Le Catacombe di S.Callisto (alle quali si accede da un cancello posto dinanzi alla chiesa detta “Domine, quo vadis?“, al bivio tra la Via Appia Antica e la Via Ardeatina, mentre il bel portale d’ingresso nella foto sopra è situato in Largo dei Martiri delle Fosse Ardeatine, sulla Via Ardeatina) si estendono per circa 20 km di gallerie, distribuite su quattro livelli. Il primo nucleo del complesso cimiteriale delle Catacombe di S.Callisto risale alla metà del II secolo ed era situato in un’area di proprietà, secondo l’opinione dell’archeologo Giovanni Battista De Rossi, della famiglia dei “Caecili“, dopo il rinvenimento di numerosi frammenti di sarcofagi nei quali ricorreva frequentemente il nome della famiglia. Da questo primo nucleo, conosciuto con il nome di “Cripta di Lucina” e costituito da un cubicolo doppio ornato di pitture, si sviluppò la grande necropoli, una delle più vaste della Roma sotterranea. All’inizio del III secolo la proprietà dell’intera area risulta della comunità cristiana e Papa Zefirino (199-217) ne affidò l’amministrazione al primo dei suoi diaconi, Callisto. Contrariamente così all’uso di denominare una necropoli cristiana dal nome del martire o da quello del donatore o dal toponimo della località, il complesso delle Catacombe di S.Callisto prese il nome dal suo amministratore e custode. Divenuto papa nel 217, Callisto, martire della persecuzione di Alessandro Severo, fu sepolto, avendo subìto il martirio in Trastevere, in un cimitero detto “di Calepodio” sulla “Via Aurelia“. Nel V secolo le Catacombe di S.Callisto erano uno dei santuari più frequentati dai pellegrini, i quali percorrevano le buie gallerie secondo gli “itinera” obbligati creati da Papa Damaso per celebrare il culto dei martiri e santi lì deposti.
Le Catacombe di S.Callisto, abbandonate nel IX secolo dopo le traslazioni, caddero nell’oblìo e tornarono alla luce solo nell’Ottocento per merito di Giovanni Battista De Rossi. In quel tempo lo studioso, sempre alla ricerca di ruderi di monumenti ed epigrafi, entrando in una vigna sull’Appia Antica, venne attratto da due edifici triabsidati: le due tricore oggi visibili a sinistra ed a destra dell’ingresso alle catacombe. Una di esse era stata adibita a casale di campagna, mentre l’altra, trasformata in cantina, conteneva botti di vino. La tipologia architettonica delle costruzioni convinse l’archeologo di trovarsi di fronte a monumenti paleocristiani. I suoi studi lo portarono ad affermare che la tricora orientale (quella a sinistra dell’ingresso) fosse il sepolcro venerato di Papa Zefirino e del martire Tarsicio, il giovane che fu martirizzato per non aver voluto consegnare ai pagani le ostie consacrate. Scavi successivi hanno identificato invece l’edificio con un mausoleo risalente ad epoca tardo romana, a pianta quadrata, all’interno del quale sono oggi conservati numerosi frammenti di sarcofagi e di iscrizioni appartenenti al cimitero. Molto più verosimilmente la tomba dei due personaggi deve essere riconosciuta nella tricora occidentale: restaurata all’inizio del Novecento, questa conserva la muratura antica dal suolo fino all’altezza dell’imposta degli archi, fino al punto, cioè, in cui l’edificio, coperto in origine a cupola, fu tagliato per la ricostruzione della volta. Ma la muratura superstite non offre una base sufficiente per una datazione precisa, poiché il sistema a file di mattoni con grossi strati di calce fu largamente usato dal III secolo in poi. Dopo l’acquisto del terreno, deciso da Papa Pio IX, Giovanni Battista De Rossi iniziò gli scavi e, nel giro di pochi anni, arrivò a scoperte entusiasmanti: nel 1849 il ritrovamento di una lastra spezzata gli consentì di risalire alla tomba di Papa Cornelio, che venne alla luce nel 1852, mentre nel 1854 ritrovò la “Cripta dei papi” e l’annesso “cubicolo di S.Cecilia“.
A quest’area, denominata “Area I”, si arriva scendendo due scale, la prima delle quali termina in un vestibolo che ha le pareti coperte di graffiti, testimonianti la sepoltura, nei paraggi, di personaggi venerati. Si accede quindi alla già menzionata “Cripta dei papi” (nella foto 1) che contiene 17 sepolture: 4 urne per sarcofagi, 12 loculi ed una tomba principale a mensa di fronte all’ingresso, nelle quali furono sepolti alcuni degli almeno 14 papi che le fonti storiche assicurano deposti nel cimitero. Le iscrizioni rimaste, incise sulle lastre di marmo che chiudevano i loculi (col nome del papa, in greco e la sua qualifica di “epìskopos“) testimoniano la presenza dei papi Ponziano, Antero, Fabiano. Lucio, Stefano, Sisto II, Dionisio, Felice ed Eutichiano, qui sepolti dal 235 al 283. Il personaggio che rese celebre la cappella fu sicuramente Sisto II, il papa sorpreso e decapitato dai soldati di Valeriano mentre celebrava messa nel sopratterra: era il 6 agosto del 258 e l’imperatore aveva emanato un editto con il quale confiscava i beni della Chiesa, compresi i “coemeteria” e proibiva le riunioni in questi luoghi. Per molto tempo la Cripta fu chiamata “di Sisto II“, anche se proprio la sua sepoltura rimane un quesito ancora irrisolto: perché si attese fino al 258 (anno della sua morte) per occupare il sepolcro principale a mensa dove fu deposto, considerato che la prima sepoltura risale al 235? La Cripta fu scavata al di sotto di una zona ben delimitata in quanto, secondo la legislazione romana, lo scavo sotterraneo doveva coincidere con la proprietà del sopratterra. L’escavazione partì da due scale parallele: all’inizio doveva essere di due sole gallerie che si allungavano in direzione sud. Successivamente le gallerie furono collegate, sul fondo, da una terza galleria. Parallela a questa vennero scavati altri corridoi. Lavori di adeguamento, ristrutturazione ed ampliamento vennero fatti eseguire proprio dal futuro Papa Callisto. La “Cripta dei papi” fu probabilmente realizzata dopo la sua morte avvenuta nel 222 e ciò spiegherebbe l’assenza della sua tomba nella Cappella papale. Nel IV secolo, al tempo del cristianesimo trionfante, con la monumentalizzazione dei sepolcri venerati voluta da Papa Damaso, il sepolcreto dei papi venne decorato ed arricchito. Due colonne a spirale sostenevano un epistilio per le lampade votive; transenne marmoree rivestivano gli importanti e venerati sepolcri. Contemporaneamente, la Cripta venne collegata con il retrostante “cubicolo di S.Cecilia” tramite un passaggio: qui fu rinvenuto, nel IX secolo, il corpo di Cecilia, avvolto in una trapunta d’oro e miracolosamente intatto, come vuole la tradizione. Oggi nella stessa nicchia possiamo ammirare la copia della famosa statua eseguita nel 1600 da Stefano Maderno (nella foto 2), nella stessa posizione, si dice, in cui fu trovata la Santa: la statua originale si trova nella chiesa di S.Cecilia in Trastevere. Cecilia era di nobile famiglia romana e, scoperta cristiana, fu giustiziata. La leggenda vuole che visse ancora tre giorni e, parlando ai fedeli che venivano a visitarla, fra i quali Urbano vescovo, chiese di costruire una chiesa sulla sua casa in Trastevere. Anche il ritrovamento del corpo è avvolta dalla leggenda: nell’820 Papa Pasquale I, impegnato a traslare i corpi dei martiri nelle rispettive chiese e convinto che il corpo della santa, non essendo stato ancora ritrovato, fosse stato trafugato, ebbe in sogno la giovane che gli indicò il luogo della propria sepoltura. A fianco della “Cripta dei papi” si allunga una galleria rettilinea lungo la quale si affacciano sei cubicoli detti “dei Sacramenti“. Le cappelle sono affrescate con scene simboliche piuttosto originali dal punto di vista iconografico e rese con tecnica impressionistica. Si ricordano in particolare il “Battesimo di Gesù“, il “Banchetto eucaristico presso il lago di Tiberiade” e la “Moltiplicazione dei Pani“, pitture realizzate tra la fine del II ed i primi decenni del III secolo. Nel 296 moriva Papa Gaio, primo pontefice a non essere tumulato nella Cripta: il suo cubicolo è collocato in posizione privilegiata ai piedi di una grande scala. Di fronte è posto il cubicolo di Papa Eusebio, morto nel 310 e traslato nel 311 dalla Sicilia. In una cappella esterna trovarono sepoltura Calocero e Partenio, due martiri uccisi nel 304, durante la persecuzione dioclezianea.
Nella zona è stata recuperata l’iscrizione del diacono Severo (nella foto 3), risalente all’inizio del IV secolo, incisa su una transenna marmorea che chiudeva un arcosolio, molto importante perché per la prima volta viene adoperato il termine “papa” per indicare il Vescovo di Roma. L’iscrizione recita che “il diacono Severo, autorizzato dal suo Papa Marcellino, fece un cubicolo doppio, con arcosoli e lucernario, tranquilla dimora di pace per sé e per i suoi familiari“. Papa Marcellino pontificò tra il 296 ed il 304: se ne deduce, quindi, che l’iscrizione risalga alla fine del III o ai primi anni del IV secolo. Molto importante anche il riferimento alla resurrezione della carne: Severo dice che “il cubicolo accoglie il corpo della bambina Severa (morta all’età di 9 anni e 11 mesi) che resterà in questo luogo fino a quando sarà fatto risorgere da Colui il quale ne rapì l’anima casta, pudica e inviolabile per l’eternità: anima che sarà restituita al corpo adorna di gioia spirituale“. Un altro ambiente molto importante delle Catacombe di S.Callisto sono le “Cripte di Lucina“, dal nome della proprietaria del fondo che raccolse le spoglie di Papa Cornelio per deporle in “crypta iuxta cimiterium Callisti in Via Appia“, cioè in una cripta presso il Cimitero di S.Callisto. Papa Cornelio (251-253) morì a Civitavecchia nel 253, dove era stato deportato durante la persecuzione dell’imperatore Treboniano Gallo e traslato nelle Catacombe di S.Callisto fra il 258 ed il 260. Dinanzi alla nicchia fu posta una lastra marmorea sulla quale furono scolpite le parole, eccezionalmente in latino, anziché in greco, “CORNELIUS MARTYR EP(ISCOPUS)”, ossia “Cornelio vescovo martire”. In quest’area cimiteriale furono rinvenute le prime pitture paleocristiane: famosissima quella del pesce sul quale poggia un cesto contenente un recipiente per il vino e dei pani, chiaro riferimento al sacramento dell’eucaristia. Anche qui rimane evidente l’intervento di Papa Damaso che dettò per Cornelio un’epigrafe giunta fino a noi in frammenti lacunosi. Nella composizione il papa rileva che grazie alla costruzione della scala è stato facilitato l’accesso del popolo al sepolcro venerato di Cornelio, da dove, per effetto dell’apertura del lucernario, sono state fugate le tenebre. Il papa dice di aver compiuto quei lavori spinto dalla propria sollecitudine per i sepolcri dei martiri e invita i fedeli a pregare per lui.