Villa Medici (nella foto sopra) sorge nel luogo dove un tempo, alla fine del periodo repubblicano, Lucio Lucinio Lucullo (115 – 57 a.C.), generale romano, fece collocare i suoi giardini (conosciuti come Horti Luculliani) e tra il 66 ed il 63 vi fece costruire una grande villa. Gli Horti Luculliani occupavano le pendici della collina oggi conosciuta come Pincio, con una serie di terrazze alle quali si accedeva tramite scalee monumentali: la parte più alta, alla quale si perveniva da una scalinata trasversale a due rampe, era conclusa da una grande esedra, al di sopra della quale vi era un edificio circolare, identificato come un tempio dedicato alla Fortuna. In seguito la villa passò prima a Valerio Asiatico e poi a Messalina, moglie dell’Imperatore Claudio, la quale, al fine di impadronirsi della proprietà, non esitò a ricoprire di false accuse Valerio Asiatico, che fu così costretto al suicidio che avvenne proprio nei giardini nel 47 d.C. La villa continuò ad essere proprietà imperiale fino all’epoca di Traiano, quando questi preferì verosimilmente gli Horti Sallustiani, situati sulla parte orientale del Pincio. Nel III secolo d.C., la tenuta fu occupata dalla famiglia patrizia degli Acili e poi dei Pinci, da cui l’attuale nome della collina.
La storia di Villa Medici inizia nella seconda metà del Cinquecento quando il Cardinale Marcello Crescenzi decise di ingrandire ed abbellire il primitivo edificio a pianta quadrangolare con cortile interno per farlo divenire un palazzo in grado di competere con le dimore signorili dell’epoca. La casa a due piani con torre, circondata da una vasta zona agricola, divenne così una delle più prestigiose ville di Roma grazie all’architetto fiorentino Nanni Lippi (meglio conosciuto come Nanni di Baccio Bigio), al quale il Crescenzi si affidò. Nel 1564 la proprietà fu acquistata per 2.000 scudi da Giulio e Giovanni Ricci, nipoti del Cardinale Ricci da Montepulciano, i quali rinnovarono ed abbellirono totalmente la villa con un ingresso monumentale su Via di Porta Pinciana, fecero aprire la Salita di S.Sebastianello dopo aver acquistato una vigna di Quirino Garzoni e ne ampliarono anche l’estensione con parte dei terreni di proprietà dei frati di S.Maria del Popolo. La ristrutturazione dell’edificio venne affidata al figlio di Nanni Lippi, Annibale: tra il 1564 ed il 1565 furono così eretti il corpo dell’edificio principale e la sua scala frontale, una loggia, un salone ed un corpo meridionale e fu sopraelevato il livello del giardino per nascondere la volta di una cisterna romana. L’incarico di Presidente della Congregazione delle Acque conferito da Pio IV al Cardinale Ricci contribuì notevolmente a far collegare la villa, nel 1568, all’Acquedotto Vergine, permettendo così all’ingegnere Camillo Agrippa di sistemare meravigliosamente i giardini.
Nel 1576 la villa fu acquistata da Ferdinando de’ Medici (donde il nome che ancora oggi porta), il quale incaricò l’architetto Bartolomeo Ammannati di trasformare ulteriormente il complesso, dando così inizio al periodo del suo maggiore splendore. Fu modificata la parte centrale dell’edificio, creando al di sopra della loggia un appartamento nobile ed aggiungendo un’ala ad angolo retto, destinata ad accogliere una galleria di statue; fu aggiunta la seconda torre, quella verso Trinità dei Monti, dopo aver rielaborato quella già presente ed averle congiunte con un terrazzo al quale si addossa il tetto. Nel 1770 il Granduca Pietro Leopoldo vi ospitò il fratello imperatore, Giuseppe II. Quando, nel 1801, il Granducato divenne Regno d’Etruria, nella villa si insediò il plenipotenziario a Roma di Ludovico I di Borbone, Vargas Laguna. Quando la proprietà venne acquistata dal governo francese, si cercò di ridare al complesso la sua antica funzione ed il suo fastoso carattere: fu così che sulla facciata furono posti frammenti scultorei ed architettonici, alcuni dei quali recuperati dal giardino, per colmare il vuoto lasciato dai rilievi e dalle statue mancanti. Nel 1803 Napoleone in persona volle che la villa divenisse la nuova sede dell’Accademia di Francia (in precedenza situata a Palazzo Mancini), fondata da Luigi XIV nel 1666 per consentire ai giovani pittori francesi di studiare a Roma. Il disinteresse degli anni prima però aveva restituito un complesso in cattivo stato e furono necessari lunghi anni di restauro e lavori per renderlo idoneo alla funzione. Pochi anni e la villa fu nuovamente pronta ad accogliere feste e ricevimenti mondani come nel passato: particolarmente grandiosi quelli organizzati in occasione dell’ultima incoronazione di un sovrano francese, Carlo X, avvenuta a Reims nel 1825, in occasione dei quali fu eretto pure un obelisco con un’iscrizione in geroglifici recante le lodi del nuovo sovrano, per la stesura della quale ci si avvalse dell’opera dell’egittologo Champollion. Originariamente l’Accademia Reale inviava artisti a Roma per completare la loro formazione, ma poi l’Istituto di Francia e l’Accademia di Belle Arti organizzarono i “Grand Prix” di Roma, una speciale borsa di studio per giovani artisti meritevoli. Si aggiunsero nuove discipline, come musica e scultura, ma soprattutto fu la scelta dei borsisti che cambiò: non più forme di nepotismo, ma scelte per merito. Nicolas Poussin fu uno dei primi consiglieri dell’Accademia, Ingres il direttore e tra gli studenti ci furono Fragonard e Boucher. Ancora oggi l’Accademia di Francia accoglie ogni anno, nel mese di settembre, un nuovo gruppo di borsisti, selezionato da una giuria internazionale in base a criteri d’eccellenza attraverso un concorso basato sulla presentazione di un progetto e di un dossier. La selezione è aperta ad artisti e ricercatori di tutte le nazionalità che parlino francese e di età compresa tra i 20 ed i 45 anni, al momento del soggiorno a Roma. I candidati possono fare domanda in tutte le discipline e generi della creazione artistica: architettura, arti visive, composizione musicale, design e mestieri d’arte, scrittura di sceneggiature, letteratura, fotografia, scenografia, regia, coreografia, oltre che in storia e teoria dell’arte ed in restauro delle opere d’arte e dei monumenti. I borsisti, il cui soggiorno può durare 12 o 18 mesi, beneficiano di una borsa di ricerca e di un’indennità di residenza, di un alloggio e di un laboratorio, o comunque di uno spazio di lavoro.
Procediamo ora ad una visita approfondita della villa, iniziando dall’ingresso su Viale della Trinità dei Monti.
La facciata esterna (nella foto 1) presenta un aspetto austero e compatto con le due torrette laterali che fungono da belvedere; al pianterreno si apre un maestoso portale architravato, affiancato da colonne e da sei finestre incorniciate e sormontato da un piccolo balcone rettangolare, sorretto da tre mensole.
Il balcone è costituito da una balaustra in marmo al centro della quale è situata una fontanella ovoidale sorretta da uno stelo centrale e da due delfini (nella foto 2).
Dinanzi al portale, sull’altro lato della strada, è situata la cosiddetta Fontana della Palla di Cannone (nella foto 3), commissionata ad Annibale Lippi dal Cardinale Ferdinando de’ Medici, preposto da Papa Sisto V a Sovrintendente ai lavori dell’Acquedotto Felice. Terminati i lavori il pontefice donò alcune once d’acqua al cardinale, il quale fece sgorgare da questa fontana dopo averne acquistato la vasca di granito, per la cifra di 200 scudi, dai frati di S.Salvatore in Lauro. La fontana è costituita da una semplice vasca ottagonale di raccolta dalla quale si eleva un robusto pilastro che sostiene una bella tazza circolare di granito rosso, a forma di coppa, con la sfera di marmo bianco dalla quale fuoriesce l’acqua. La leggenda vuole che questa sfera sia realmente una palla di cannone e che provenga da Castel S.Angelo, da dove la sparò Cristina di Svezia, ubriaca, in una notte di baldoria. È un segno della “dolce vita” datata XVII secolo! Sul portone della villa ci sarebbero ancora i segni della cannonata: il Lippi pensò bene di utilizzare il proiettile per decorare la sua fontana.
Varcato l’ingresso della villa si accede in un vestibolo alla cui destra si apre un lungo ambiente un tempo denominato “rimessone” perché destinato ad accogliere le carrozze, oggi adibito ad ospitare le importanti mostre d’arte indette annualmente dall’Accademia. Dal vestibolo parte un ampio scalone, dove vi è collocata una statua di Luigi XIV (il fondatore dell’Accademia di Francia), scolpita da Domenico Guidi nel 1701; la scala si divide poi in due rampe che conducono ai mezzanini e da qui altre due scale a chiocciola portano al piano nobile, che, data la pendenza del terreno, corrisponde al pianterreno del lato interno. Qui vi è il grande salone che fungeva originariamente da sala per spettacoli e concerti. Una porta, sormontata dalla scritta “A NAPOLÉON LE GRAND, LES ARTS RECONNAISSANS” (“A Napoleone il Grande, le Arti riconoscenti”) mette in comunicazione il salone con la Loggia dei Leoni (nella foto 4), così denominata per la presenza dei due massicci leoni marmorei posti tra colonne di cipollino e granito egiziano: qui il piano si allunga verso l’esterno a formare una terrazza, dalla quale si dipartono due scale simmetriche che conducono al giardino.
Al centro, la terrazza si incurva e la balaustra si interrompe con due pilastrini sormontati da due sfere per lasciare posto, al centro, ad una coppa sormontata dalla Fontana del Mercurio Volante (nella foto 5): la statuetta poggia la punta del piede sinistro e si presenta nell’atto di spiccare il volo, con la gamba destra slanciata all’indietro. Il giovane dio appare nudo, con due piccole ali al di sopra dei talloni; il braccio destro è proteso in avanti mentre il sinistro, più aderente al corpo, sostiene il caduceo, ovvero la verga simbolo del dio, sulla quale sono attorcigliati due serpenti.
La facciata interna della villa (nella foto 6) è caratterizzata dal gran numero di bassorilievi e statue che decorano sia il corpo centrale sia i due avancorpi laterali, anche se in numero considerevolmente minore rispetto al passato, come testimoniato dalle nicchie vuote.
In particolare, la facciata ospitava grossi frammenti appartenenti all’Ara Pacis, successivamente trasferiti a Firenze ed al Museo del Louvre: oggi rimangono soltanto due monumentali ghirlande (una delle quali nella foto 7), murate sugli avancorpi laterali.
Il corpo centrale ospita invece alcuni rilievi (nella foto 8) provenienti dalla collezione della Valle-Capranica: un primo gruppo raffigura un Tempio ottastilo corinzio, identificato con quello di Marte Ultore, un Rilievo raffigurante il toro condotto al sacrificio, un frammento raffigurante Un gruppo di personaggi togati ed un Corteo di personaggi togati, tutti appartenenti originariamente allo stesso monumento affine all’Ara Pacis, ovvero l’Ara Pietatis Augustae, dedicata nel 43 d.C. dall’imperatore Claudio. Un altro gruppo di rilievi rappresentano Personificazioni di città inginocchiate e amorino volante della metà del II secolo d.C. Entrambi i gruppi provengono dall’Arcus Novus, dell’inizio del IV secolo d.C., dove erano stati reimpiegati come decorazioni. La moda di incastonare frammenti antichi nelle facciate, diffusasi a Roma alla fine del Cinquecento, era dettata dal desiderio di creare una sorta di museo all’aperto ed era favorita ed alimentata dai ritrovamenti che avvenivano nelle proprietà signorili.
Sullo spiazzo situato dinanzi alla facciata sorge la cosiddetta Fontana a Calice (nella foto 9), costituita da una vasca circolare con bordo arrotondato, al centro della quale, su finte rocce, spicca un vaso. Questo si presenta slanciato, con piede rigonfio e parte terminale a bordo circolare aperto: al centro uno zampillo fa tracimare l’acqua dai bordi del vaso per raccogliersi nella vasca inferiore.
L’obelisco posto al centro del giardino (nella foto 10) è una ricostruzione dell’originale obelisco detto “Mediceo”, rinvenuto nel 1550 nel Tempio di Iside e qui posto dal Cardinale Ferdinando de’ Medici, che lo acquistò per arricchire ulteriormente la sua collezione di antichità. L’obelisco, alto m 6,27, è costituito da un monolito di granito rosa proveniente dalle cave di Assuan e fu portato a Roma nel I secolo a.C. Datazione e provenienza dell’obelisco ancora oggi non sono ben precisati: a lungo si è ritenuto che provenisse dal Tempio di Ammone a Tebe (oggi Luxor) e che fosse datato al 1500 a.C., ma studi più recenti ne collocano la realizzazione durante il regno di Ramesse II (quindi tra il 1297 ed il 1213 a.C.) e la provenienza, come per altri obelischi portati a Roma, da Heliopolis.
Nel 1790 l’obelisco fu trasportato a Firenze per volontà di Pietro Leopoldo di Lorena per ornare i giardini di Boboli, dove tuttora si trova (nella foto 11). Sulla sinistra del piazzale antistante l’edificio si aprono i giardini, ricchi di statue e sarcofagi utilizzati come fontane o sistemati con ordine sullo sfondo di viali delimitati da alte siepi rettilinee che dividono lo spazio in aiuole quadrate, dove si ergono maestosi pini.
In una di queste aiuole sono collocate le copie, da originali ellenistici, del gruppo di Niobe e dei suoi figli (nella foto 12). Le statue erano state rinvenute nel 1583 presso la Vigna Tommasini, in prossimità di Porta S.Giovanni, ed anch’esse furono acquistate dal Cardinale Ferdinando de’ Medici. Il gruppo raffigura la strage dei Niobidi compiuta da Apollo ed Artemide per vendicare l’offesa rivolta da Niobe alla loro madre Latona ed è composto da dodici sculture, la più conosciuta delle quali è quella rappresentata dalla madre con gli occhi rivolti al cielo in atteggiamento supplichevole mentre cerca di proteggere la figlia minore con il proprio manto nascondendola agli strali divini. Le sculture sono repliche di età romana di un gruppo di originali la cui datazione è ancora controversa: fine IV secolo o più probabilmente II-I secolo a.C. Nel 1770 anche le statue furono trasferite a Firenze e sistemate agli Uffizi dove, nel 1780, fu allestita dall’architetto Gaspare Maria Paoletti la Sala della Niobe in pieno gusto neoclassico atta a contenere tutte le sculture. Nel periodo in cui fu proprietà dei Medici, la villa divenne il luogo più elegante di Roma e la sede degli ambasciatori fiorentini alla Corte Vaticana: vi soggiornarono, fra gli altri, anche Maria de’ Medici (regina consorte di Francia come seconda moglie di Enrico IV), il grande pittore spagnolo Diego Velázquez e Galileo Galilei, il quale si aggirò inquieto nelle splendide stanze della villa durante il periodo del suo processo.
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Villa e Casino Medici sul Monte Pincio di G.Vasi