Piazza del Popolo (nella foto sopra) è l’anticamera urbana tra le più belle al mondo, posta al vertice di un triangolo di vie noto come il Tridente (via del Babuino – via del Corso – via di Ripetta), e costituisce il più grandioso accesso al cuore di Roma. La porta, attraverso la quale si accede a questo “salotto”, è l’antica porta Flaminia delle Mura Aureliane, così denominata perché da qui usciva l’antica via Flaminia che iniziava dalla porta Fontinalis delle Mura Serviane e si dirigeva verso ponte Milvio. È opportuno rammentare che ai tempi di Augusto il tratto urbano della via Flaminia era denominato “via Lata” (attuale via del Corso), mentre già dal Medioevo si chiamava “via Lata” il tratto che dalla porta Fontinalis giungeva all’altezza dell’attuale piazza Colonna, mentre la parte restante, fino ed oltre la porta del Popolo, era la via Flaminia (che oggi invece inizia oltrepassata la porta).
L’odierna Porta del Popolo (nella foto 1 la facciata esterna) fu commissionata da Pio IV a Michelangelo, ma il grande artista, ormai molto anziano, preferì passare l’incarico ad un suo seguace, Nanni di Baccio Bigio, che completò l’impresa tra il 1562 ed il 1565. La facciata si presentava con le quattro colonne provenienti dall’antica basilica di S.Pietro che inquadravano il grande ed unico fornice, sovrastato dalla grandiosa lapide e dallo stemma papale sorretto da due cornucopie; inoltre, due possenti torri di guardia quadrate avevano sostituito le preesistenti torri tondeggianti e tutto l’edificio coronato con merli coperti di elmo e corazza. Soltanto nel 1638 furono inserite, tra le due coppie di colonne, le due statue di Pietro e Paolo, scolpite da Francesco Mochi, che erano state rifiutate dalla basilica di S.Paolo, mentre i due fornici laterali furono aperti nel 1887 dall’architetto Mercandetti, per esigenza di traffico: per quest’opera fu necessario demolire le due torri che fiancheggiavano la porta.
La facciata interna, invece (nella foto 2), fu opera del Bernini e fu eseguita in occasione dell’arrivo a Roma, nel 1655, della regina Cristina di Svezia, come ricorda l’iscrizione “FELICI FAUSTOQ(UE) INGRESSUI ANNO DOM MDCLV“, ovvero “Per un ingresso felice e di buon auspicio nell’anno 1655”, scolpita sull’attico per volontà di papa Alessandro VII Chigi, del quale, a coronamento, appare maestoso lo stemma di famiglia, il monte a sei cime accompagnato da una stella a otto raggi. Sull’origine del toponimo della piazza vi sono diverse supposizioni: anticamente si diceva che il nome derivasse dai numerosi pioppi (che in latino si dice “populus“) che dall’Augusteo si estendevano fin qui, ma probabilmente il toponimo è legato alle antiche origini di S.Maria del Popolo. Nel Medioevo sorse una leggenda secondo la quale, su un noce gigantesco, alle falde del Pincio, cresciuto sul luogo ove erano sepolte le ceneri di Nerone, si aggirasse lo spirito indiavolato dell’imperatore. Pasquale II, stufo del fantasma, fece segare il noce ed in quel luogo edificò una chiesa dedicata alla Vergine (1099).
Poiché tale chiesa fu costruita a spese del popolo romano, ebbe la denominazione di “S.Maria o Madonna del Popolo” (nella foto 3), toponimo che passò, poi, alla piazza che in origine era chiamata “del Trullo“, dalla fontana a forma di trullo che vi era posta nel mezzo. A metà del XIII secolo, all’antica chiesa fu annesso un convento affidato ai frati dell’Ordine Agostiniano, organizzato attorno a due chiostri, che si estendeva fin verso la metà dell’attuale piazza. Tra il 1816 ed il 1820 il vecchio convento venne demolito nel quadro di ristrutturazione di piazza del Popolo ed il nuovo convento, sul quale svetta il campanile quattrocentesco in laterizio con la caratteristica terminazione conica in cotto e quattro pinnacoli angolari in stile tardo-gotico, fu realizzato da Giuseppe Valadier. Nel 1472 la chiesa fu riedificata da papa Sisto IV della Rovere, con disegno di Baccio Pontelli, e poi nuovamente abbellita, al tempo di Alessandro VII, ad opera del Bernini e di Bramante. La facciata, rivestita con spesse lastre di travertino, è tripartita da due ordini di lesene che inquadrano tre portali: quello centrale è il maggiore, sormontato da un timpano triangolare all’interno del quale è situata una lunetta con una Madonna con Bambino di Andrea Bregno. Lo stemma della Rovere, posto sopra il portale, fu apportato da Gian Lorenzo Bernini nel 1655, in onore di papa Alessandro VII Chigi della Rovere ed in occasione del rifacimento della chiesa.
I due portali laterali, più piccoli, presentano timpani triangolari e due iscrizioni che ricordano invece la ricostruzione della chiesa ad opera di Sisto IV. L’ordine superiore della facciata è costituito dai mezzi timpani ricurvi che inquadrano il rosone centrale e dal timpano triangolare sormontato dai monti, emblemi araldici della famiglia Chigi. L’accesso alla chiesa avviene tramite un’alta scalinata che aveva una duplice funzione: quella di proteggere la chiesa dai frequenti allagamenti del Tevere e quella di dare maggiore monumentalità all’edificio. L’interno (nell’immagine 4 la mappa) poggia su una classica pianta a croce latina, a tre navate con 4 cappelle per lato, coperta da volte a crociera e termina con un ampio transetto, sul quale affacciano quattro cappelle, una cupola ed un profondo presbiterio 2.
Lungo la navata centrale (nella foto 5) si notano, per ogni soprarco, coppie di sante e martiri prettamente femminili: S.Caterina da Siena e S.Teresa d’Avila, S.Prassede e S.Pudenziana, S.Cecilia e S.Ursula, S.Agnese e S.Martina, S.Clara e S.Scolastica, S.Caterina e S.Barbara, S.Dorotea e S.Agata ed infine S.Tecla e S.Apollonia. Le statue, realizzate in stucco dagli allievi del Bernini, tra cui Ercole Ferrata ed Antonio Raggi, scortano idealmente il visitatore fino all’altare maggiore 1 (nella foto 6), dove si trova la miracolosa immagine della Madonna del Popolo. Questa immagine risale al XIII secolo ed è attribuita, secondo la tradizione, a S.Luca: fu qui trasferita da papa Gregorio IX nel 1235 dal Sancta Sanctorum, la cappella privata del pontefice presso S.Giovanni in Laterano, per proteggere la città da un’epidemia e scacciare il fantasma di Nerone, secondo la leggenda sopra menzionata. La Sacra Immagine divenne il simbolo della protezione della Vergine su Roma e portata in processione durante i periodi bui della storia della Città.
La tavola, in stile bizantino, fu collocata, dopo la ricostruzione della chiesa promossa da Sisto IV, entro una grande pala marmorea realizzata da Antonio Bregno, commissionata dal cardinale Rodrigo Borgia, futuro papa Alessandro VI. Una triste vicenda, come è ricordato nell’iscrizione posta sull’altare stesso, si collega a questa opera di realizzazione: il giovane figlio del Bregno, Marco Antonio, “morto per l’incuria dei custodi”, cadde dal ponteggio e morì a 7 anni il 18 ottobre 1473. Nel 1627 l’altare del Bregno fu rimosso e spostato (oggi si trova nella sagrestia) ed al suo posto venne realizzato, ad opera del cardinale Antonio Sauli, l’attuale altare maggiore, ridondante di marmi policromi e decorazioni, mentre il sovrastante arcone a lacunari venne riempito di figurazioni a stucco dorato raffiguranti la Leggenda della fondazione della chiesa. Dietro l’altare maggiore si trova uno degli elementi architettonici più prestigiosi della chiesa, il coro, realizzato da Donato Bramante durante il pontificato di Giulio II della Rovere. La volta è affrescata da Bernardino di Betto Betti detto il Pinturicchio: al centro è raffigurata L’Incoronazione della Madonna, circondata da quattro medaglioni con i ritratti degli Evangelisti ed immagini dei quattro padri della Chiesa (S.Girolamo, S.Ambrogio, S.Gregorio Magno e S.Agostino). Nel punto in cui navata centrale e transetto si incontrano, si innalza la cupola, poggiata su tamburo ottagonale, con la volta decorata con la Gloria della Vergine, opera di Raffaele Vanni. Il transetto ospita quattro Cappelle, due sul lato sud e due sul lato nord: su quest’ultimo lato vi sono la Cappella Cerasi e la Cappella Theodoli.
La Cappella Cerasi 4 (nella foto 7) in origine fu fondata dal cardinale veneziano Pietro Foscari il cui prezioso sarcofago marmoreo con la statua bronzea vi rimase fin verso la fine del XVI secolo, poi, nel corso dei secoli, spostato più volte. Nel 1600 monsignor Tiberio Cerasi, Tesoriere Generale della Camera Apostolica sotto il pontificato di Clemente VIII, acquistò la cappella per farne il luogo di sepoltura di famiglia. Per la realizzazione della nuova cappella chiamò tre grandissimi artisti: Carlo Maderno per la parte architettonica, Annibale Carracci e Michelangelo da Merisi da Caravaggio per la decorazione pittorica. Carracci eseguì la pala d’altare, l’Assunzione della Vergine, e Caravaggio i due laterali: la Crocifissione di S.Pietro e la Conversione di S.Paolo. Purtroppo monsignor Cerasi non fece in tempo a vedere l’opera completata perché morì nel 1601, 4 anni prima del compimento della Cappella: rimane il suo busto, quasi a voler contemplare le bellissime tele. La Cappella Theodoli 3, invece, è dedicata a S.Girolamo ed a S.Caterina d’Alessandria, con la statua sull’altare di S.Caterina d’Alessandria, firmata da Giulio Mazzoni (1569 ca.), al quale si attribuiscono anche gli stucchi che decorano la volta della cappella raffiguranti Dio Padre, Evangelisti, storie di san Girolamo e di santa Caterina d’Alessandria.
Sul lato sud del transetto troviamo la Cappella Feoli 5 e la Cappella Cicada 6 (nella foto 8), anticamente cappella unica di proprietà dei Borgia. Denominata Cappella di S.Lucia o Cappella Borgia, fu eretta da papa Alessandro VI Borgia ed ospitava le tombe di Giovanni Borgia (+1497), figlio del papa, e di sua madre, Vannozza Cattanei (+1518). Vannozza Cattanei, amante di papa Alessandro VI, dal quale ebbe quattro figli, Giovanni, Cesare, Joffré e la bellissima Lucrezia, aveva espresso il desiderio di essere sepolta nella chiesa di S.Salvatore in Thermis, perché in quella chiesa (demolita nel 1936 per la creazione del Corso del Rinascimento) vi era un busto raffigurante il Cristo con le sembianze di uno dei suoi figli ed una Madonna col Bambino in marmo bianco (trasferita nella chiesa di S.Luigi dei Francesi) addirittura con le sembianze della stessa Vannozza. Ma per ragioni rimaste ignote, non fu sepolta in quella chiesa ma, appunto, in S.Maria del Popolo. La tomba di Vannozza però, per ragioni ignote, ad un certo punto scomparve: l’ipotesi più accreditata, per molto tempo, fu che venne saccheggiata e distrutta durante il Sacco di Roma del 1527, anche se si ipotizza che possa essere stata eliminata, perché ritenuta “scomoda”, durante una delle varie ristrutturazioni della chiesa, forse ad opera di Clemente VIII, autore di atti simili in altre chiese, o di Alessandro VII Chigi. La lapide, invece, fu ritrovata nel 1948, durante lavori di restauro, sotto il pavimento della basilica di S.Marco: oggi possiamo ancora ammirarla sotto il portico della basilica. Nel 1658, a spese del convento, furono commissionate al Bernini due nuove cappelle al posto dell’antica Cappella Borgia. Quella di sinistra, dedicata a S.Tommaso di Villanova, fu assegnata nel 1671 all’abate Benedetto Mazzini come luogo di sepoltura della famiglia. La Cappella fu poi acquistata nel 1857 da Pietro Feoli che commissionò a Giambattista Benedetti una completa ristrutturazione in stile neo-rinascimentale. L’altra cappella mantenne l’antica dedica a S.Lucia, ma poi fu restaurata e nuovamente dedicata nel 1901 a S.Rita da Cascia dal cardinale Agostino Ciasca. Il monumento sepolcrale di Odoardo Cicada, vescovo di Sagona, è opera di Guglielmo della Porta ed è datato 1545. La lastra di un suo parente, il cardinale Giovanni Battista Cicala (+1570) venne inserita nel pavimento: è decorata con lo stemma araldico del cardinale su uno scudo di bronzo. Prima di procedere alla visita delle due navate minori e delle Cappelle che su queste si affacciano, gettiamo uno sguardo al pavimento della chiesa dove si possono scorgere una grande quantità di lapidi sepolcrali, molte con immagine a bassorilievo, altre con ricche decorazioni ed altre ancora con eleganti iscrizioni. Iniziamo la visita delle Cappelle poste sulla navata destra, iniziando dall’ingresso: la prima che incontriamo è la cosiddetta Cappella del Presepio 7, fatta erigere dal cardinale Domenico della Rovere tra il 1488 ed il 1490 e dedicata a S.Girolamo, con affreschi sulla vita del santo, opera di Tiberio d’Assisi; la Natività con S.Girolamo dell’altare è del Pinturicchio; nella cappella si trovano due pregevoli monumenti sepolcrali, uno del cardinale Giovanni de Castro (morto nel 1506) e l’altro dei cardinali Cristoforo (morto nel 1478) e Domenico della Rovere (morto nel 1501).
Segue la Cappella Cybo 8 (nella foto 9), completamente rifondata ed ampliata nel 1680 dall’architetto Carlo Fontana per volontà del cardinale Alderano Cybo. La Cappella, a croce greca, custodisce le tombe dei cardinali Lorenzo e Alderano Cybo, mentre la pala d’altare, raffigurante una Immacolata Concezione con Santi, è di Carlo Maratta. La terza è la Cappella Basso della Rovere 9, edificata nel 1484 dal cardinale Girolamo Basso della Rovere e decorata con affreschi del Pinturicchio e della sua scuola. In buona misura si conserva la pregevole pavimentazione quattrocentesca in elementi ceramici policromi.
La quarta è la Cappella Costa 10 (nella foto 10), già appartenuta al cardinale Domenico della Rovere che la cedette al cardinale portoghese Giorgio Costa (+1508), il cui monumento si fronteggia con quello quattrocentesco di Marcantonio Albertoni (+1485). Il trittico marmoreo, raffigurante i Santi Caterina, Vincenzo ed Antonio da Padova, è della scuola del Bregno. Le Cappelle poste sulla navata sinistra, iniziando dal transetto, sono: la Cappella Cybo-Soderini 11, nella quale è collocato un antico crocifisso ligneo del XV secolo; le pitture delle pareti e della volta con Storie della croce, angeli e profeti sono di Pieter van Lint. La seconda è la Cappella Mellini 12, nella quale si trova la bella pala d’altare raffigurante la Vergine e S.Nicola da Tolentino, opera di Agostino Masucci; ai lati tombe dei cardinali Savio Mellini, opera di Pierre-Etienne Monnot, e di Garcia Mellini, opera di Alessandro Algardi.
Segue la Cappella Chigi 13 (nella foto 11), costruita secondo il progetto e la decorazione di Raffaello Sanzio per il banchiere Agostino Chigi, ampliando la prima cappella quattrocentesca dedicata alla Madonna di Loreto. La Cappella è costituita da uno spazio cubico chiuso da una cupola decorata a cassettoni dorati e mosaici eseguiti dal veneziano Luigi de Pace e su disegno dello stesso Raffaello: al centro si trova Dio Padre circondato dalle allegorie del Sole e gli altri pianeti. Gli affreschi tra le finestre, che raffigurano Storie della genesi e i pennacchi con le Stagioni, sono di Salviati (1550), mentre sull’altare è la bellissima Natività di Sebastiano del Piombo, eseguita ad olio direttamente su una parete di blocchetti di pietra (peperino). Completano la pregevole decorazione le sculture di Lorenzetto (Giona ed Elia), le tombe piramidali dei Chigi e le sculture del secolo seguente del Bernini (Daniele e il leone e Abacuc e l’angelo), che mise mano anche all’architettura della cappella per il futuro papa Alessandro VII Chigi.
Tra questa Cappella e la seguente si trova il bellissimo monumento funebre dedicato a Maria Flaminia Odescalchi (nella foto 12), giovane moglie di Ferdinando Chigi, la quale morì a vent’anni dando alla luce il terzo figlio. Il monumento funebre, realizzato nella seconda metà del XVIII secolo su progetto di Paolo Posi, vuole celebrare l’unione delle due famiglie, come testimoniano i simboli araldici: in alto l’aquila ed alla base il leone, elementi araldici degli Odescalchi, in basso il monte di sei cime da cui nasce la quercia, elementi araldici dei Chigi. Una veste d’oro avvolge l’albero, decorata con le stelle dei Chigi e gli incensieri degli Odescalchi. L’ultima è la Cappella del Battistero 14, con antiche opere di Andrea Bregno provenienti dal primitivo altare maggiore.
Infine vogliamo segnalare un particolarissimo monumento, situato alla sinistra del portale d’ingresso (nella foto 13), costituito da una grata che imprigiona uno scheletro e dalle seguenti scritte: NEQUE HIC VIVUUS sulla parte superiore, sotto il ritratto di un uomo che, si noti bene, non è un dipinto ma un rilievo e, nella parte inferiore, NEQUE ILLIC MORTUUS. Il senso dell’iscrizione è “Né qui vivo, né là morto”, forse nel senso che quando si è vivi non si è completamente vivi perché destinati a morire e quando si è morti non si è completamente morti perché c’è un’altra vita. Questa è la tomba di Giovan Battista Gisleni, architetto, scenografo e musicista che morì a Roma nel 1672. Forse fu lui stesso l’ideatore della tomba ed anche dei motti. Sopra lo scheletro c’è lo stemma dei Chigi, ai lati del quale si trovano due tondi con i motti: IN NIDULO MEO MORIAR (“Morirò nel mio nido”) e UT PHOENIX MULTIPLICABO DIES (“Come la fenice moltiplicherò i giorni”). Accanto a questa tomba si trova un’altra bellissima tomba, quella di Maria Eleonora Boncompagni Ludovisi, principessa sovrana di Piombino per 12 anni fino alla morte avvenuta nel 1715: un teschio alato raffigurato sopra la lapide in marmo policromo ed un drago alato, emblema araldico dei Boncompagni Ludovisi, rendono anche questo sepolcro uno spettacolo artistico.
Al centro di Piazza del Popolo si innalza l’Obelisco detto “Flaminio” (nella foto 14), alto metri 25,90 e recante i geroglifici di Seti I (1287-1279 a.C.), definito “colui che riempie Eliopoli di obelischi perché i loro raggi possano illuminare il tempio di Ra“. Fu il primo obelisco ad essere trasferito a Roma, al tempo di Augusto (nel 10 a.C.), per celebrare la conquista dell’Egitto: come simbolo del Sole, venne collocato nel Circo Massimo (dove 350 anni dopo sarà affiancato dall’Obelisco Lateranense) ed innalzato poi in Piazza del Popolo, per ordine di Sisto V, il 25 marzo 1589. Ai suoi piedi si trovava la fontana del Trullo, opera di Giacomo Della Porta, oggi in piazza Nicosia: difatti, nel XIX secolo, la piazza fu completamente trasformata dal Valadier, il quale le conferì una scenografia quasi perfetta, con quella grandiosa forma ovale tra i due vasti emicicli, rivestì S.Maria del Popolo di una struttura neoclassica per adattare la sua facciata meridionale al resto della piazza e sostituì la precedente fontana del Trullo con la fontana dei Leoni, che si sviluppa intorno all’obelisco ed è costituita da quattro vasche rotonde di travertino, sormontate da altrettanti leoni di marmo bianco e di stile egizio, dalle cui bocche esce l’acqua a ventaglio. Negli emicicli, due esedre in laterizi ornate da sfingi e, agli estremi, dalle statue delle Stagioni, opere di Gnaccarini, Laboureur, Stocchi e Baini: nel mezzo delle esedre due fontane, una posta sotto il Pincio e costituita dalla “Dea Roma attorniata dal Tevere, dall’Aniene e dalla lupa“, l’altra, sul lato opposto della piazza, composta da Nettuno fra due Tritoni, entrambe opere di Giovanni Ceccarini.
Sul lato sud di Piazza del Popolo, quasi a sentinelle del Tridente, sorgono le due chiese gemelle di S.Maria in Montesanto e di S.Maria dei Miracoli (nella foto 15), iniziate dal Rainaldi e terminate dal Bernini e da Carlo Fontana nel 1675 la prima, nel 1678 la seconda. Per creare un punto focale sulla piazza, le chiese dovevano essere due costruzioni simmetriche, ma lo spazio disponibile sul lato sinistro era minore. Rainaldi risolse il problema dotando S.Maria dei Miracoli (a destra) di una cupola ottagonale e S.Maria in Montesanto (a sinistra) di una cupola dodecagonale, schiacciando abilmente quest’ultima nello spazio disponibile. Anche gli interni risultano diversi, ellittico quello di S.Maria in Montesanto, circolare quello di S.Maria dei Miracoli: eppure le due chiese, viste da Piazza del Popolo, per un puro effetto ottico, risultano uguali. Per i due portici vennero adoperate quelle stesse colonne che adornavano il campanile di S.Pietro, fatto demolire da papa Innocenzo X. S.Maria dei Miracoli deve il suo nome alla miracolosa immagine della Madonna, un tempo posta sulle sponde del Tevere all’altezza dell’odierna Via della Penna ed alla quale il popolo attribuì il salvataggio di un bimbo caduto nelle acque del Tevere. In ricordo dell’evento prodigioso, fu edificata una cappella dedicata alla Vergine Maria nella quale venne collocata l’immagine miracolosa, da allora conosciuta come Madonna dei Miracoli. A causa dei continui straripamenti del Tevere e per preservare sia la cappella sia l’Immagine della Madonna, nel 1590 fu deciso di trasferire il dipinto nella chiesa di S.Giacomo in Augusta, dove si può ammirare ancora oggi, mentre nella cappella venne sistemata una copia. Le inondazioni del Tevere, però, continuavano a mettere a rischio la cappella e così nel 1661 papa Alessandro VII decise di costruire una nuova chiesa in Piazza del Popolo ove custodire la copia della Madonna dei Miracoli: la nuova chiesa è, per l’appunto, S.Maria dei Miracoli. L’altra chiesa, S.Maria in Montesanto, prende il nome invece dalla precedente chiesa dei Carmelitani di Monte Santo, in Sicilia, sul luogo della quale fu costruita. C’è da ricordare inoltre che sotto le due chiese, nel corso di recenti restauri, sono stati visti i resti di due monumenti funerari a piramide, simili, per forma e dimensioni, alla piramide di Caio Cestio e come questa appartenenti al periodo augusteo. In contrasto con l’aspetto razionale ed ordinato del luogo, Piazza del Popolo, che prima della sistemazione del Valadier aveva da un lato fienili e granai e dall’altro una gran vigna appartenente agli Agostiniani, fu spesso teatro di esecuzioni capitali fino al XVIII e XIX secolo.
Come ricorda la lapide (nella foto 16) apposta dall’Associazione Democratica Giuditta Tavani Arquati nel 1909 sulla ex caserma della gendarmeria pontificia, oggi caserma dei Carabinieri, in questa piazza vi furono ghigliottinati i due carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari, “rei di lesa maestà e ferite con pericolo“, come è scritto nella relazione di Mastro Titta. Nel 1826 la piazza vide l’ultimo supplizio della mazzolatura semplice (ossia senza squartamento), dove i condannati venivano ripetutamente colpiti con martellate alle tempie fino alla morte: il condannato era tal Giuseppe Franconi, reo di aver ucciso un prete per rapina.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza del Popolo di G.B.Piranesi
Piazza del Popolo di G.B.Falda