La seconda guerra punica (219-201 a.C.), con i suoi continui rovesci e con il terrore causato dall’invasione e dalle scorrerie dell’esercito di Annibale, aveva posto in crisi non solo l’apparato militare e politico di Roma, ma anche quello religioso, come risulta evidente dall’intensa attività cultuale con la quale la Città tentava di recuperare il favore degli dèi che sembrava perduto. Uno degli episodi più notevoli di questa attività fu l’introduzione del culto della “Magna Mater”, la Grande Madre Cibele, avvenuto nel 204 a.C. Come sempre in questi casi la proposta provenne dalla consultazione dei Libri Sibillini: il responso infatti fu che per allontanare lo straniero dall’Italia era necessario portare a Roma la “Magna Mater“, la divinità venerata a Pessinunte, nell’Asia Minore settentrionale, sotto l’aspetto di una pietra nera, probabilmente un meteorite. Un’ambasceria inviata dal Senato al santuario ottenne la consegna del simulacro che fu portato a Roma con una nave e depositato provvisoriamente nel Tempio della Vittoria, del quale sopravvivono solamente scarsi resti ed un tempo situato nell’angolo sud-occidentale del colle, in prossimità dell’attuale podio del Tempio di Cibele. La costruzione del tempio dedicato alla “Magna Mater Cibele” ebbe inizio nel 204 a.C. e terminò nel 191: in occasione della dedica, che avvenne l’11 aprile, iniziarono i “Ludi Megalensi”, per i quali Plauto e Terenzio scrissero alcune delle loro opere più belle.
Il tempio, situato tra la “Casa Romuli” e la “Domus Tiberiana“, in prossimità della Casa di Augusto, venne costruito all’interno del pomerio: ciò fu possibile perché la dea, provenendo dalla Troade, mitica patria di origine dei Romani, non era considerata una divinità straniera: nella foto 1 la statua acefala della dea rinvenuta nei pressi del tempio ed oggi custodita all’interno del Museo Palatino. L’edificio bruciò due volte, nel 111 a.C. (poi restaurato da Metello Numidico) e nel 3 d.C., poi ricostruito da Augusto. Il tempio, elevato su un alto podio preceduto da una scalinata, aveva una cella quadrata (all’interno della quale vi era la statua della dea) ed un pronao con sei colonne corinzie in peperino: il basamento attuale, in opera incerta molto rozza, è quello originario degli inizi del II secolo a.C. (nella foto in alto sotto il titolo, sormontato da un boschetto di lecci). Le colonne in peperino giacenti accanto al podio vanno attribuite invece ai restauri, in opera quasi reticolata, eseguiti dopo l’incendio del 111 a.C., mentre i capitelli corinzi e i frammenti del frontone sono da collegare col restauro successivo all’incendio del 3 d.C.