Via di Ripetta è sorta sul tracciato di un’antica strada romana che si distaccava dalla “Via Flaminia” poco dopo aver oltrepassato l’odierna Piazza del Popolo, un lungo rettifilo che costeggiava a destra il Tevere (all’altezza dell’attuale Ponte Cavour) ed a sinistra il Mausoleo di Augusto, incorporando l’attuale Via di Ripetta e Via della Scrofa. Si ritiene che l’antica via risalga al 29 a.C., ovvero all’epoca della costruzione del Mausoleo di Augusto. All’inizio del XVI secolo Via di Ripetta fu detta “Via Leonina“, da Papa Leone X Medici che la sistemò intorno al 1510, facendo ricorso al contributo economico straordinario, come per molte altre strade romane, delle prostitute, che dovettero sobbarcarsi il pagamento di forti tasse. Il compimento della strada dovette essere molto laborioso, come si deduce dal “motu proprio” di Papa Leone X, che minacciò addirittura di scomunica l’architetto Antonio da Sangallo il Giovane ed i due Maestri delle Strade, Raimondo Capodiferro e Bartolomeo della Valle, se non avessero portato a termine l’impresa. Dalle piante della fine del XVI secolo si nota che l’urbanizzazione della via era completa, poiché le varie case si allineavano l’una accanto all’altra, lungo gli assi viari già definiti dalla precedente lottizzazione. Nel Settecento aumentarono i palazzetti per residenze multiple con botteghe al pianterreno ed edifici seriali a più piani. Nel 1704 Papa Clemente XI ordinò la costruzione del porto che, per distinguerlo dal Porto di Ripa Grande, fu detto Porto di Ripetta, toponimo che passò, poi, anche alla via. In precedenza la via aveva avuto anche altre denominazioni: oltre alla già citata “Via Leonina“, “Via Nuova a Santa Maria del Popolo“, “Via di Posterula” (con riferimento alla posterula di S.Martino, cioè una porta secondaria delle Mura Aureliane lungo la riva del Tevere) e “Via della Pila” (perché vicina alla posterula della Pila, un altro accesso al Tevere).
Iniziamo il percorso della via partendo dalla Piazza del Popolo: all’altezza del civico 248, sull’edificio che fa angolo con Via Brunetti, possiamo notare il busto di Ciceruacchio, al secolo Angelo Brunetti (nella foto 1). Il soprannome, secondo alcuni, deriverebbe dalla corruzione del nome Cicerone, a causa dei discorsi che il sanguigno carrettiere improvvisava un po’ ovunque, oppure, secondo altri ma soprattutto come lui preferiva credere, per un vezzeggiativo delle comari che vedendolo bimbo di pochi giorni grassoccio e ben piantato, si complimentavano con sua madre dicendo: “Guarda che bel ruacchio de ciccia!“, che, tradotto, significa: “Guarda che bel pezzo di bambino!”. Fu un eroico protagonista della Repubblica Romana del 1849, coprendosi di gloria nella disperata difesa delle Mura presso il Gianicolo dall’assalto dei Francesi; abbandonata la città al seguito di Garibaldi, venne catturato dagli Austriaci sulle rive del Po, finendo fucilato con i suoi figli Luigi e Lorenzo, uniti a lui in un martirio che è divenuto l’anima di una commovente leggenda popolare. Nel 1871 fu posta la prima lapide da parte del Comune di Roma: “NATO DA ONESTI POPOLANI NEL 1800 QUI DIMORÒ ANGELO BRUNETTI DETTO CICERUACCHIO OPEROSO ISPIRATORE DEL POPOLO A LIBERTÀ FUGGENDO LA SERVITÙ DELLA PATRIA FU MORTO DA FERRO STRANIERO UNITAMENTE AI FIGLIUOLI LUIGI E LORENZO IL 10 AGOSTO 1849”. La seconda lapide venne posta invece dai cittadini l’anno successivo, nel 1872, e così recita: “DALLA RICONOSCENZA DE CITTADINI RESO IN EFFIGIE QUI DOVE VISSE PER LA PATRIA”.
Al civico 231-232 si trova il Palazzo del Conservatorio delle Zitelle (nella foto 2), un edificio costruito nel Seicento che sviluppa su due corpi di fabbrica. La parte più antica è quella posta al civico 232 (nella foto 3), ad angolo con Via del Vantaggio, con l’ingresso costituito da un piccolo portale bugnato ad arco con cartiglio, fiancheggiato da una finestra inferriata con mensola.
L’edificio è costituito da due piani con altrettante finestre: ad arco bugnato al primo ed a cornice semplice al secondo, poggianti su mensole marmoree. All’angolo un bel cantonale bugnato arriva fino al piano nobile. L’altro corpo di fabbrica, sulla sinistra (nella foto 2), è invece a tre piani, l’ultimo dei quali è un mezzanino, costituito da finestre incorniciate ed inferriate al pianterreno, a cornice semplice le altre. Al civico 231 apre con un portale architravato, sopraelevato rispetto al piano stradale da quattro gradini. Il primo nucleo dell’istituto che diverrà noto come Conservatorio della Divina Provvidenza risale al 1674, quando il pio sacerdote Francesco Papaceti “dotato di buoni talenti e di vivace e generosa pietà” riunì in una casa in Via di Tor de’ Specchi alcune povere e oneste fanciulle, per “farle godere il bene della Cristiana e Civile educazione, nonché per toglierle dal pericolo del mondo e conservare la loro pudicizia, fintanto che si trovasse l’ opportunità di maritarle o di monacarle“. L’attività principale delle fanciulle era il cucito, in particolare guanti, ed altri oggetti di pelle “tanto nostrale quanto oltremontana“. Papa Clemente X s’interessò molto a questa istituzione e, visto l’alto numero di fanciulle ospitatevi, le fece trasferire in un locale più ampio presso la chiesa di S.Orsola in Via di Ripetta (che divenne poi un oratorio privato ed interno) ed assegnò alla comunità il titolo di Conservatorio della Divina Provvidenza. Anche il papa successivo, Innocenzo XI, si occupò della comunità, tanto che nel 1682 trasferì a beneficio del conservatorio la tassa che annualmente i mercanti di vino, legna e carbone ed i barcaroli dell’adiacente Porto di Ripetta erano soliti pagare per finanziare le corse delle barche ed altri giochi che si svolgevano il giorno della festa di S.Rocco. Nel 1828 il Conservatorio, ampliato nel corso dei secoli, accolse anche le zitelle provenienti dal disciolto Conservatorio di S.Pasquale Baylon (divenendo così Conservatorio della Divina Provvidenza e di S.Pasquale Baylon) e nel 1861 fu trasformato in educandato femminile, sotto la direzione delle suore di S.Dorotea. Dopo aver corso il rischio nel 1870 di essere trasformato in caserma, nel 1876 venne riconosciuto come ente morale destinato all’educazione di fanciulle orfane di condizione civile e come tale sopravvisse fino agli anni ’50 del ‘900. Nella seconda metà del Novecento il complesso fu restaurato ed adibito ad hotel con il nome di “Residenza di Ripetta”. Vogliamo segnalare che nel 1757 venne affissa sull’edificio una targa, come ce ne sono tante per le vie di Roma, che proibiva la discarica di immondizia: questa, in particolare, è posta nella Via del Vantaggio e, oltre ad avere 250 anni di età, è considerata una delle più lunghe come testo, ma a Roma queste sono caratteristiche di poco conto se l’Amministrazione Comunale ha concesso, scandalosamente, all’edicola di giornali lì situata di nasconderla completamente alla vista. La targa, risalente al pontificato di Benedetto XIV, così recitava: “SI ORDINA E RISPETTIVAMENTE PROIBISCE A TUTTE E SINGOLE PERSONE DI QUALSIVOGLIA STATO E CONDIZIONE E PARTICOLARMENTE A CARRETTIERI E LORO GARZONI CHE NON ARDISCHINO DI PONERE E LASSARE NEL VICOLO DEL VANTAGGIO CARRETTE CON CAVALLI E SENZA CAVALLI COME ANCORA DI NON GETTARE E RADUNARE O FAR GETTARE E RADUNARE PRECISAMENTE SOTTO LE FINESTRE E MURO DEL VEN CONSERVATORIO STABBIO ET OGNI ALTRA SORTE DI IMMONDEZZE SOTTO PENE DI SCUDI VENTICINQUE CARCERAZIONI ET ALTRE CONTENUTE ET ESPRESSE NELL’EDITTO DI MONSIGNORE ILL.MO E.REMO PRESIDENTE DELLE STRADE PUBBLICATO SOTTO LI 2 DEL CORRENTE MESE DI LUGLIO 1757 P LI ATTI DELL’ORSINI NOTARO DELL’ILL.MO TRIBUNALE DELLE STRADE….”.
Ad angolo di Via di Ripetta con Via Canova incontriamo la chiesa di S.Maria in Portae Paradisi (nella foto 4). Secondo una tradizione della prima età cristiana, il luogo che accoglieva i fedeli per l’eterna dormitio si chiamava “Paradiso” e “Porta Paradisi” l’atrio che vi immetteva: la chiesa, adibita a funzioni funebri e prossima al cimitero del S.Giacomo, fu chiamata per questo motivo S.Maria in Porta (o Portae) Paradisi.
La chiesa fu eretta nel 1523 ad opera di Antonio da Sangallo il Giovane e sul portale vi è un rilievo marmoreo (nella foto 5) rappresentante la “Madonna col Bambino” attribuito al Sansovino. L’interno è a pianta ottagonale, interamente ricoperto a cupola, con due cappelle a nicchia.
Di fronte alla chiesa è situata una piazza che, a causa del palazzo semicircolare che vi sorge, è denominata Piazza del Ferro di Cavallo: l’edificio (nella foto 6) fu costruito da Pietro Camporese il Giovane nella metà dell’Ottocento per volontà di Gregorio XVI. L’opera sollevò un vespaio di polemiche e critiche causate dalle ingenti spese rispetto alle carenti casse pontificie ed il Camporese fu accusato di aver rubato troppo sulla fabbrica. Al centro dell’edificio si trova un arco, affiancato da due colonne ioniche, che immette in un bell’atrio neoclassico aperto verso la Passeggiata di Ripetta. L’atrio si compone di sei colonne a destra e di sei a sinistra, con la volta a botte e completamente decorata da riquadri con rosoni. Ai lati della galleria vi sono due bassi fabbricati ad un solo piano, con finestre centinate, che fanno da collegamento con i due lunghi edifici laterali. Questi si presentano con identiche caratteristiche architettoniche, con il bugnato liscio che riveste la facciata e con un portone sovrastato da un timpano triangolare. Il palazzo fu progettato per abitazioni civili, ma, per volere del papa, nel 1845 fu destinato a sede dell’Accademia di Belle Arti. In seguito a tale decisione, si fecero lavori di trasformazione, si aprirono nuove scale, si costruirono due grandi aule. Occorre rammentare che qui, prima della costruzione del palazzo, era l’antica “legnara“, cioè il magazzino ove i barcaioli del Tevere scaricavano la legna da ardere o da costruzione ed il luogo era chiamato “Penna“, dal pennato (o “penna”) che i legnaioli portavano solitamente alla cintura e che serviva loro per tagliare rami o squadrare tronchi. Degna di menzione è anche la notizia che per alcuni anni successivi al 1870 dalla loggia centrale dell’edificio si affacciava il funzionario delle Finanze per annunziare l’estrazione dei numeri del Lotto. Via di Ripetta prosegue affiancata da due magnifici monumenti della Roma Antica, l’Ara Pacis a destra ed il Mausoleo di Augusto a sinistra, nonché dalle due belle facciate di S.Girolamo degli Schiavoni e di S.Rocco.
Dopo avere superato l’incrocio con Via Tomacelli, possiamo notare sulla sinistra la “tastiera del cembalo”, ovvero la piccola ma bella facciata di Palazzo Borghese che qui si affaccia, mentre al civico 142 è situato il seicentesco Palazzo D’Aste (nella foto 7) di proprietà dell’omonima famiglia originaria di Albenga ed estintasi alla fine del Seicento. La facciata è a tre piani, con il primo ammezzato a finestre quadre, al centro del quale si eleva un bel portale architravato sormontato da un balcone con grandi mensole dalle protomi leonine, simbolo araldico dei D’Aste. Ai lati, quattro porte di bottega.
Al secondo piano finestre architravate, al terzo a cornice semplice sottostanti il cornicione, sopra il quale vi è un mezzanino. Il cortile (nella foto 8) è caratterizzato dalla presenza di numerosi reperti archeologici affissi alle pareti ed è ulteriormente arricchito da una fontanella costituita da due vaschette semicircolari, una con ampio bordo poggiata direttamente sul pavimento (nella foto 8 interamente ricoperta da vasi di ortensie e felci), l’altra a catino con la superficie decorata, incastrata nel muro sotto un grande mascherone che vi versa l’acqua.