AVVERTENZA
La raccoltina presente la feci per dare un’idea delle piccole industrie nomadi scomparse o tendenti a scomparire, e di quelle nuove che le hanno surrogate. Il Mainzer, nel suo soggiorno in Roma, raccolse e pubblicò alcune nenie udite per le strade; così il Kastner, il quale nel suo pregiato studio sulle cantilene dei venditori girovaghi di Parigi, accennando rapidamente a tutti i venditori nomadi delle altre regioni, nota che quelli italiani e particolarmente i romani, hanno delle cantilene che presso a poco sono dello stesso carattere delle voci spagnuole. Si direbbe — egli osserva — che l’uso dei canti religiosi così comune e popolare nei due paesi abbia influito sensibilmente sulla forma musicale dei ritornelli mercantili. Un solo punta nero — scrive l’erudito e dotto conte Alessandro Moroni13 — si rinviene nella storia a carico dei venditori ambulanti di Roma; vale a dire che fossero costretti non di rado dal Governo ad esercitarsi nel mestiere delle spie. «Tutti i rivenditori di biscotti o i ciambellari — dice uno scrittore francese del secolo XVIII — e la notte tutti gli acquavitari che girano per le strade… sono pagati per fare le spie. E ciò secondo il sistema del cardinale Francesco Barberini; il quale aveva le sue buone ragioni per prendersi cura di collocare in tutte le primarie famiglie di Roma servi, cuochi e cameriere. La sua casa era divenuta un’agenzia des tous les laquais et valets de Rome…».
Ho divisa questa raccoltina in voci vecchie e nuove, perchè, ripeto, non ho voluto dare soltanto un saggio dei venditori cantaiuoli della Roma di adesso, ma anche di quelli dei miei anni giovanili, come anche delle loro voci dei primordi del secolo XIX, forse chi lo sa da quanti altri secoli tramandate di padre in figlio, di generazione in generazione; ricordi — come scrive a proposito il citato conte Moroni — di epoche lontane, di gemiti sommessi ma secolari della umanità che soffre e che lavora.
Per l’intelligenza del lettore, mi è indispensabile il far precedere questa raccolta da alcuni dati storici e da parecchie dotte considerazioni che sono andato spigolando, col gentile consenso dell’autore, dall’accennato studio del chiaro conte Alessandro Moroni intitolato: «Vie, voci e viandanti della vecchia Roma». E ciò anche per non rifare inutilmente un lavoro del quale non c’è più bisogno.
«In Roma — egli scrive — fin dai tempi della così detta Rinascenza, i merciai ambulanti erano più numerosi di quello che si veggono al presente: giacchè i venditori girovaghi non si riducevano, siccome avviene ora, al piccolo commercio dei commestibili, e di pochi ninnoli di scarto; ma portavano bensì in giro per le contrade e per le case drappi di valore, utensili, oggetti d’arte, novità e derrate di ogni regione e ragione… Si era ben lontani dal lusso delle vetrine, dalla varietà delle così dette mostre… Fin quasi a memoria dei nostri vecchi queste si erano mantenute lercie e nella massima parte di povero aspetto. Le botteguccie degli orefici al Pellegrino, dei calzettai ai Cesarini, dei mercanti di panno in Agone, ai Banchi, in Sant’Eustachio, nel Ghetto, con le mostre di panno turchino listate di rosso appiccate alle pareti esterne delle imposte, tramezzate da una mezza balaustrata di pietra alla porta d’ingresso, potean dirsi le migliori del genere. Il grande commercio delle stoffe, delle mode, e di tutti gli amminicoli del lusso, era condotto da pochi banchieri e mercanti, d’ordinario assai ricchi, i quali per non discostarsi troppo dal centro, accumulavano le mercatanzie, abbatuffolate su rozze impalcature, in miseri ambienti, situati in fondo a cortili, ove, dietro piccolo desco, con iscarsa luce, in pieno giorno, e di sera con una lucerna di ottone a triplice lucignolo, si contrattava d’ingenti somme…».
* * *
«Percorrendo le vie di Roma con la scorta delle vecchie cronache, è da scommettere che molti rimarrebbero impacciati udendo parlare di scrannari, di bombattari, di paternostrari (coronari), di pelamantellari (pellicciai), di lentari, di gipponari (tessitori di corpetti), di morteliari, margaritari e simili, come tra i documenti di quattro o cinque secoli indietro non s’identificano subito i carnifices per macellai, i mueliones per carrettieri, gli equi forensium per cavalli forestieri; e più tardi gli strazzaroli per mercanti di seta greggia, i pelacani per conciatori di pelle, i repezzini di Genova (rimendatori), gli agucchiatori (fabbricanti di tessuti a maglia), i pattari di Milano (rigattieri), gli sprocani di Ferrara (venditori di legna da ardere), i franfellicari e gli zeppolaiuoli di Napoli (portatori di zuccherini e di frittelle)».
* * *
«Andrea Speciale, poeta popolare romano al principio del secolo XVII, in un curioso e ignorato opuscolo intitolato: Historia nova e piacevole dove si raccontano tutte le cose che si vanno vendendo dagli artigiani per Roma, dopo aver notato i principali mercati a Campidoglio e a piazza Navona, alla piazza dei Giudei, a Campo di Fiore, alla Rotonda, a Torre Sanguigna, al Pozzo Bianco, così canta a modo suo:
«Ma questo è ombra a quel ch’a la giornata
Vi passa a canto a casa ogni matina
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Considerate poi che tutte l’arte
Vi passano davanti in ogni parte».
Questa era la pura verità. Ai merciai ambulanti propriamente detti, si aggiungevano numerosissimi artigiani i quali per le difficoltà di procurarsi una clientela fissa ed una officina in vista del pubblico, giravano tutto il giorno per accaparrarsi lavoro.
«Passa il chiavaro, e cerca d’acconciare
In casa tua cassetto o forciero…
Quell’altra voce fa l’aer tremare
Chi vuol conciar lucerne o candeliero;
Quell’altro grida: cucchiai e catini
E l’altro strilla: forbicette fini.
Senti uno che dice: canestri canestri,
Odi l’altro che grida: lino lino;
Uno che si vanta di conciare i destri
Parla con un che va vendendo il vino.
Ecco per Roma infiniti maestri
Col sacco in spalla e in mano un bacchettino
Gridando tutto il dì: scarpe, pianelle
E l’altro canta: vascelle, vascelle».
* * *
«Seguitando a pedinare i venditori ambulanti, vediamo altresì pei calzamenti portarsi in giro le francesche, specie di scarpette per donna fatte all’uso di Francia; le cornacchie, le scarpe di cordovano, gli scarferoni o scarferotti e i frattoni, ripiego economico per difendersi dalle pozzanghere e dalle spine delle fratte in surrogazione degli stivali».
* * *
«Da una ballata rusticana del 1464 tolta da un Ms. Casanatense, apprendiamo che per le vie di Roma le venditrici di erbaggi gridavano: il petrosello, la mempitella, il serapullo, la borrana, la persia coviella, la ramoraccia, la rughetta, e il macerone, mentre i pescivendoli urlavano offrendo a vile prezzo i castaurielli e i triuli…».
* * *
«… Il poeta Andrea Speciale non è avaro di nuovi e curiosi particolari ricordando i venditori di farinelle per gli infermi, quelli di puleggio per le doglie del fianco, altri di secreti per la così detta mala macchia, o per campar dal morso dei serpenti: e finalmente gli spacciatori girovaghi di spezie e di pane bruscato:
«Per ridonare il gusto all’ammalato».
Nel 1651 l’acquavite si chiamava in Roma la pollacchina, leggendosi in una canzonetta di quell’anno:
«Chi vuol dir gli acquavitari
Quei che tutta la mattina
Van gridando: pollacchina».
* * *
«Parimenti veniamo a sapere che i venditori ambulanti per invogliare le signore a comperare la seta valutata in quei tempi ad alto prezzo, si contentavano di barattarla con farina… Così sappiamo che le ricotte si vendevano dandole a saggio gratuitamente in una scodelletta; e che a vendere i coltelli s’industriavano le donne, ma senza gridare… Che le palle moscate erano sì accette al bel sesso che i giovani innamorati, per aver l’occasione di parlare alle loro belle, si trasformavano sovente in aromatari, cioè in venditori di saponi profumati. Le focaccine all’essenza di rosmarino, tanto comuni in Roma fino a pochi anni fa, e solite a vendersi nelle prime ore della notte, col grido di pan di ramerino, erano sconosciute tra noi prima del 1870. Furono portate intorno a quel tempo di Toscana, e parvero in Roma una novità. Invece non si tratta d’altro che di una vecchia speculazione andata in disuso, giacchè proprio con lo stesso nome e forse col medesimo canto era ben nota ed avviata in Roma fin dal tempo del poeta Speciale, rallegrandosi egli alla sera:
«Perchè si sente un certo fiorentino
Che va gridando: pan di ramerino!».
Voci scomparse.
1. I FANCIULLI PERDUTI.
«Si udiva talora per le vie una lugubre cantilena di voci argentine, interrotta frequentemente dal suono di un campanello. Era — è sempre il Moroni che parla — la grida dei fanciulli perduti. Una turba di ragazzi preceduti da una croce percorrevano le vie annunziando che un bimbo o una bimba non erano tornati alle loro case; invitavano i buoni a darne notizie se ne avessero, e a ricondurli presso i genitori desolati, indicandone ad alta voce l’indirizzo».
2. LE ZITELLE SPERSE. I FATE-BENE-FRATELLI.
«Le zitelle sperse di Sant’Eufemia andavano per le strade cantando specialmente di notte: tantochè il cardinale Ascanio Colonna (nota l’Amayden) impose a loro il nome di cicale notturne». L’origine del nome dei Bonfratelli, ossia Fate-bene-fratelli, rimonta al trionfale ingresso di Marc’Antonio Colonna in Roma, reduce dalla battaglia di Lepanto. Francesco Albertonio nella Relatione dell’entrata fatta dall’Ecc.mo M. Ant. Colonna, dice: «Dopo questo, quasi capo e conduttore loro, era un Romito, vomo spirituale, vestito alla Turchesca, portando alla spalla manca un crocifisso, e nella sinistra una scimitarra; e di quando in quando gridava: Viva la Santa Lega!; questo vomo perchè soleva gridare per Roma: Fate-ben-per-voi era anche dal popolo chiamato: Fate-ben-per-voi e tenuto per vomo santo». E il Volena, nelle sue Cose memorabili, scrive: «V’era un Romito chiamato dalle parole che spesso soleva ripetere: Fate-ben-per-voi. Era tenuto per santo, e in tal credito presso il papa e principi, che tutto quello che domandava non gli si negava niente e si serviva dei denari in maritare zitelle pericolanti. Ne trovò una che gli piacque, e se la prese per moglie e perse tutto il credito. Andava poi per Roma con un paro di bilancie, attaccate ad un bastone, in cima del quale era una testa di morto, dicendo che havea mal pesato. Gli fu creata una canzone, che diceva:
«State attenti, che riderete poi,
Quando saprete che ha preso moglie
Fate-ben-per-voi ».
«Andò alla guerra d’Ungaria con Gio. Fr. Aldombrandino, con un crocifisso in mano facendo animo a’ soldati, e vi fu ferito da’ Turchi. In detto tempo principiò in Roma la Religione di Fateben- Fratelli. Gregorio XIII gli diede la Chiesa di San Giovanni Colabita nell’Isola di Ponte Quattro Capi; vi fecero l’Ospedale per gl’infermi; e andavano la sera per Roma con un campanello, dicendo: Fate-bene-Fratelli!».
3. I “TRIONFI„ ALLE PUERPERE.
«S’ode di lontano il suono di una tromba… Si avanzano alcuni trombettieri vestiti teatralmente… A breve distanza procedono a passo lento i mazzieri pettoruti con le loro divise nere, intenti a mostrare la loro bravura di giocolare con le mazze sormontate da grossi pomi d’argento. Seguono in doppia fila, come frati in processione, parecchie dozzine di servitori insaccati nelle goffe livree del settecento, con brache corte, calze di seta, cappello a lucerna, e falde enormi che distaccandosi dal giubbone si protendono insino alle calcagna. Poi viene un altro tubicino il quale preannunzia con una breve e squillante modulazione di cornetta le sacramentali parole gridate con solennità dai banditori, ad ogni fermata, nelle piazze e nelle traverse delle vie. Le parole di rito erano, a mo’ d’esempio, le seguenti: «Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale De Bernis a S. E. la Signora Principessa Santacroce». E subito dopo, portato da numerosi facchini, si vedeva torreggiare il padiglione delle puerpere, cioè una grandiosa macchina dai bizzarri disegni interamente rivestita di lunghe file di tagliolini, di savoiardi, di tortelle, di paste all’uovo, il tutto intramezzato da uno sciame di capponi e di galline per uso della illustre puerpera. La pompa trionfale si chiudeva con la nobile anticamera del munifico donatore che faceva ala di buon grado ai capponi e alle galline per conseguire le regalie e le bibalia solite a darsi in tali occasioni. L’onore di questi trionfi dell’uovo non era riserbato alle sole dame. La differenza era soltanto nelle dimensioni delle macchine; ma all’infuori di ciò, non vi era, si può dire, puerpera la quale non rimediasse il suo padiglioncino».
4. I CARCIOFOLARI.
«I carciofolari erano cantori e suonatori d’arpa; specie di bardi girovaghi, nativi per lo più degli Abruzzi, così chiamati dalla stessa parola: carciofolà che un tempo terminava quasi intercalare, le loro strofe d’amore».
5. I PIFFERARI.
«O bbiferari, erano anch’essi abruzzesi. Vestivano — scrive il Belli — un pittoresco costume e venivano nello Stato pontificio sul cadere del novembre, a tre a tre. Uno suonava il piffero o cennamella, l’altro la cornamusa, e il terzo cantava canzoni inintelligibili, per la novena di Natale, ai piedi di tutte le Madonne che sono sui cantoni delle strade di Roma».
6. L’ACCONCIA-PANNI.
Quasi tutti i poveri ebrei di Roma, molti anni fa, vivevano racconciando panni vecchi; e quindi andavano gridando per la città
— Chi accóncia pânnii?!
7. I MANDATARI.
Erano (e lo sono ancora) una specie di servi ecclesiastici delle fraternite di Roma, poichè ogni arte, mestiere e condizione di uomini ha in Roma la sua Confraternita. Vestiti — scrive il Belli — di una goffa livrea, o dicasi pure divisa, coi colori della compagnia alla quale appartenevano, i Mandatari precedevano i convogli funebri, intimavano le associazioni dei cadaveri… avevano cura della proprietà interna dei loro instituti; e una volta alla settimana andavano in abito di costume e con una bussoletta fra le mani a cantare sotto i balconi de’ devoti certa nenia monotona che chiede sempre danaro e termina con un Deo gratias. Ve ne erano in giro della compagnia della Morte, del Suffragio, di Gesù Nazzareno, di Maria SS. del Soccorso, di S. Gregorio Taumaturgo, protettore dei casi disperati, ecc. ecc. Il Deo gratias di quest’ultimo era il più solenne e stirato che si potesse desiderare. Il tempo musicale di esso aveva il valore di due buone massime:
«Devoti de San Gregorio ’ettaumaturgo protettore de li casi disperati. Deo ghéérazia!».
8. LA CALAMISVÀ.
«Quando il mandataro della Compagnia Israelitica della Morte, per le strade del Ghetto, con in mano un bussolotto di ferro per raccogliervi le elemosine, precedeva i convogli funebri, a brevi intervalli in tono lento e patetico, andava gridando:
— Zedacà! la mizvà!
La prima di queste parole ebraiche — dice il chiaro prof. Morandi — significa elemosina; la seconda (mizvà), a cui è stato appiccicato il nostro articolo la, significa precetto religioso, ma per estensione, almeno tra gli ebrei di Roma, convoglio funebre. Sicchè il grido del Mandataro era un’esortazione a far l’elemosina pel morto ed insieme ad accompagnarlo. E infatti a quel grido le donne si affacciavano alle finestre e gettavano giù il loro obolo, mentre gli uomini, uscendo dalle botteghe, lo deponevano da sè nel bussolotto, e poi si accodavano al convoglio, seguendolo ordinariamente fino alle porte del Ghetto».
9. LE PRÈFICHE.
«Riusciti inefficaci i soccorsi della medicina, e principiandosi a curare un infermo con le divozioni, mandavansi di notte delle donne scalze recitando il rosario della Vergine. S’intende già che questa modificazione di prefiche vendeva l’orazione e il pianto» (Belli).
10. CANTI RELIGIOSI E PREGHIERE PER LE STRADE.
S’incontravano spesso, nel Trastevere in ispecie, gruppi di uomini o di ragazzi, fermi dinnanzi a qualche Madonna, delle quali non è penuria sui canti delle vie di Roma, i quali cantavano devotamente o le letanie, o recitavano qualche preghiera, o cantavan dei versi di questo genere:
«Evviva Maria,
Maria evviva;
Evviva Maria
E cchi la creò!
Affetti e pensieri
De ll’anima mia,
Lodate Maria
E cchi la creò!».
S’intende che quando erano avvinazzati, alle preghiere, alternavano qualche bestemmia all’indirizzo magari di tutti i santi del paradiso. Spesso la sera dall’oratorio del Caravita, ove eravi eretto un sodalizio di compagni e collaboratori de’ missionari, detto dei Mantelloni, dal lungo mantello nero che indossavano, dopo la disciplina che si davano al bujo, alcuni de’ più zelanti, uscivano dall’oratorio e seguìti da altri bizzochi si sparpagliavano per la città, recitando il rosario intercalato da divoti versetti come quelli surriferiti, e giunti chi a tale chi a tal’altra immagine, ivi intonavano le litanie. Al fine di queste e di altre orazioncelle, ciascuno al saluto di Sia laudato Gesucristo rispondeva con un Sempre sia laudato, e se ne andava pe’ fatti suoi.
11. LA DOTTRINA CRISTIANA.
Nelle ore pomeridiane della domenica, un’ora prima di cominciare nelle chiese la spiegazione del catechismo, solevano i parrochi mandare in giro per la parrocchia un chierico con la croce accompagnato da alcuni ragazzi che sonavano uno o due campanelli e gridavano in coro: «Padri e mmadre, mandate li vostri figlioli a la dottrina cristiana; chè si nun ce li manderete, ne renderete conto a Ddio!». La quale cantilena era succeduta e seguìta da grandi scampanellate; dopo di che la si ricominciava daccapo.
12. LI SVEGLIATORI NOTTURNI.
Li svejatori eran coloro che esercitavano l’ufficio di correre a svegliare i viaggiatori, nei beati tempi in cui si viaggiava in diligenza.
13. IL FIGURINAIO.
I figurinai, dalle scarne sembianze, dalle vesti sdruscite, sotto alle quali intisichivano talvolta anime elette di artisti, ridotti a far pupazzi e a portarli in giro per le vie, cantando per vivere:
— Figurinâio, figurinâio!
14. LO SCARFAROTTAIO.
«Gli scarfarottari, accasciati sotto il peso di un grosso canestro ricolmo di scarpe e di pianelle andavan gridando:
— Scarfarotti e stival’ a la modaa!».
15. L’ANTICAGLIARO.
Anche questa figura scomparsa totalmente, andava in giro, offrendo la sua merce al grido di:
— Anticaje e ppietrèlle!
16. I NUMMERATTARI E RIFFAROLI.
— Pijalevelo, donne, er 28!
— Ce n’è arimasto uno! Chi sse lo pija? Chi sse la gode ’sta gallinaccetta?
Ciò dicendo, mostrava il premio che si sarebbe guadagnato la persona la quale vinceva alla Riffa o al Nummeretto.
17. LO STICCALEGNA.
Il tagliatore di legna da fuoco, che andava per Roma, cercando lavoro con la scure in collo.
18. L’APPICCIA-FUOCO.
Proibendo la legge mosaica agli israeliti di accendere il fuoco nei giorni di festa, alcuni sfaccendati cristiani, il venerdì sera, dall’ora in cui suole entrare la festa a tutto il sabato successivo, percorrevano le strade del Ghetto, offrendosi a quell’ufficio, gridando:
— Chi appìccia, chi appìccia?
19. I VENDITORI DI CRESCIONI.
Usando farsi la cura dei crescióni nella primavera, in quell’epoca, si udivano alcuni venditori gridare:
— Crescióni: chi vvô’ ffa’ la piscia frescaa?
20. IL RIVENDITORE DEI RIMASUGLI DELLE CUCINE.
L’antico rivenditore degli avanzi delle cucine signorili e delle trattorie, andava con un grande schifo sulla spalla, pieno di ogni sorta di cibarie, gridando:
— Oh cche cciccia, oh cche ónti!
21. I TRIPPAIOLI.
Gli antichi Tripparoli, con il loro schifo in testa ripieno di trippe, zampi, pezzi di testa di vitello e di vaccina, e d’altro:
— Trippa, pieducci e tutto er grugnaccio!
22. IL LANTERNONAIO.
Tutte le vigilie delle feste dei Santi e delle Madonne, in cui si era soliti illuminare le finestre delle case, questo venditore andava in giro per le strade di Roma, spingendo un carrettino, ricolmo di lanterne di carta a varii colori (con suvvi stampato il Santo o la Madonna festeggiati), chiamate Lanternoni. Egli per invitare la gente a comperare la sua merce, gridava con voce stentorea:
— A ccinque una grossata, dieci una pavolata, venti una papettata, trenta ’na testonata, li lanternóooni!…
23. IL CIALDONAIO.
Il cialdonaro, il venditore notturno di cialdoni dalla voce stentorea che gridava:
— Cialdonâroo, cialdonii: quattro per un bajocco!
24. IL VENDITORE DI SUPPLÌ.
Andava attorno la sera, portando la sua merce in una specie di scalda vivande appeso a un braccio, vestiva all’uso dei cuochi, e diceva:
— Caldi bollentii! Supplì di riso!
25. IL VENDITORE D’INCHIOSTRO.
Figura sinistra e sudicia, dalla voce sepolcrale; egli grugniva:
— ’Nchióstroo ’a scrivee!
26. IL MATERASSAIO.
Al matarazzaro, figura grave e maestosa, per farsi udire bastava battere le bacchette.
27. PAN DI RAMERINO
Così gridava, ancora pochi anni or sono, il venditore di focaccine all’essenza di rosmarino.
28. I CIAMBELLARI.
Andavano attorno con la loro merce infilata in un bastone o in un canestro, e gridavano:
— Di Lucca le ciambelle! El ciambellaro!
29. IL PESCIVENDE.
Per il passato era israelita e per offrire la sua merce si esprimeva così:
— Lo sciabbichèllo vivo!
— Li sardi da fa aròsto!
— Merluzzi e trije!
— Er cèfoloo!
30. LO SCACCIARAGNAIO.
Andava in giro nella settimana che precede quella Santa e gridava:
— Lo scacciaraagnoo! Ripuliteve la caasa, donnee!
31. IL CENCIAIUOLO.
— Strâcci: chi ha ferrâccii!
— Strâcci, ferrâcci; chi ha scarpaccee!
32. IL CACIAIO.
S’udiva la mattina gridare a perdifiato:
— La marzolinaa, la marzolinaa!
31. GLI SPAZZACAMINI.
I piccoli e macilenti spazzacamini lombardi o tirolesi che sembravano rivestiti di fuliggine, con i piedi nudi, il viso nero:
— Spazzacamii’, spazzacamii’!
34. IN CARNEVALE.
Il venditore di confettacci ossia il confettacciaro:
— Confetti, conféee! Chi vvô’ li confèttii?
Gli affittuari di sedie o luoghi adatti a godere lo spettacolo:
— Chi vô llòchi?
L’ultimo giorno di Carnevale, i venditori di móccoli:
— È acceso er moccolo! — Móccoli móccoli!
— Chi vô’ móccoli?
Altri rivenditori:
— Razzi d’amore, per un sòrdo!
— Bocché, bocché! Ecco fiori! ecc.
35. LA SERA DELLA GIRANDOLA.
Si affittavano palchi, logge, finestre e sedie:
— Parchi logge, finestre!
— Ecco piazze, ecco posti, ecco lendiere!
36. I SANTARI.
I Santari o Pupazzari sui gradini delle chiese offrivano il Santo di cui si solennizzava la festa:
— Un ber San Luviggi!
— Un ber San Filippo!
— Un sòrdo la vera e mmiracolosa immaggina de la Madonna der Càrmine! ecc., ecc.
Sulla scalinata della Chiesa dell’Aracoeli, in tempo di Natale:
— Un sòrdo la vera immagina miracolosa der santo Bambino!
— Un sòrdo un bambinello!
37. L’ARRUOTINO.
Andava con la sua ruota, si soffermava ogni breve tratto, e con voce squillante gridava:
— Arrotinoo, signori!
38. IL VENDITORE DI CERASE-MARINE.
Ora del tutto scomparso. Ecco il suo grido:
— Le cerase marinee!
39. LE PROCESSIONI.
Otto giorni prima, per le strade che dovevano essere percorse dalla processione, passavano i Mannatari delle varie confraternite, a due a due con grandi bordoni, e preceduti da uno o più tamburi. Gli ebrei davano in fitto i damaschi verdi, azzurri, rossi o gialli per adornare i davanzali delle finestre. Essi gridavano:
— Apparati per li finestri per la processione!
La strada che doveva percorrere la processione era accuratamente spazzata, poi cosparsa di arena gialla sulla quale si gettavano ramoscelli di mortella; poi si disponevano sedie, ed anche qualche volta banchi e palchi che si affittavano al grido:
— Chi vô ssedie? Chi vô llochi pe’ vvede’ la pricissione?
40. L’OTTAVARIO DE’ MORTI.
Nelle rappresentazioni sacre che si facevano con statue di cera di grandezza naturale, nei varii cemeteri delle confraternite, come a Santa Maria in Trastevere, a Sant’Onofrio, alla Bona Morte, ecc. ecc. un gran numero di poverelli si collocavano lungo la strada e chiedevano l’obolo:
— Per quelle povere anime che pregheno Ddio per nnoi!
La Compagnia della Morte aveva, come è noto, per istituto di andare a raccogliere i poveri morti abbandonati per le campagne che poi seppelliva nel suo Oratorio. I due confratelli incaricati di ricevere all’ingresso dell’Oratorio le elemosine dei visitatori della rappresentazione che vi si faceva nell’Ottavario de’ morti, agitando il bossolo, dicevano con voce profonda e cadenzata:
— Poveretti che moreno per le campagne e seppelliti per l’amor di Dio in questo santo loco.
41. IL VENDITORE DI CAPRETTI E DI ABACCHI.
Il venditore di abacchi, nella stagione autunnale, e di capretti, in primavera, percorreva la città con la sua cavalcatura munita di due grandi ceste, nelle quali eranvi o agnelli o capretti di latte, vivi, che offeriva per quaranta, cinquanta o al massimo sessanta bajocchi l’uno.
42. IL CAPRAIO.
Nella stagione primaverile, ancora fino a pochi anni fa, il capraio, con il suo gregge, si partiva, nella notte, da parecchie miglia lontano, per trovarsi alle porte di Roma allo spuntar dell’alba. Quivi giunto, prendeva stanza in un crocevia o in una piazzetta, ove il posto eragli stato precedentemente assegnato dalle autorità municipali. Al suo acutissimo fischio, con cui si segnalava, le donne di casa scendevano in istrada, quali con una cuccoma, quali con bicchieri a comperare il latte per la loro colezione. Compiuta la vendita (non più tardi delle ore 9 ant.), il capraio, raccolte le sue capre, doveva subito ritornarsene al lontano abituro da cui nella notte erasi partito.
43. IL CARNACCIARO.
Vendeva nelle prime ore della mattina, e vende tuttora, carne di carogna per i gatti. Egli non ha bisogno di gridare. Ad un suo sibilo (che in Roma chiamiamo comunemente sordino), i gatti, già in vedetta o sulle porte delle botteghe o sugli usci delle case, gli si fanno attorno e si precipitano con voracità sul bajocco di carne che il venditore getta loro in pasto.
44. GRANAROLE, LAVANDAIE, ECC.
Oltre poi ai molti venditori cantaiuoli, erano parecchi mestieri che si esercitavano in mezzo alle strade di Roma. Ciabattini, manescalchi, ferrai, funari e granarole. Queste, stando sedute fuori dei granai o presso l’anfiteatro Flavio, o in via di santa Prassede o altrove, mentre sceglievano il grano in ampi schifi, posti sulle loro ginocchia, non facevano che vociare e stornellare da mane a sera. Altrove rivenduglioli che, coi loro banchi, occupavano vie e piazze, come i pollaroli e trippaioli, intorno al Pantheon e lungo la via dei Crescenzi; ferravecchi, rigattieri, in piazza Navona, Campo de’ Fiori, ecc. E fuori delle chiese e nelle pubbliche passeggiate, mendicanti, uomini e donne, i quali, per meglio commuovere i passanti, mostravano le più orrende mutilazioni e le piaghe le più schifose, ovvero si tiravano dietro quattro o cinque fanciulli scalzi e laceri, avuti magari a prestito, per quattro o cinque soldi l’uno al giorno, da qualche loro commare che cercava di mettere a profitto la sua fecondità. Aggiungete a tutto questo ben di Dio un numero considerevole di lavatoi pubblici, unico rimasto del genere quello sulla piazzetta de’ Miracoli, e fino a pochi anni dopo il 1870, quell’altro, nel cuore della città, che era addossato al giardino pontificio del Quirinale e che aveva dato il nome alla via del Lavatore del Papa, ora via del Lavatore. Potete immaginare, da simili congreghe, le continue liti, le grida, le contumelie e gli esempi di bel parlare che ne venivan fuori!
VOCI ODIERNE.
«Arrestandoci soltanto alla vecchia Roma anteriore di poco al 1870, quante altre figure singolari impresse nella memoria, quante altre voci rimaste nell’orecchio come malinconico ricordo di altri tempi!… I fratelloni di San Giovanni Decollato, figure sinistre che andavano per le botteghe a chiedere l’elemosina per suffragare l’anima del condannato a morte; le tavolozze sui canti delle vie; gli smoccolatori col cartoccio nei trasporti funebri i cui cadaveri si portavano scoperti; talvolta un bel parlatore che si divertiva a raccontare una storia: si faceva cerchio intorno a lui; e a misura che l’uditorio ingrossava egli alzava la voce… I barbereschi in Carnevale, presti ad afferrarsi alle criniere dei cavalli, emettendo grida selvagge; gli spacciatori di moccoletti nel martedì grasso… I servitori di piazza affittati ad ore; il burattinaio col casotto, gli improvvisatori di stornelli, e gli sminfaroli autentici, le processioni, i frati cercatori, i maghi, i giuocatori del numeretto, i piccoli e macilenti sonatori d’arpa, i ragazzi cantori di canzonette al suono dell’organino, il sigaraio notturno, il cenciaiuolo con la lanterna, il barbero vincitore portato in trionfo; i missionari predicatori in piazza della Rotonda, ecc. Sembrano ricordi di tempi arcadici, tanto quei giorni paiono lontani».
45. IL MOSCIARELLARO.
Ultimo attore superstite delle feste popolari della vecchia Roma. Il Belli in una nota de’ suoi sonetti, così ne scrive «Alcuni uomini tutti del Friuli, vanno per Roma gridando:
— Moscia, moscia: oh fusaglia dolce: Mosconi, ragazzi!
Sono i così detti mosciarellari o fusagliari che vendono castagne infornate (mosciarèlle) e poi bollite, lupini (fusaglie) e mosconi verdi… Scarafaggi questi più grossi delle cantaridi, i quali si trovano ordinariamente sui fiori di sambuco. «I ragazzi li legano con un filo a uno zampino, e si divertono a farli volare. Perciò i fusagliari fino a quaranta o cinquant’anni fa, li andavano vendendo. Ma oggi questa piccola industria è affatto cessata e sono anche rari quelli che la ricordano». Attualmente il Fusajaro grida:
— Mosciarellaro, fusagliaro!
E più comunemente
— Fusaja dorce!
46. LI VENDITORE DI NOCI.
— Bianca la nocee!
47. IL BRUSCULINARO.
Anche questo è un ultimo attore superstite delle feste popolari della vecchia Roma, grida vendendo semi di zucca secchi:
— Bruscolini: chi vvô er brusculinaro?
— Spassâteve er tempo: er brusculinaroo!
48. L’ACQUACETOSARO.
Va in giro per la città, appena è l’alba, e guidando un somarello o un magro ronzino che si trascina dietro un carretto con alcune ceste piene di piccoli fiaschi, canta:
— Friescaa, friescaaa, l’acquaa acetósa!
49. IL VENDITORE DI UTENSILI DI LEGNO.
È abruzzese. Va curvo per il peso di una canestra nella quale porta una quantità di utensili da cucina, e grida:
— Peparóle e cucchiaaà!
— Schifiètte, schifiétte!
50. I VENDITORI DI LUNARI.
Sono contadini marchigiani. Nel passato vendevano quei lunari chiamati li buciardèlli, e andavano gridando:
— Lunari in foglio, e lunari a libbretto!
Mentre ora dicono:
— El Barbanera, lunario nôvo!
51. LA SERA DI PASQUA EPIFANIA.
Un tempo in piazza Sant’Eustachio:
— Un sordo un traccagnino!
— Un bajocco un turullullù!
— Un maecco un gobbo cor fischietto ar culo! ecc.
Attualmente la stessa sera in piazza Navona:
— Un sòrdo un muntuvare guasi d’oro!
— Un ber purcinèlla, un arlecchino, una trombetta! ecc., ecc.
52. LA SERA DI SAN GIOVANNI.
Durante la baldoria che si usa fare in piazza di San Giovanni in Laterano, e strade adiacenti:
— La spighetta!
— Er garofoletto!
— Li capi-d’ajo!
— Lo scopijo! ecc., ecc.
53. IL MELACOTTARO.
Gira la notte, nell’inverno, con una marmitta di rame stagnato, sostenuta da una tracolla:
— Pettorali! – Bollenti – Mela cotte!
54. IL PERACOTTAIO.
Il venditore di pere cotte, va attorno nelle ore afose del caldo, cantando con voce stentorea una lunga filastrocca di parole per attirare i compratori. Ma comunemente grida:
— So’ ccanniti le péra côtte bbônee!
A’ miei tempi eranvene alcuni che alla voce stupenda accoppiavano la virtù d’improvvisare versi, lodanti la loro merce, e, appropriandoli al primo che s’imbatteva sulla loro strada, un frate, una monaca, un paìno, ecc.
— Cé l’avémoo visto méttee ér zucchero, le peracottee bbònnee calle calle; per un sòrdo, callee!
Ovvero:
— Le peracotte calle, a quer paìno,
Che ccià ’na panza com’un violino,
Je farebbeno mejo de la manna,
Ma pperò ccià una fame che sse scanna;
E, poveraccio, ha vvoja a rimirallee
Le peracotte bbône, calle callee!
55. LA LUMACAIA.
Con uno o due canestri appesi alle braccia, grida a squarciagola:
— Ce ll’ho dde vigna le lumaachee!
56. IL VENDITORE DI MÒRE.
Nelle ore afose dell’estate, sotto alla sferza del sollione, s’udiva e s’ode ancora, sebbene più raramente, il lamentevole ritornello del venditore di mòre:
— Le mòoree faattee: chi le magnaa le móoree!
57. IL GIUNCATAIO.
Dal giorno dell’Ascensione in poi questo venditore, quasi sempre un contadino marchigiano, va la mattina, vendendo la gioncata che tiene in un secchio di latta:
— Giungatina frescaa!
58. L’ACQUAVITAIO.
Va in giro nelle ore della notte fino ai primi albori. Egli con voce sommessa, dice:
— Acquavitaa, acquavitaroo!
59. IL CAFFETTIERE NOTTURNO.
Va attorno nelle ore stesse del suo collega l’acquavitaio, e su per giù, con lo stesso tono di voce, dice:
— Caffè, per un soldo!
60. LI VENDITORE DI UOVA SODE.
Lo si vedeva in giro, e ci va tutt’ora, sebbene raramente, in primavera, e nelle prime ore della notte:
— Ova toste, ova, ohé!
61. L’OLIVARO.
Si mostra per lo più d’inverno, nelle ore pomeridiane. Come il suo collega l’ovaro, entra in tutte le bettole ed offre la sua merce al grido di:
— Oliva dorcee, olivaa!
62. IL CENCIAIUOLO ISDRAELITA.
Lacero, con il sacco sulle spalle, si fermava ad ogni tratto di strada, poneva la mano all’orecchio, e con voce gutturale, gridava:
— Aèoo!
Grida che ora ha cambiato con l’altro:
— Ròbbi-véecchii!
63. IL VENDITORE D’AGLI E SCOPE.
È comunemente un contadino marchigiano. Porta sulle spalle un fascio di scope e di spazzole, ed in mano delle serte d’agli:
— Lo scoparoo, ajaroo!
64. IL PAPPINARO.
Si mostra nell’estate, sospinge un carrettino dipinto a vivaci colori contenente la sorbettiera, e grida:
— Che rosso d’ovoo, che gelàa’!
65. I VENDITORI DI LEGNA DA ARDERE.
Vendono fasci d’arbusti da ardere, razzolati nelle siepi a traverso a mille disagi, nelle brume del dicembre. Sono poveri contadini che vanno curvi sotto il peso del loro fardello e a voce sommessa gridano:
— Fascii, fascii!
66. IL COCOMERAIO.
Espone la sua merce sopra alcune scalette di legno, nei quartieri più popolari, e grida a squarciagola:
— Curete pompieri che vva a ffocoo!
E sulle stesse scalette anni sono eravi scritto, p. e.:
«Venite da Riccétto
Che vi rinfresca il petto:
Cocommeri sotto il ghiaccio
Una fétta un bajoccaccio!».
«Venite tutti dal Moretto
Che guarisce il mal di petto
Cor un soldo che voi stendete
D’ogni mal salvi sarete, ecc.».
67. L’OMBRELLAIO.
Vende ombrelli vecchi raccomodati ed anche nuovi; e si offre di accomodare i guasti a chi ne ha:
— Ombrellaio: chi ha ombrelli rótti d’accommodaree!
68. IL VENDITORE DI CASTAGNE LESSE.
Gira con la sua caldaia colma di castagne e grida:
— So’ ccalle che bbùlleno!
69. I VENDITORI DI CILIEGIE.
— So’ ttoste come le pietre ’ste cerase!
— Senza l’amico!
— Le Ravénnee!
— De Ravénna, le cerase! ecc.
70. IL LUMAIO.
— Lumaio! Belli lumi a petrolio, signori!
71. IL CICORIARO.
— Cicurietta da côce: la cicurietta!
72. LO STAGNARO.
Reca la sua merce in un canestro o sopra un carrettino a mano, e grida:
— Un ber cùcchimo, donnee!
73. LO STOVIGLIAIO.
Va anch’esso per le strade, con la sua merce affastellata sopra un carrettino, e l’offre al grido:
— Er pilaro donnee!
74. L’ACCONCIA-STOVIGLIE.
Si trascina dietro un piccolo carrozzino sul quale sono riposti gli utensili del suo mestiere, e grida con voce lamentosa:
— Chi ccià ttigami, tinozze e cunculine rottee d’accommidanee!
75. I FIAMMIFERAI.
— Prosperi: lo volete er prosperaroo!
— Ceerinii: du’ scatole pe’ ttre ssórdi!
76. L’ACQUAFRESCAIO.
Va attorno nei mesi caldi con un cappello di paglia a larghe tese, una secchia d’acqua, una canestra con l’occorrente per bere, e grida:
— Acqua fresca, zucchero e llimó’! Rifrescateve la bbocca!
77. I VENDITORI DI SÒRBE E DI NÈSPOLE.
— So’ mmatuuree le sóorbee!
— So’ mmatuuree le nèspole!
78. L’ERBAIUOLA.
Con la sua vocetta acuta è penetrante, grida:
— Com’è bbianca ’sta lattuca!
— La riccetta, l’indivioletta, la rughettaa!
— Come ce ll’ho riccia!
79. LO STRENGAIO.
— Lacci pe’ le scarpee!
80. IL COLTELLINAIO.
È per lo più abruzzese. Egli canticchia nel suo dialetto e con voce monotona:
— Campobasse, cortelle, signorine!
81. IL VENDITORE E LA VENDITRICE DI FICHI.
— Ce ll’ho bbôni davero!
— Dieci un sòrdo li fichi!
— Quant’è bbôna la fica mia!
— E cchi li vô’ mmósci?
82. IL VENDITORE DI DOLCI.
— Er mustacciolaroo!
— Er ciammellaroo!
83. LO SPAZZINO O MERCANTINO.
È generalmente israelita:
— La fittuccia, donnee!
— Il cottone per le calze, donnee!
84. IL VENDITORE DI MANDORLE FRESCHE.
Da noi si chiamano anche caterinóne e mmandoline. Ed ecco perchè nel venderle il venditore grida:
— Caterinonee grossee e tteneree: so’ der giardino teneree!
— Ha ingrossato le chiappe, caterinonaa!
85. QUELLO DI MANDORLE SÉCCHE.
— Le mmàndole capate, un sórdo trenta!
86. L’ERBIVENDE.
Va attorno con un gran canestro appeso al braccio, o con un carrettino a mano, e urla come un dannato:
— Le pataaate! Le cucuzzee!
— A 20 a ppavolo li carciofoli e scialate.
— Pe’ cchi vô ffa’ er sugo d’oro, a ddu’ baòcchi li pummidoro!
— Auffa li pommidoro, auffa le patatee, ecc.
87. IL VENDITORE DI NOCCIUOLE.
Va spingendo un carrettino tutto adorno di specchi, di carta fiorata, di immagini di sovrani, ecc. Egli grida con voce nasale:
— Nocciuoline americane calde caldee!
88. IL VENDITORE DI ORARII DELLE FERROVIE.
— È ccambiato l’orario!
89. IL VENDITORE DI FRUTTA CANDITE.
— Canditi fini, signori!
90. IL VENDITORE DI FIORI DI PASQUA.
Adesso se ne vede qualcuno raramente; ma prima il Sabato santo, nella mattina, questo venditore andava con un carrettino colmo di fiori e di erbe odorose come viole ciocche, viole pansè, salvia, rosmarino, menta, persa, ecc., coi quali si cospargono i piatti delle uova, del salame, e il tavolo sul quale si pranza. Egli gridava: La Persa, la menta, le viòle e ttutte sorta d’erbe fine e odorose. Un tale di questi venditori ci ricamava anche dei versi di questa fatta:
«Pe’ vvojantre, bbelle spose,
Ffiori e erbe, ció odorose.
Pe’ vvojantri, giuvenotti
V’ho pportato li decotti,
D’ortica, marva e ppalatana
Tutta robba che risana, ecc. ecc.».
91. I GIORNALAI.
È inutile parlarne. Sono tante le grida dei giornalai e così diverse, che per enumerarle tutte non mi basterebbe un’altra metà del presente volume. E poi a qual pro, se ad ogni passo, delle loro grida, ne abbiamo intronate le orecchie?