Olimpia Maidalchini (nell’immagine sopra, un busto di Donna Olimpia in marmo di Carrara, opera di Alessandro Algardi del 1646-7), più conosciuta come Donna Olimpia o, popolarmente, la “Pimpaccia”, nacque a Viterbo il 26 maggio 1592 da Sforza Maidalchini, capitano gerosolimitano e funzionario della Dogana pontificia, e da Vittoria Gualterio, patrizia di Orvieto, patrizia romana e nobile di Viterbo. Il padre, fermamente intenzionato a lasciare unico erede il figlio maschio, aveva destinato le tre figlie femmine al convento, come accadeva normalmente all’epoca, al fine di evitare di dover fornire loro la dote necessaria per matrimoni onorevoli. Il capitano, però, non aveva fatto i conti con il carattere e la volontà di Olimpia, decisa ad avere un posto nella società ed a non lasciarsi chiudere dietro le mura di un convento. Così, quando suo padre la affidò ad un sacerdote per la necessaria preparazione spirituale, la ragazza escogitò uno stratagemma poco onorevole ma assolutamente funzionale alle sue mire: accusò il povero ed incolpevole sacerdote di molestie sessuali. L’accusa si rivelò poi infondata tanto che il povero frate venne riabilitato, ma l’episodio fu sufficiente affinché Olimpia evitasse il convento. Il 28 settembre 1608, all’età di 16 anni, sposò Paolo Nini, un ricco ed anziano proprietario terriero viterbese, che dopo soli tre anni la lasciò vedova, libera e con un’ingente eredità. Ambiziosa di un ruolo di primo piano nella società romana, nel 1612 andò in sposa a Pamphilio Pamphilj, appartenente alla nobile famiglia romana, ed andò ad abitare nel palazzo che i Pamphilj possedevano a piazza Navona. Fu un matrimonio che accontentò entrambi: Olimpia si imparentava con una delle famiglie di maggior rilievo della nobiltà romana mentre l’uomo prendeva in moglie una donna giovane e ricca, che risanava le esauste casse di famiglia. Nel frattempo il fratello di Pamphilio, Giovanni Battista, stava scalando i vertici ecclesiastici ed Olimpia ebbe l’intelligenza, spinta sicuramente anche dall’ambizione, di favorirne in ogni modo l’ascesa, grazie anche al patrimonio che aveva ereditato dal defunto primo marito.
Comunque, sia per meriti propri sia per le trame della cognata, monsignor Pamphilj di carriera ne fece effettivamente molta: prima fu nominato nunzio a Napoli, poi cardinale e legato presso la corte di Francia ed infine, nel 1644, papa, con il nome di Innocenzo X (nell’immagine 1, “Ritratto di Innocenzo X”, un dipinto ad olio su tela di Diego Velàzquez del 1650). Quanto fosse importante Donna Olimpia fu subito chiaro sin dalla cerimonia della Presa di Possesso, quando il papa fece deviare il corteo per impartire la benedizione alla nipote “Olimpiuccia” affacciata alle finestre di palazzo Pamphilj. Pochi giorni dopo l’elezione, il 24 settembre 1644, Innocenzo X stilò un testamento con cui legava tutti i suoi beni personali a Donna Olimpia, che divenne così la figura più potente di Roma (ciò le valse anche l’appellativo di “papessa”): affari, riconoscimenti, nomine, appalti, si diceva che tutto venisse deciso nel suo salotto di palazzo Pamphilj. Inevitabilmente tutta Roma (a cominciare da Pasquino) parlava e sparlava di come Donna Olimpia fosse più legata al cognato che al marito e che fra i due non ci fosse solo quel rapporto spirituale e platonico ostentato in pubblico ma una vera e propria relazione intima, soprattutto dopo la morte di Pamphilio avvenuta nel 1639; di come chiunque volesse arrivare al pontefice dovesse passare attraverso la cognata e di quanto costassero cari i suoi favori. Nel 1645 Olimpia ricevette da Innocenzo X le terre appartenute alla ormai chiusa abbazia di S.Martino al Cimino ed i relativi edifici, in rovina, del complesso abbaziale, nonché il titolo di principessa di S.Martino al Cimino e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona. Ben nota era la sua smisurata avidità di denaro, tanto che si narra che durante le feste a Roma, quando era tradizione, tra i ricchi, di gettare in strada le candele che erano servite per illuminare le finestre in modo che i poveri ne potessero beneficiare, Olimpia facesse vestire da straccioni i suoi domestici per recuperare la cera delle candele e non sprecarla. Si mormorava anche che Donna Olimpia favorisse un losco giro di prostituzione, dal quale ovviamente ricavava denaro ma non solo; in questo modo era al corrente dei segreti inconfessabili di patrizi e prelati, aumentando così ancor più il suo potere e prestigio. Un personaggio così in vista non poteva certo sfuggire alle battute satiriche di Pasquino, la voce parlante di Roma, che, con la solita arguzia, le dedicò alcune “pasquinate” che divennero celebri: “Chi dice donna, dice danno, chi dice femmina, dice malanno, chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Fu lo stesso Pasquino a darle il soprannome di “Pimpaccia”, deformando in romanesco il titolo di una commedia assai famosa nel 1600, “Pimpa”, la cui protagonista era, come donna Olimpia, dispotica e furba, presuntuosa e spregiudicata; da quel momento il soprannome le restò come una seconda pelle, accompagnandola per l’eternità. Altre “pasquinate” che rimasero famose furono: “Olim pia, nunc impia”, ovvero, con un gioco di parole in latino, “Un tempo pia, ora empia”; o ancora, in un dialogo tra Pasquino e Marforio, altra celebre statua parlante, dove il primo chiedeva come si facesse a trovare la porta di Donna Olimpia e l’altro rispondeva: “Chi porta trova la porta, chi non porta non trova la porta”, oppure “Oh, Pasquino, vieni dal Vaticano? – Si – Hai visto il Papa? – No, era inutile! Ho veduto la signora Olimpia”. Un aneddoto famoso che riassume perfettamente la sua personalità, racchiudendo sia la sua avidità sia la sua importanza, è legato all’appalto per la ricollocazione a piazza Navona di un antico obelisco rinvenuto nel Circo di Massenzio.
Sembra che inizialmente il pontefice fosse orientato ad affidare il lavoro a Francesco Borromini ma poi Gian Lorenzo Bernini fece fondere in argento massiccio un modello del suo progetto offrendolo a Donna Olimpia, la quale non ci mise molto a convincere il cognato ad assegnare l’incarico al Bernini piuttosto che al Borromini: fu così che venne realizzata la fontana dei Fiumi, un “miracolo del mondo”, come venne definita. Olimpia (nell’immagine 2, “Ritratto di Donna Olimpia”, di artista sconosciuto di scuola italiana del 1650 circa) ebbe dal marito Pamphilio due figlie ed un figlio: Maria Flaminia, Costanza, principessa di Piombino, e Camillo, che divenne prima cardinale nel 1644 ma poi vi rinunciò, con dispensa papale, per sposare Olimpia Aldobrandini, ricca erede di un cospicuo patrimonio familiare nonché giovane vedova del principe Paolo Borghese, con la quale Donna Olimpia ebbe, a dir poco, un rapporto tempestoso. Il ruolo forte della Maidalchini fu molto evidente durante l’anno santo del 1650, quando, durante le cerimonie giubilari, occupò un posto di primo piano, addirittura presenziando, a fianco del papa, all’apertura della Porta Santa. Il fatto suscitò notevole scalpore, rinfocolando un’ostilità per Donna Olimpia che si era manifestata già nel marzo 1649, quando la “papessa” aveva promosso il trafugamento di alcune reliquie di S.Francesca Romana, sottratte alle monache di Tor de’ Specchi e trasferite nel feudo di S.Martino al Cimino. Quando il 7 gennaio 1655 Innocenzo X morì, si narra che Donna Olimpia asportò dalla sua stanza due casse piene d’oro e che, a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale, rispondesse: “Che cosa può fare una povera vedova?” Così, per l’avarizia dei parenti, il cadavere del pontefice rimase momentaneamente senza sepoltura e solo grazie alla generosità del suo maggiordomo Scotti, che fece costruire una semplice cassa, e del canonico Segni, che intervenne finanziariamente per sostenere le spese, Innocenzo X poté essere sepolto nella chiesa di S.Agnese. Nel successivo conclave Donna Olimpia si illuse di poter ancora giocare un ruolo determinante nell’elezione del pontefice, grazie anche alla sua alleanza con i Barberini, ma dovette invece assistere impotente all’elezione di un vecchio avversario, il segretario di Stato Fabio Chigi, che divenne papa il 7 aprile 1655 col nome di Alessandro VII. Il nuovo pontefice comminò ad Olimpia l’esilio da Roma: dopo essersi ritirata prima ad Orvieto, si trasferì nei suoi possedimenti di Viterbo e di S.Martino al Cimino, dove morì il 26 settembre 1657, forse uccisa dalla peste. Donna Olimpia fu una delle protagoniste della storia di Roma nel XVII secolo: una donna di potere, quindi una persona malvista già in partenza per il suo ruolo, ma anche una donna testarda, volitiva, capace di imporsi in un universo popolato esclusivamente da figure maschili. Secondo la tradizione popolare la “Pimpaccia” continuò ad imperversare anche dopo la morte, animando Roma con le sue scorribande notturne. La leggenda, infatti, vuole che il 7 gennaio, anniversario della morte di Innocenzo X, o nelle notti di plenilunio, il fantasma di Donna Olimpia appaia nei pressi di Villa Pamphilj sulla sua carrozza piena d’oro e trainata da quattro destrieri, lasciando una scia di fuoco e imperversando per le vie di Roma. Dopo aver attraversato ponte Sisto, la leggenda vuole che scompaia nel Tevere, dove i diavoli ogni volta vengono a prenderla per riportarla all’inferno: per questo motivo fino al 1914 il tratto della via Aurelia compreso tra Villa Pamphilj e porta S.Pancrazio era soprannominato via Tiradiavoli e l’Arco di Paolo V era detto arco di Tiradiavoli. La sua figura divenne, con il passare degli anni, un sinonimo di avidità e di sete di potere; le si attribuirono nefandezze di ogni genere che ovviamente furono gonfiate a dismisura, demonizzando storicamente la sua figura ben aldilà della reale portata del personaggio.