La Casa di Augusto, situata sul versante sud-occidentale del Palatino, fu il risultato di diverse case di età repubblicana (tra cui forse c’erano anche quelle del grande oratore Quinto Ortensio Ortalo e del console Caio Lutazio Catulo), che Ottaviano Augusto riunì in una sola al ritorno a Roma dalla Sicilia dopo la vittoria riportata contro il figlio di Pompeo, Sesto, nel 36 a.C. La scelta di Augusto di abitare sul Palatino, anche in considerazione del fatto che vi era nato, condizionerà la storia del colle, perché anche i successivi imperatori lo elessero a loro dimora, fino a trasformare la collina in un unico, immenso edificio imperiale.
La casa è suddivisa (piantina 1) in una serie di ambienti in opera quadrata di tufo articolati su due file che si addossano ad un robusto muro di contenimento: ad ovest un gruppo di stanze più piccole e appartate (2-3), con pavimenti in mosaico bianco e nero, sembra destinato ad abitazione, mentre gli ambienti ad est, che si dispongono intorno ad una grande stanza centrale 1, un tempo pavimentata in marmo, sembrano rivestire funzioni di rappresentanza. La parte più interessante dell’ala occidentale è rappresentata dalle due piccole stanze che conservano la loro magnifica decorazione pittorica di secondo stile, databile intorno al 30 a.C.: una, denominata Stanza delle Maschere 2 (nella foto sotto il titolo), presenta una decorazione architettonica complessa, ispirata alla scenografia teatrale, rappresentata dalle maschere apparentemente appoggiate su cornici a mezza altezza; al centro di ogni parete vi è un quadro con la raffigurazione di un santuario agreste. La seconda stanza 3 è la cosiddetta “Stanza dei festoni di pino”, caratterizzata dai festoni che pendono tra sottili pilastri di un portico situato sopra un alto podio: si tratta delle più notevoli pitture di secondo stile che ci siano pervenute. La zona pubblica orientale invece è caratterizzata da ambienti più grandi e riccamente rivestiti, tra le quali una stanza decorata con pannelli neri divisi da paraste rosse 4 ed un’altra 5 con pannelli gialli su fondo rosso e nicchie alle pareti, che fanno sospettare la funzione di biblioteca, così come l’altra stanza simmetrica 6. L’altra ala della casa, ad est del peristilio 7, presenta altri ambienti degni di attenzione: una grande sala colonnata 8 con pavimento ad intarsio marmoreo e decorazione alle pareti; un piccolo ambiente quadrato 9 caratterizzato dalle pareti dipinte con pannelli purpurei che danno l’illusione di aprirsi verso l’esterno; infine la stanza denominata lo Studiolo di Augusto 10, decorata con pitture raffinate e con pannelli rappresentanti motivi vegetali ed animali e con il soffitto ornato da stucchi e riquadri dipinti. Questo lato della casa era provvisto di una rampa che conduceva al Tempio di Apollo, voluto da Augusto subito dopo la vittoria di Nauloco contro Sesto Pompeo e terminato nel 28 a.C. Interamente costruito in marmo di Luni (Carrara), il tempio era situato al centro di un piazzale circondato da un portico detto delle Danaidi, dalle statue che vi erano esposte, rappresentanti le figlie del mitico Danao, re di Egitto. La facciata, preceduta da una scalinata, presentava 6 colonne con capitelli corinzi e porte rivestite d’oro e d’avorio. All’interno della cella vera e propria si trovavano le tre statue di culto, Diana, Latona e Apollo, opere rispettivamente di Scopas, Kephisodotos e Timotheos. All’interno della base della statua di Apollo, entro urne dorate, vi erano custoditi i Libri Sibillini, una raccolta di testi profetici, probabilmente di origine greca, che la tradizione vuole introdotti a Roma da Tarquinio il Superbo. Oggi del tempio non rimane che un nucleo in opera cementizia, in gran parte spogliato del rivestimento originario, in blocchi di tufo, tracce del pavimento marmoreo della cella ed alcuni frammenti delle colonne e dei capitelli: questi ultimi confermano la datazione dell’edificio all’inizio del periodo augusteo.
A nord di questi ambienti vi sono i resti di un peristilio 11, che si sovrappone al pavimento in mosaico di una preesistente casa della fine del II o degli inizi del III secolo a.C., e subito dopo i resti di altri ambienti appartenenti a quella che fu definita la Casa di Livia (nella foto 2), a causa del ritrovamento di una “fistula” (conduttura) di piombo che portava l’acqua alla casa e recante, come al solito, il nome del proprietario: “Iulia Aug(usta)”. Molto più verosimilmente questi ambienti facevano parte della stessa Casa di Augusto, forse l’appartamento privato di Livia, la moglie di Augusto.
Con l’aiuto della piantina 3, possiamo osservare che l’accesso all’edificio, costruito su un terreno in pendenza, avviene oggi tramite un corridoio a piano inclinato 12, il cui pavimento è ancora coperto con il mosaico originale, a fondo bianco con tessere nere isolate, regolarmente disposte. Dal pianerottolo, che conserva anch’esso il mosaico originale bianco e nero, si passa in un cortile rettangolare 13 con pilastri quadrati, di cui restano le basi, che dovevano sostenere una tettoia. La casa subì vari rimaneggiamenti per essere adattata a nuova funzione: originariamente l’ingresso principale doveva aprirsi sul lato est, poi chiuso al momento in cui la casa venne inserita nel complesso augusteo, che si apriva su un “atrium” 14 con impluvio (ben visibile nella foto 2) circondato da piccole stanze (“cubicula“). Il cortile 13, un tempo ingresso secondario, divenne così il nuovo ingresso, anticipato da un lungo corridoio 15. L’ampio ambiente a sud del cortile 16, il triclinio, ha conservato la sua decorazione pittorica: al centro della parete di fronte all’ingresso vi è una rappresentazione di paesaggio con un simulacro di Diana. Sul cortile si affacciano tre grandi ambienti coperti a volta, con pavimento a mosaico bianco e nero, che conservano la bellissima decorazione di secondo stile: il distacco conservativo delle pitture ha rimesso in luce le murature, rivelando che esse non sono contemporanee alla costruzione della casa, in quanto ricoprono porte murate in un secondo tempo. I muri originari, in un reticolato non troppo regolare, possono essere attribuiti al I secolo a.C. (75-50 a.C.) mentre le pitture, appartenenti ad una fase matura del secondo stile, si possono datare intorno al 30 a.C.
L’ambiente centrale detto tablino 17 presenta, sulla parete destra, una bellissima scena teatrale (nella foto 4). La superficie è tripartita a mezzo di colonne corinzie, poggianti su alte basi, rappresentate come staccate dalle parete e che sostengono un soffitto a cassettoni: delle tre porte che occupavano il centro di ogni scomparto, quella centrale è occupata da una pittura di soggetto mitico, ovvero Io sorvegliata da Argo e Mercurio che giunge a liberarla (copia di un celebre quadro di Nikias). Le porte laterali, rappresentate con i battenti aperti, lasciavano vedere sullo sfondo architetture in prospettiva, animate da personaggi. Sulla parete di fronte all’ingresso un quadro rappresentava Polifemo e Galatea: la pittura, ancora in buono stato di conservazione al momento della scoperta, è ora quasi scomparsa. La stanza a destra 18 conserva molto bene la decorazione della parete sinistra, a riquadri, con ricche ghirlande di frutta e fogliami nel settore inferiore mentre nel settore superiore corre un bellissimo fregio a fondo giallo sul quale vi sono rappresentate scene di vita egiziana. La stanza di sinistra 19 contiene pareti dipinte nello stesso tema decorativo, con rappresentazioni di figure fantastiche.