarie erette nel Foro, la colonna di Foca.
Siccome il Foro Romano non era più un Campo Vaccino, Pio VII smantellò la fontana-abbeveratoio progettata da Giacomo Della Porta, costituita da una grande tazza di granito orientale di 28 piedi di diametro e da un mascherone racchiuso nella valva di una conchiglia: la tazza fu trasferita davanti al palazzo del Quirinale, ai piedi dell’obelisco e delle due statue equestri di Castore e Polluce, mentre il mascherone (nella foto 2) fu trasferito qualche anno dopo al Porto Leonino e soltanto nel 1936 in piazza Pietro d’Illiria, dove ancora oggi possiamo ammirarlo ad ornamento di un’altra fontana. Il nome di Campo Vaccino è strettamente legato ad una delle più antiche e gagliarde tradizioni romane: la “sassaiola”. Queste furiose battaglie con i sassi (o “rocci”, come venivano chiamati) si svolgevano fra i bulli dei vari rioni, soprattutto di Trastevere e di Monti, acerrimi nemici tra loro, nella pianura del Foro, dove i “rocci” certamente non mancavano. L’intensa attività edilizia che si aprì con il ritorno della sede papale in Roma, dopo l’esilio avignonese, provocò lo sfruttamento intensivo dei materiali antichi: l’ampia area del Foro si trasformò in una gigantesca e quasi inesauribile cava di marmi e pietre, distruggendo tutti quei monumenti che si erano conservati nei secoli, protetti da una spessa coltre di terra. Questa pratica vandalica finì nel XVII secolo, forse anche perché terminò la materia prima da prelevare. La liberazione sistematica delle rovine iniziò soltanto nel XIX secolo, anche se occorrerà attendere la fine del secolo stesso per liberare praticamente tutta l’area oggi visibile.
> Vedi Cartoline di Roma
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Foro Romano di G.B.Piranesi
Foro Romano di E.Du Pérac
Foro Romano di J.H.Schillbach
Parte di Campo Vaccino di G.B.Vasi