Piazza in Campo Marzio prende il nome, come l’omonimo rione, dall’antico “Campo di Marte” ma nel XVI secolo la piazza era denominata “di S.Maria in Campo Marzio“, dalla chiesa che qui si affaccia (nella foto sopra). Le prime notizie riguardanti questa chiesa risalgono all’VIII secolo quando la tradizione vuole che vi si stabilì un gruppo di monache basiliane in fuga dalle persecuzioni iconoclaste promulgate a Costantinopoli dall’imperatore d’Oriente Leone III. La tradizione narra che le suore, giunte a Roma con tre preziose reliquie, una “Madonna Advocata” (dipinta, secondo la leggenda, da S.Luca), la testa di S.Quirico, Vescovo d’Illiria, ed il corpo di S.Gregorio Nazianzeno, nonché preziose icone, decisero di farsi ricevere da papa Zaccaria per chiedere ricovero ma il carro che trasportava tutti i loro oggetti ed arredi sacri si impantanò in una palude in Campo Marzio e nessuno riuscì più a smuoverlo. In seguito a questo avvenimento, interpretato unanimemente come un segno divino, il pontefice affidò loro una piccola chiesetta dedicata all’Immacolata Concezione che sorgeva poco distante dalla palude. Le suore restaurarono la piccola chiesa, che dedicarono a S.Gregorio Nazianzeno e nella quale deposero il corpo del santo, ed accanto fondarono un monastero ed un oratorio, dove venne collocata la venerata immagine della “Madonna Advocata“. Tra il 1502 ed il 1521 la badessa Marzia Palosci (o de Palosiis), in occasione di una serie di ampi lavori di ristrutturazione, fece erigere il bellissimo chiostro, formato da un quadriportico che poggia su pilastri ottagonali in laterizio e che presenta in ogni lato un numero differente di arcate: sette nel fianco lungo e sei in quello accanto, mentre nei due lati attigui alla chiesa di S.Gregorio se ne contano in un lato quattro e nell’altro cinque.
Il cortile (nella foto 1), tenuto a giardino e chiuso al pubblico, ospita, oltre alla meravigliosa facciata di S.Gregorio Nazianzeno con il caratteristico campanile romanico, una bella fontana ottagonale risalente al 1648 ed un pozzo, al quale è legato un prodigioso evento. Nel 1525, all’interno del complesso, scoppiò un furioso incendio: le suore temettero che le fiamme avessero distrutto l’antica immagine della “Vergine Advocata“, ma una conversa, in procinto di attingere l’acqua, la ritrovò intatta nel pozzo. Il dipinto divenne naturalmente ancor più oggetto di venerazione, così come l’acqua del pozzo, che da quel giorno in poi si bevve per devozione e si somministrò ai malati. La grande affluenza di fedeli era però incompatibile con la regola di clausura delle monache (che dal IX secolo avevano abbracciato la regola benedettina) e così, tra il 1562 ed il 1564, la badessa Chiarina Colonna risolse il problema commissionando la costruzione, in luogo dell’antico oratorio, di una chiesa esterna al monastero di clausura, raggiungibile tramite due ingressi, quello interno al monastero e quello sulla piazza che, in onore del nuovo edificio sacro, venne chiamata “di S.Maria della Concezione in Campo Marzio“. Nel 1580, su ordine di papa Gregorio XIII, il corpo di S.Gregorio fu traslato con solenne processione nella Cappella Gregoriana in Vaticano, dove tuttora si trova: soltanto un braccio del santo, rinchiuso in una teca, rimase nella chiesa di S.Gregorio. Questa chiesa (nella foto 1) è a pianta longitudinale con abside, a navata unica, coperta con volta a botte e con una sola finestra sopra la porta di ingresso. Nella seconda metà del XII secolo fu realizzata la torre campanaria, situata sul fianco destro dell’edificio e ad esso comunicante tramite una porta situata all’interno del primo arco della navata. La struttura, costruita interamente in laterizio, si eleva sopra un basamento per cinque piani, di cui il primo con bifore su pilastri, i successivi con trifore su colonnine e capitelli a stampella. Nel 1685, su iniziativa del cardinale Gaspare di Carpegna, la badessa Maria Olimpia Pani commissionò la ricostruzione della chiesa di S.Maria in Campo Marzio (nella foto sotto il titolo) per garantire un bell’altare alla venerata immagine della “Madonna Advocata“. I lavori furono eseguiti da Giovanni Antonio de’ Rossi, che si protrassero però a lungo, tanto che terminarono soltanto nel 1720. La pianta della chiesa è a croce greca, allusione all’antica origine del complesso, con i bracci dell’abside e dell’ingresso aperti da quattro cappelle; un’altra caratteristica è quella di non avere una facciata propriamente detta, ma soltanto un lungo prospetto, scandito da lesene doppie di ordine composito, che segue il profilo della piazza. Molto particolare la cupola: priva di tamburo e racchiusa all’esterno da un tiburio ottagonale, sopra il quale si innalza la lanterna finestrata, ripartita da lesene slanciate e coperta dal cupolino rivestito in piombo. La calotta interna, ellittica, è divisa in quattro sezioni e non è affrescata: le uniche decorazioni sono rappresentate dalle cornici in stucco poste alla base della lanterna ed intorno alle quattro finestre ovali.
All’interno possiamo ammirare la “Deposizione di Cristo” di Baccio Ciarpi, già nella chiesa cinquecentesca, le tele con “Storie di S.Benedetto” di Lazzaro Baldi, gli affreschi di Placido Costanzi nel catino dell’abside, mentre sull’altare maggiore è collocata la menzionata “Vergine Advocata” del secolo XII (nella foto 2).
Tra le due porte di ingresso, quella del monastero e quella della chiesa di S.Maria, è situato un antico sarcofago di età romana (nella foto 3) decorato con bucrani e ghirlande, rinvenuto ad inizio Novecento durante alcuni lavori di scavo nella zona e, per la sua notevole fattura, messo a decorazione della piazza nel 1918, come si evince dalla scritta sul piedistallo che così recita: “ARAM HEIC PROPE ERUTAM A. MCMXVIII P.C.N. S.P.Q.R. ERIGEND. CUR. ET PUBLICO CULTUI REST.” Va ricordato che nel 1777, durante i lavori di fondazione di una casa donata alle suore da Pio VI affinché potessero ampliare il monastero, venne ritrovata una colonna in marmo cipollino, inizialmente destinata ad ornamento di piazza di Montecitorio, ma poi innalzata, nel 1857, in piazza di Spagna, dove tuttora si trova, a sorreggere la statua della “Vergine Immacolata“. Nel corso del XVII secolo anche il monastero venne ampliato e rimodernato con una serie di lavori diretti da Carlo Maderno e Francesco Peparelli, terminati nel 1660. Dall’Ottocento in poi la storia delle due chiese si divide: durante l’occupazione napoleonica, infatti, alcune parti del monastero furono messe in vendita e la chiesa di S.Gregorio Nazianzeno sconsacrata ed adibita a Direzione del Lotto. Il 2 aprile 1811 avvenne la prima estrazione, che si teneva nell’abside dell’altare, mentre i numeri venivano esposti sopra la porta del monastero sulla piazza in Campo Marzio. Nel 1816 la chiesa fu riaperta da papa Pio VII, ma nel 1873 fu definitivamente espropriata dal Governo Italiano insieme al monastero, dove fu insediato l’Archivio del Consiglio di Stato: dal 1973 il monastero, completamente restaurato, ospita alcuni uffici della Camera dei Deputati, mentre la chiesa di S.Gregorio, riaperta al culto, funge da cappella privata per i Deputati. Da un lato del chiostro, attraverso un cancello a vetri (chiuso per ovvi motivi di sicurezza) si raggiunge la chiesa di S.Maria in Campo Marzio, separata dal monastero da un cortiletto a forma di T, sul quale prospettano due portici formati da tre arcate; questa chiesa, invece, continuò ad essere officiata dalle monache fino al 1914, quando furono trasferite nel Monastero delle Oblate di Tor de’ Specchi. Nel 1920 il Patriarca di Antiochia chiese ed ottenne in uso la chiesa di S.Maria in Campo Marzio e parte del monastero: quest’ultimo fu definitivamente venduto al Patriarcato nel 1961, mentre la chiesa, che appartiene al Fondo per il Culto, fu concessa soltanto in uso alla chiesa cattolica di rito siro-antiocheno del Patriarcato di Antiochia.
Il lato meridionale di Piazza in Campo Marzio è chiuso da Palazzo Naro (nella foto 4), costruito su progetto di Giovanni Antonio de’ Rossi per i Naro, marchesi di Mompeo. Nel 1732 fu aperto un botteghino del lotto nel palazzo, che divenne la sede dell’Impresa del Lotto, di cui i Naro ebbero l’appalto. Nel 1750 Tommaso Naro sposò Porzia, figlia di Maria Virginia Patrizi e Giovanni Chigi Montoro, assumendo il cognome di Patrizi: fu così che la proprietà divenne dei Patrizi Naro. Nel 1830 il palazzo fu acquistato da Gioacchino Oddi e Giovanni De Angelis, mentre nel 1859 l’edificio risulta di proprietà di Luigi Maria Manzi. Al pianterreno si apre un maestoso portale settecentesco, decentrato, con una conchiglia fra festoni e due mensole che reggono un balcone: lo fiancheggiano finestre inferriate ed architravate, tre a destra e due a sinistra. La facciata sviluppa su tre piani a finestre architravate con mensole al primo, architravate semplici al secondo e riquadrate al terzo.
Dinanzi al portale di ingresso del palazzo, ad angolo con Vicolo delle Coppelle, si può notare una colonna (nella foto 5), con un bel capitello ionico, incastrata nella muratura: si ritiene che sia quanto resti di un portico medioevale di una casa appartenuta alla famiglia degli Alessandrini. Poiché il portico era divenuto rifugio di vagabondi, nel 1486 il proprietario, Mariano Alessandrini, ottenne dai Maestri delle Strade il permesso di chiuderlo, incorporandolo nella casa stessa. Infine, vogliamo ricordare una leggenda legata a questa piazza che narra l’impresa di Gerberto d’Aurillac, poi divenuto papa con il nome di Silvestro II, che aveva fama di mago e negromante: ci piace raccontarla con le parole di Giorgio Delli. “Pare dunque che nella piazza vi fosse una statua col braccio e l’indice destro tesi e sul dito la scritta “Percute Hic” (ovvero “batti qui”). Molti avevano battuto lì senza successo ma Gerberto, a mezzogiorno, segnò il punto ove cadeva l’ombra dell’indice e di notte, con un servo, aprì con un incantesimo la terra. Si trovò in una reggia d’oro, con statue di re, regine e ministri tutte d’oro, ricchezze a non finire ma…nulla poté essere toccato perché le statue facevano l’atto di saltare addosso a chi solo allungava la mano. I due fuggirono senza sapere di avere perduto il favoloso tesoro dell’imperatore Ottaviano, naturalmente mai più ritrovato”.