Piazza Venezia si estende tra via del Corso e via dei Fori Imperiali ed è condivisa da tre rioni: Pigna nell’area occidentale, Trevi nell’area orientale e Campitelli nell’area meridionale ma per maggiore comodità del visitatore abbiamo deciso di analizzarla nel rione Campitelli. La piazza ebbe l’aspetto attuale allorché fu costruito, tra il 1885 ed il 1911, il monumento a Vittorio Emanuele II, un’opera che portò al rifacimento di tutta la zona adiacente con la demolizione di case, palazzi e chiese legate alle tradizioni di Roma: la piazza, da stretta e bella, divenne larga e monumentale. Il lato sud della piazza (quello verso il Campidoglio) era chiuso dal palazzetto Venezia, unito a palazzo Venezia all’altezza della tozza torre quadrangolare. Il lato est era occupato dai palazzi Paracciani-Nepoti, Del Nero-Bolognetti-Torlonia (disegnato da Carlo Fontana) e Frangipane-Vincenzi: tutti palazzi demoliti per far posto al palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia, ma rispetto ad esso situati in una posizione più avanzata, praticamente in asse con i palazzi situati sul margine corrispondente di via del Corso. Tra i suddetti palazzi ed il palazzetto Venezia si apriva via della Ripresa dei Barberi (anche questa scomparsa), così chiamata perché qui, durante le feste di Carnevale, veniva arrestata, calando un grande telone bianco, la corsa dei cavalli “barberi” che arrivavano da via del Corso e quindi “ripresi” dai mozzi di stalla ma, soprattutto, dai bulli che mostravano in tale modo coraggio e destrezza. Dove oggi si apre via Cesare Battisti sorgeva via di S.Romualdo, più stretta ed angusta, mentre non subirono modifiche nè il lato nord nè il lato ovest, occupati rispettivamente dalla via del Corso e da palazzo Venezia. Anticamente la piazza era detta “di S.Marco” e, più tardi, “della Conca di S.Marco”, per la gran tazza di granito, ritrovata alle Terme di Caracalla, posta come fontana dinanzi alla basilica S.Marco e successivamente spostata in piazza Farnese. Il toponimo della piazza deriva dal palazzo che il cardinale Pietro Barbo si fece costruire nel 1455 al posto di modeste case che ospitavano i cardinali del titolo di S.Marco: l’edificio fu donato nel 1560 da Pio IV alla Repubblica di Venezia, che ne fece sede della propria ambasciata, e per questo motivo da allora fu denominato Palazzo Venezia. Il palazzo (nella foto sotto il titolo), costruito secondo i canoni architettonici di una residenza principesca, fortezza ma ancor prima sede prestigiosa ed elegante, fu ampliato nel 1467, dopo che il cardinale divenne papa con il nome di Paolo II, grazie all’intervento di vari architetti quali Giuliano da Maiano (che scolpì anche il portone che si apre sulla piazza), Mino da Fiesole, Giuliano da Sangallo e Leon Battista Alberti. A Pietro Barbo subentrò il cardinale Marco Barbo, suo nipote, di cui compare più volte stemma e scritta: “M CAR S MARCI PATRIARCA AQUIL“, ovvero “Marco cardinale di S.Marco patriarca di Aquileia”. L’edificio, uno dei migliori della Roma rinascimentale, fu residenza papale, poi sede dell’ambasciata di Venezia e, dopo la caduta di Napoleone che causò il passaggio di Venezia all’Austria, proprietà asburgica. Tornerà all’Italia soltanto durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1916, per divenire residenza del capo del governo fascista, Benito Mussolini: quel balcone, dal quale Paolo II si divertiva a vedere l’arrivo dei “barberi”, diverrà celebre per le arringhe che il duce teneva agli italiani.
La facciata del palazzo su Piazza Venezia è coronata da merli e beccatelli ed è caratterizzata dalla grande torre che nel 1546 perse la merlatura e venne coperta con il tetto, come tuttora appare. Al pianterreno si apre il quattrocentesco portone (nella foto 1) decorato con mostaccioli e con l’architrave con testa leonina; ai lati vi sono due stemmi del cardinale Marco Barbo. Nell’ammezzato si trovano una file di finestre centinate, mentre al primo piano dieci finestre a croce con la scritta “PAULUS VENETUS PAPA SECUNDUS” e lo stemma di papa Paolo II; il balcone invece risale al 1714. L’appartamento privato di papa Paolo II, conosciuto come Appartamento Barbo, è collocato al piano nobile dell’edificio, sul fianco sud-est (in pratica accanto alla basilica S.Marco) e la sua costruzione si deve far risalire probabilmente già all’epoca del cardinalato di Pietro Barbo, anche se le modifiche apportate al palazzo dopo il 1464 riguardarono anche questi ambienti. I vani principali dell’appartamento sono la cosiddetta “Camera della Torre”, usata probabilmente come studio privato (corrispondente alle due finestre collocate sul lato corto ed alla prima finestra della facciata principale); segue la stanza da letto del pontefice (corrispondente alla seconda finestra) e poi la cosiddetta “Sala del Pappagallo” (terza e quarta finestra), che prende il nome dall’animale che il papa qui teneva e per il cui mantenimento sosteneva ingenti spese. L’ultimo ambiente dell’appartamento Barbo, che introduce alla parte monumentale dei Saloni, è la “Sala dei Paramenti” (quinta e sesta finestra), cosiddetta perché vi si custodivano i paramenti sacri di Paolo II. L’ambiente è conosciuto anche come “Sala delle Fatiche d’Ercole” per la decorazione nel fregio che corre sotto la copertura lignea dove sono raffigurate le 8 fatiche di Ercole.
Seguono poi i cosiddetti Saloni monumentali, ovvero gli ambienti di rappresentanza aggiunti all’epoca dell’ascesa al soglio pontificio di Paolo II e che determinarono l’inversione del percorso all’interno dell’appartamento papale. Infatti la prima sala che segue la “Sala del Pappagallo” è la “Sala del Mappamondo” (corrispondente al balcone ed alle successive settima ed ottava finestra), nota anche come “Aula Tertia”, in base all’antico ordine di ingresso, e prende il nome da un grande planisfero che in origine era affisso al centro della parete maggiore e che fu realizzato su un supporto mobile dal cosmografo veneziano Girolamo Bellavista. Nel corso del XVII secolo le pareti vennero decorate con piccole vedute e scene marine ed è questo il periodo in cui probabilmente scomparve il Mappamondo quattrocentesco. Nel XV secolo venne realizzato, a giudicare dallo stemma cardinalizio Barbo, il grande camino (nella foto 2) decorato da un fregio con nastri, foglie e frutta ed attribuito a Mino da Fiesole e Giovanni Dalmata. Mussolini pose proprio all’interno di questa Sala la sede del suo quartier generale: nella foto 3 una foto d’epoca con Mussolini nella Sala del Mappamondo.
Proseguendo il percorso si accede alla Sala un tempo conosciuta come “Aula Seconda”, detta anche “del Concistorio” (nona e decima finestra della facciata principale e le prime quattro su via del Plebiscito), per il collegio dei cardinali che qui si riuniva (per l’ultima volta nel 1597 sotto Clemente VIII), e “delle Battaglie”, per i luoghi e le date delle principali battaglie della Prima Guerra Mondiale citate sulle pareti. Nel Settecento la Sala fu denominata anche “Sala dei Cinque Lustri”, a causa dei lampadari in vetro di Murano che lo illuminavano. Qui si tennero grandi balli organizzati dagli ambasciatori veneti e celebri eventi musicali: nel 1724 vi fu eseguita la cantata in onore del neoeletto Benedetto XIII Orsini, nel 1770 vi suonò un intero concerto il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart e nel 1842 Gioacchino Rossini vi diresse per la prima volta il suo Stabat Mater. L’ultima sala è la cosiddetta “Sala Regia” (corrispondente alle successive cinque finestre su via del Plebiscito), che costituiva l’originario salone d’accesso e per questo nota come “Aula Prima”. Il suo nome allude alla funzione di ricevimento di reali ed altri potenti personaggi che qui incontravano il pontefice, ma conosciuta anche, per i suoi 37 metri di lunghezza, come “Sala Maxima”. Sul lato di via del Plebiscito il palazzo presenta un notevole portale dal quale si ha l’accesso al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia.
Il Palazzetto Venezia (nella foto 4) fu costruito nel 1467 come giardino privato di Palazzo Venezia, un giardino sopraelevato poggiante su un terrapieno sostenuto da mura ad arcate aperte. Nel 1537 Paolo III lo collegò tramite un corridoio pensile, una sorta di Passetto, alla propria torre situata alle pendici del Campidoglio. Restaurato nella metà del Seicento, il palazzetto fu demolito nel 1911 per fare spazio al Monumento a Vittorio Emanuele II e ricostruito a fianco della basilica S.Marco, dove tuttora si trova. Il coronamento di beccatelli situati al primo piano indicano la recinzione del giardino relativa all’edificio originario, del quale, sia per la chiusura degli archi avvenuta nel XVIII secolo, sia per l’aggiunta del secondo piano, è stato mutato significativamente l’aspetto.
Dinanzi a Palazzo Venezia è situato il Palazzo delle Assicurazioni Generali di Venezia (nella foto 5), un edificio terminato nel 1906 su progetto di Arturo Pazzi, Alberto Manassei e Guido Cirilli nell’ambito delle ristrutturazioni della piazza. Il palazzo ripete le caratteristiche fondamentali del dirimpettaio Palazzo Venezia con tanto di torre angolare, mentre la facciata è caratterizzata da arcate al pianterreno, sovrastate da un fregio marcapiano dipinto a chiaroscuro, da una lunga serie di bifore romaniche sovrastate da finestrelle e dal leone di S.Marco, risalente al Cinquecento e proveniente da un bastione delle mura di Padova. I locali oggi occupati da una banca, all’angolo con via Cesare Battisti, un tempo ospitavano il famoso Caffè Faraglia: mobili in stile, illuminazione elettrica, bagni lussuosi, argenteria e due orchestrine attiravano una clientela facoltosa e raffinata, come Gabriele D’Annunzio, il quale in occasione della prima de “La Nave” al Teatro Argentina offrì in questi locali un banchetto memorabile. Purtroppo l’eccessiva sorveglianza e le continue perquisizioni alla quale il locale era soggetto dopo la presenza di Benito Mussolini nell’antistante Palazzo Venezia ne causò la chiusura nel 1933.
Il Monumento a Vittorio Emanuele II, conosciuto anche come il Vittoriano (nella foto 6) glorifica la raggiunta Unità Nazionale e fa da altare alle cerimonie dello Stato. L’edificio, ideato da Giuseppe Sacconi nel 1878, fu iniziato nel 1885 e, dopo la morte del progettista nel 1905, terminato nel 1911 da Gaetano Koch, Manfredo Manfredi e Pio Piacentini. Nel 1921 il monumento fu rimodellato in seguito alla tumulazione del Milite Ignoto (la salma di un soldato italiano sconosciuto caduto nella I Guerra Mondiale) che dette al monumento la nuova qualifica di Altare della Patria. Una scalinata conduce al primo ripiano, al centro del quale, in un’edicola, vi è la statua della Dea Roma fiancheggiata da due bassorilievi, il “Trionfo dell’Amor Patrio” ed il “Trionfo del Lavoro”; sotto la statua della Dea Roma è situata la tomba del Milite Ignoto.
Due scalee laterali salgono alla statua equestre di Vittorio Emanuele II (nella foto 7), in bronzo, che sorge sopra una base ove sono rappresentate le principali città d’Italia: la statua, opera di Enrico Chiaradia ed Emilio Gallori, è alta 12 metri, con la figura del sovrano 16 volte più grande del naturale e con un peso complessivo di 50 tonnellate circa.
Più in alto si leva un portico di 16 colonne, sormontato da 16 statue delle Regioni d’Italia e lateralmente da due quadrighe bronzee, dell’Unità a sinistra (nella foto 8) e della Libertà a destra.
> Vedi Cartoline di Roma
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza Venezia di F.Muccinelli