Via dei Condotti collega Piazza di Spagna a Largo Carlo Goldoni e corrisponde ad un tratto dell’antica “Via Trinitatis“, aperta nella prima metà del Cinquecento sotto il pontificato di Paolo III Farnese e proseguita sotto Giulio III. La via, così denominata perché conduceva (e conduce ancora) a Trinità dei Monti, comprendeva anche Via della Fontanella di Borghese e Via del Clementino. Prima di assumere il mistico nome di “Via Trinitatis” questa strada, sia pure in formato ridotto, doveva certamente far parte di quel modesto complesso viario che dagli Horti Luculliani scendeva verso la zona più bassa di Campo Marzio. A riprova che la nostra via seguisse il tracciato di un’antica strada romana, ad angolo con Via del Corso fu scoperto un tratto di basolato, tipica pavimentazione romana, e nel 1794 furono rilevati sotto un edificio i resti di un grande tempio ottastilo. Nel Medioevo varie case di scarso rilievo costituirono nella via un primo tessuto urbanistico, che si andò definendo dopo secoli, precisamente fra il Quattrocento ed il Cinquecento, periodo al quale seguì la fase barocca che si presenta ancora oggi, nonostante le trasformazioni operate nella fase moderna (Ottocento e Novecento). La “Via Trinitatis” assunse il nome attuale di Via dei Condotti quando Papa Gregorio XIII fece passare nel sottosuolo le condutture (in latino “ductus“) dell’Acqua Vergine. Secondo la leggenda, invece, il termine “condotti” deriverebbe dal latino “ducti“, ma nel senso di “guidati, condotti”, con riferimento ai soldati di Agrippa che nel 19 a.C., assetati, furono “condotti” da una fanciulla (in latino “virgo“) alla sorgente dell’acqua, alla quale fu dato appunto il nome di Acqua Vergine.
Iniziamo la nostra visita da Largo Goldoni, così denominato in quanto il grande commediografo veneziano abitò, dal novembre 1758 al luglio 1759, nel limitrofo palazzo dell’ex Ospizio dei Trinitari Castigliani, al civico 47 di Via dei Condotti (nella foto 1), come indica la targa apposta sopra il portale d’ingresso. Goldoni venne a Roma su invito del Cardinale Carlo Rezzonico, nipote di Papa Clemente XIII, affinché mettesse in scena alcune delle sue commedie nel Teatro di Tordinona, proprietà della Reverenda Camera Apostolica.
Accanto a questo edificio è situata la settecentesca chiesa della Ss.Trinità degli Spagnoli (nella foto 2), opera dell’architetto Emanuele Rodriguez de Santos, affiancato da Giuseppe Sardi. I Trinitari spagnoli, probabilmente in omaggio all’antico nome della “Via Trinitatis“, vollero erigere qui la loro chiesa. I dissidi sorti con i frati dell’Ordine costrinsero però l’artista portoghese ad abbandonare il progetto che venne poi affidato allo spagnolo José Hermosilla y Sandoval, il quale si occupò principalmente della decorazione interna. La concava facciata barocca, armonicamente movimentata con colonne e rientranze su due ordini, è coronata da doppio timpano e dalle statue di S.Felice di Valois e di S.Giovanni de Matha, fondatori dell’Ordine della Ss.Trinità, che aveva come missione la redenzione degli schiavi cristiani: questo è il significato del gruppo scultoreo raffigurante un “Angelo che libera due schiavi” posto sopra il portale d’ingresso, realizzato da Pietro Pacilli tra il 1746 ed il 1747. L’ordine superiore è decorato con le insegne regie del Re spagnolo Filippo V (tre gigli al centro dello stemma del regno di Castiglia e León), sotto il cui regno la chiesa fu fatta edificare. L’interno è a pianta ellittica con tre cappelle sui lati comunicanti tra loro; sull’altare maggiore è situata la meravigliosa tela settecentesca di Corrado Giacquinto dedicata alla “SsTrinità che assiste alla liberazione di uno schiavo per opera di un angelo“.
Annesso alla chiesa, al civico 41, è situato il palazzo del Convento dei Trinitari Castigliani (nella foto 3), costruito insieme alla chiesa tra il 1741 ed il 1746 dall’architetto Rodriguez de Santos. Il portale, architravato a timpano centinato, è affiancato da quattro porte di bottega. Sull’ingresso è posto lo stemma raffigurante la Croce dell’Ordine della Ss.Trinità.
Al civico 61 si apre Palazzo Della Porta Negroni Caffarelli (nella foto 4), costruito nella seconda metà del Seicento per i Della Porta, che vantarono numerosi priori dei caporioni e conservatori in Campidoglio, insigniti nel 1716 del titolo di conti su nomina imperiale. Nell’Ottocento l’edificio passò ai Negroni: fu il conte Giuseppe Negroni, erede dell’ultimo duca Luigi Caffarelli, a far ricostruire il palazzo distrutto da un incendio, che in pratica cancellò l’originaria immagine secentesca. Il prospetto sulla via sviluppa su tre piani di undici finestre ciascuno, con timpani curvi e triangolari alternati al primo, che poggia su una fascia marcapiano: questa è situata anche ai piani successivi, dove le finestre sono architravate. Sotto il cornicione, 24 colonnine abbinate tra le finestre circolari.
Al pianterreno, rivestito completamente di bugne, apre un portale con telamone nella chiave dell’arco (nella foto 5) e, ai lati, porta di bottega: lo sovrasta un balcone con tre portefinestre. Dal portale si passa in un primo cortile collegato ad un altro con una bella fontana settecentesca che conduce a Via Bocca di Leone.
Al civico 68 è situato il Palazzo dell’Ordine di Malta (nella foto 6), la struttura originaria del quale risale ad un modesto fabbricato del Quattrocento di proprietà della famiglia Provani, acquistato nel Cinquecento da Antonio Bosio, ricco archeologo maltese che, alla sua morte, lo lasciò in eredità all’Ordine Militare Gerosolimitano di Malta insieme ad un altro edificio limitrofo su Via del Leoncino, oggi Via Bocca di Leone. Vi s’insediò Carlo Aldobrandini, in qualità di agente per le attività religiose dei Cavalieri di Malta a Roma, che unificò le due costruzioni in un unico complesso secondo le forme attuali. Nel Settecento il Gran Maestro dell’Ordine, Francesco Antonio Manuel de Vilhena, come indica una lapide nella scala, lo abbellì su sollecitazione dell’ambasciatore dell’Ordine presso lo Stato Pontificio, Giambattista Spinola; nel cortile fu eretta una bella fontana, l’atrio divenne carrozzabile, vi fu aggiunto un piano ed aperta un’ampia scuderia. L’edificio apre al pianterreno, sul bugnato, con un ampio portale architravato con mensoloni sottostanti un balcone; al primo piano, finestre a timpani triangolari e centinati alternati; al secondo, finestre architravate. Sull’angolo, una lapide ricca di protomi leonine e putti ricorda l’ospedale dell’Ordine. A coronamento, un ricco cornicione a mensole.
Al civico 11 di Via dei Condotti è situato Palazzo Maruscelli Lepri (nella foto 7), dagli aggraziati ritmi di linee e di piani, con raffinati effetti ornamentali, ma di incerta attribuzione, pur se ispirato al barocchetto. Il palazzo, ad angolo tra Via dei Condotti e Via Mario de’ Fiori, fu costruito nel 1660 per la famiglia Maruscelli (o Marucelli) che nella seconda metà del Settecento lo vendette ai Lepri, ricchi mercanti lombardi presenti a Roma dal Seicento e nominati marchesi da Clemente XII nel 1766. Nel 1869 i Lepri affidarono a Virginio Vespignani i lavori di ristrutturazione. Nel Novecento il palazzo fu acquistato dalla marchesa Maria Cristina Bezzi-Scala, seconda moglie di Guglielmo Marconi, il quale vi abitò fino alla morte avvenuta nel 1937.
Il palazzo apre al pianterreno con un portale architravato bugnato ad arco affiancato da stelle (nella foto 8), sovrastato da un balcone sorretto da mensoloni, sul quale si affacciano tre finestre riunite in un’unica incorniciatura a timpano spezzato, al centro delle quali vi è un volto di donna su uno scudo dal quale scendono festoni. Il piano nobile presenta, ai lati del balcone, finestre con timpani alternati triangolari e centinati; al secondo piano le finestre sono architravate. Sopra il cornicione con mensole, la sopraelevazione ottocentesca a finestre decorate, un ulteriore cornicione ed un terrazzo. Dal portale si passa in un androne a pilastri e colonne che immette nel cortile, che mostra sulla parete di fronte il ricco stemma dei Lepri consistente in un ovale fra due serti di quercia diviso in due parti, dove campeggiano un’aquila ed una lepre. Vi sono anche reperti di età romana ed un sarcofago adattato a vasca di fontana nella quale una testa di leone versa l’acqua.
Di fronte a Palazzo Maruscelli Lepri, al civico 86, è situato l’Antico Caffè Greco (nella foto 9), nella cui saletta chiamata “Omnibus” si riunivano le più alte personalità del mondo della cultura, della letteratura e dell’arte. Fu fondato nel 1760 dal greco Nicola della Maddalena; di mano in mano passò al Salvioni i quali, durante il blocco continentale imposto da Napoleone (1806), mentre gli altri bar offrivano surrogati del caffè poiché v’era penuria di quello vero, riuscirono egualmente a vendere ai loro avventori caffè genuino, diminuendo la misura della tazza. Il Caffè Greco fu “patriottico e repubblicano” e considerato il ritrovo dei “mal pensanti” ostili ai francesi di Oudinot, che presidiavano in armi la città. Nomi come Casanova, Goethe, Goldoni, Wagner, Listz, Schopenhauer, Stendhal, Byron, Shelley, D’Annunzio e, in tempi più recenti, Guttuso, De Chirico, Pascarella e Trilussa, gradivano trascorrervi ore in dotte conversazioni.
Al civico 91 di Via dei Condotti si apre il portale del palazzo posto ad angolo con Piazza di Spagna (nella foto 10) e che ha assunto questo aspetto nel 1914, quando fu completamente trasformato l’edificio che vi sorgeva precedentemente, sede dell’Albergo d’Alemagna, gestito dalla famiglia Roesler, di cui faceva parte il celebre acquarellista Ettore Roesler Franz. L’albergo, dai primi dell’Ottocento, era il punto di riferimento dell’aristocrazia tedesca di passaggio a Roma, come pure degli studiosi e degli archeologi tedeschi; era stato edificato dall’unificazione di tre case che risalivano al Seicento. L’attuale palazzo su quattro piani con balcone centrale al piano nobile, sovrastante il portale, è coronato da uno splendido cornicione con sottostanti decorazioni al termine delle lesene che ripartiscono la facciata; sopra il cornicione, una elegante sopraelevazione dalle ampie vetrate.