Clivo di Scauro (nella foto sopra) conserva l’antico nome originario, “Clivus Scauri“, con un percorso che ricalca perfettamente quello antico, come testimoniato da fonti medioevali a partire dall’VIII secolo, ma anche da un’iscrizione di età imperiale. L’apertura della strada va attribuita ad un membro della importantissima famiglia degli “Aemilii Scauri” (si pensa a Marco Emilio Scauro, censore nel 109 a.C.). Caratteristici gli archi in laterizio che scavalcano la via, rifatti in età medioevale ma probabilmente già esistenti nei tempi antichi e che fino al Cinquecento erano sormontati da un secondo ordine.
Clivo di Scauro, che ha conservato nell’insieme il suo aspetto assunto nella tarda età imperiale, è affiancata, lungo la parete adiacente alla Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo, dallo straordinario complesso archeologico delle “Case Romane del Celio” (nella foto 1), scoperto nel 1887 da Padre Germano di S.Stanislao, Rettore della Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo. La tradizione identifica questi luoghi con la casa in cui i santi Giovanni e Paolo abitarono e furono sepolti, dopo avervi subito il martirio ai tempi dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363 d.C.). Nuove indagini archeologiche furono condotte tra il 1913 ed il 1914 dal padre passionista Lamberto e nel 1951 gli interventi dell’architetto Adriano Prandi portarono alla riscoperta dell’intero complesso archeologico. Nel 2002 i nuovi interventi di recupero, realizzati dal Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza Archeologica di Roma, la Soprintendenza per il Polo Museale romano e l’Istituto Centrale del Restauro, hanno aperto il sito al pubblico con il nuovo percorso.
Con l’ausilio della mappa sopra esposta ripercorriamo tutte le sale. Gli ambienti visitabili sono il risultato di una serie di trasformazioni e di stratificazioni edilizie avvenute tra il II e la fine del IV d.C. e che si conclusero con la costruzione della sovrastante Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo. Si individuano 4 principali fasi di utilizzo e trasformazione del complesso: la prima fase si fa risalire all’inizio del II secolo d.C., quando l’area era occupata da un edificio residenziale di lusso a due piani che si affacciava su un vicolo parallelo al Clivo di Scauro. La domus era dotata di un impianto termale al piano terra e di ambienti di soggiorno al piano superiore. Alla stessa fase appartengono i resti di altri edifici residenziali. La seconda fase si identifica all’inizio del III secolo d.C., quando, di fronte alla domus e con affaccio sul medesimo vicolo, fu costruita un’insula a pianta trapezoidale, composta da ambienti commerciali al piano terra e piccoli appartamenti d’affitto ai piani superiori, destinati alle classi sociali meno abbienti della città. L’ingresso alle botteghe avveniva attraverso un portico aperto sul Clivo di Scauro. Ciascuna bottega era dotata di un soppalco ligneo e di un vano retrobottega. Sul lato interno di questa sala è ancora visibile una delle ampie aperture rettangolari di ingresso alle botteghe, successivamente chiuse per consentire la costruzione della sovrastante basilica. Al di sopra dell’ampia apertura si conserva la finestra che illuminava il soppalco della bottega. La terza fase, situata tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C., si realizzò quando un nuovo proprietario rilevò l’intero isolato, trasformando gli edifici appena descritti in un’unica abitazione signorile attraverso il collegamento degli ambienti commerciali dell’insula con i retrostanti vani pertinenti al primo piano della domus. Il nuovo progetto abitativo prevedeva probabilmente l’utilizzo dei piani superiori a caseggiato d’affitto e la trasformazione del piano terra nella nuova domus signorile, destinata ad una sola famiglia, secondo un processo edilizio ben testimoniato anche ad Ostia Antica. La quarta e la quinta fase si identificano nella seconda metà del IV secolo d.C., quando la tradizione cristiana colloca in questo luogo l’abitazione dei Santi Giovanni e Paolo, come indica anche la targa apposta sopra l’ingresso (nella foto 1). Qui i due ufficiali romani subirono il martirio ad opera di Giuliano l’Apostata e qui vennero sepolti: ciò trasformò la casa in un luogo sacro e venerato, sulla quale fu costruito prima un “titulus” e poi l’attuale Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo.
Oggi l’ingresso immette in quello che costituiva il portico di passaggio per accedere alle botteghe poste al piano terra dell’insula e che si affacciava direttamente sul Clivo di Scauro, come si può osservare nella foto 2. Proprio in uno degli ambienti del portico è tuttora conservato un oratorio medioevale conosciuto come Oratorio del Salvatore (non visitabile), decorato con affreschi a soggetto cristologico risalenti al IX secolo d.C. In particolare si possono osservare: la “Crocifissione di Cristo”, vestito di una tunica blu (colobium) tra le figure di Maria e S.Giovanni, secondo la tradizione iconografica siriaco-palestinese; la “Discesa al limbo”, il “Cristo nel Sepolcro” ed il “Sorteggio della veste”. In passato vi era anche una rappresentazione del Cristo vestito tra gli arcangeli Gabriele e Michele ed i Santi Giovanni e Paolo, ma a metà del Novecento l’opera fu distaccata e collocata nell’Antiquarium, dove tuttora si trova. Tornati nella sala d’ingresso, uno stretto passaggio ad arco, aperto nel muro di fondazione della basilica, immette in una delle botteghe poste al piano terra dell’insula, che si affacciava direttamente sul portico ed era dotata anche di un magazzino.
La successiva Sala dei Geni (nella foto 3) originariamente era un vano con funzione di magazzino, poi trasformata, nella seconda metà del III secolo d.C., in un elegante ambiente di rappresentanza che si apriva sul cortile interno (poi trasformato in ninfeo): oggi il muro di fondazione della soprastante basilica ne ostruisce la vista. L’intera sala era rivestita, sul pavimento e per i primi due metri di altezza delle pareti, da una lussuosa decorazione in opus sectile marmoreo, asportata al momento dell’abbandono degli ambienti, come si può dedurre dalle impronte delle lastre marmoree ancora ben visibili nella porzione di pavimento originale dietro la protezione in vetro. Nell’angolo a destra del varco di accesso della sala si conservano le tracce dello zoccolo marmoreo parietale. La volta mostra una delicata decorazione di ispirazione naturalistica disposta su due registri: quello inferiore mostra figure di giovani nudi e alati (i geni) unite da ricche ghirlande cariche di frutti e di fiori della stagione estiva. Nel registro superiore si trova invece una scena di vendemmia autunnale nella quale compaiono i piccoli cupidi intenti nelle attività della vendemmia, elementi questi che suggeriscono per la sala una decorazione ispirata all’alternanza delle stagioni. Particolarmente ricca ed accurata è la rappresentazione di molteplici specie ornitologiche.
La sala successiva, che si raggiunge dopo aver superato sulla destra un ambiente di passaggio, è la Stanza dei Finti Marmi (nella foto 4), così denominata per la presenza di una vivace decorazione risalente all’inizio del IV secolo d.C. che raffigura un rivestimento marmoreo in opus sectile. Nella parte superiore dell’affresco sono visibili tracce di una raffigurazione a soggetto naturalistico. Il foro di scarico fognario presente in un angolo appartiene alla fase di utilizzo della sala come bottega. Gli altari e le iscrizioni che si vedono testimoniano gli interventi promossi dai pontefici e dai Passionisti della Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo alla fine del XIX secolo.
A seguire incontriamo la Sala del Bue Api e Salatrices (nella foto 5), così denominata perché conserva sulla volta immagini pagane del dio Api e di due baccanti.
Subito dopo incontriamo la cosiddetta Sala dell’Orante (nella foto 6) che prende il nome da uno dei soggetti qui raffigurati. La decorazione pittorica, risalente all’inizio del IV secolo d.C., conserva nella parte inferiore un alto zoccolo imitante un opus sectile a finto alabastro e da un fregio floreale sovrastante con racemi d’acanto che si sviluppano da cespi. Ma è la volta, parzialmente conservata, ad offrire la decorazione più interessante e complessa, ancora oggetto di studio da parte degli esperti che vi ravvisano elementi cristiani, riconducibili ad una domus ecclesia, o comunque una testimonianza del clima culturale di convivenza religiosa presente a Roma all’inizio del IV secolo d.C., aperta già ad elementi cristiani. La volta è suddivisa in spicchi nei quali si alternano coppie caprine ed ovine a figure maschili, interpretabili forse quali filosofi che reggono rotuli scritti.
Completamente integra è la famosa immagine di una figura femminile di orante (nella foto 7), dalla quale è suggerito il nome moderno della sala, che indossa una tunica ornata da una fascia purpurea e volge le braccia verso il cielo, in un gesto di preghiera. Seguono una serie di riquadri con figurazioni di varia natura quali: la maschera del Sileno circondata da ramoscelli di olivo; una maschera teatrale femminile tra fiori policromi ed un’altra maschera di Sileno tra spighe di grano, un ramoscello di vite e mostri marini fantastici sospesi a mezz’aria.
Da qui si torna indietro alla Sala del Bue Api e Salatrices e, superati alcuni ambienti, probabilmente vani di servizio della casa, non caratterizzati da rivestimenti pregiati o affreschi, si giunge alla Cella Vinaria (nella foto 8), un ambiente ricavato da una stanza con eleganti decorazioni del II secolo d.C. trasformata in un vano di servizio il cui uso si protrasse nel tempo, forse fino al VII secolo, come indica la cronologia delle anfore qui ritrovate ed ora esposte nell’Antiquarium. L’utilizzo quale magazzino è testimoniato anche dalla presenza di vasche in cocciopesto, di un’anfora interrata nel piano pavimentale e di un pozzo.
Attraverso lo stretto passaggio e scesi i pochi gradini si percorre il vicus (nella foto 9), un lungo e stretto vicolo lastricato con basoli irregolari che separava originariamente la ricca domus del II secolo d.C. (posta sulla destra) dall’edificio popolare (insula). Il vicolo, inglobato nella ristrutturazione del complesso nella metà del III secolo d.C., divenne elemento interno di raccordo tra due zone di un’unica grande domus, allargandosi in parte in un cortile a cielo aperto: il ninfeo, visibile nei prossimi ambienti. Sulla destra è l’accesso alle sottostanti terme, attualmente chiuse al pubblico in attesa dei restauri conservativi.
Percorrendo l’intero vicolo, sulla sinistra si giunge al sottoscala, luogo dove, secondo la tradizione, avrebbero subìto il martirio e sarebbero stati sepolti i martiri Giovanni e Paolo e dove fu realizzata, dopo la metà del IV secolo d.C., la confessio (nella foto 10). In questa piccola cappella di culto i fedeli si soffermavano in preghiera in corrispondenza delle venerate sepolture e di fronte alle scene cristiane conservate nella nicchia, attualmente protetta dal cancello moderno. La decorazione, datata seconda metà del IV secolo d.C., è disposta su due registri. In alto a sinistra è raffigurata la scena dell’arresto di tre figure tra soldati romani, identificate probabilmente con i martiri cristiani Crispo, Crispiniano e Benedetta, per i quali una versione più tarda della passio ne ricorda qui anche la sepoltura. In alto a destra è raffigurata invece la scena del martirio per decapitazione dei tre personaggi. Al centro in basso si può notare un orante con ai piedi le figure adoranti del senatore Pammachio, al quale si deve la costruzione della basilica, e della moglie Paolina. La sovrastante apertura è la “fenestella confessionis”, ovvero un’apertura che veniva praticata per consentire ai fedeli di vedere i sepolcri senza venirne però a contatto.
Scendendo la scala si raggiunge la moderna passerella metallica che conduce al Ninfeo di Proserpina (nella foto 11). Il ninfeo nasce come un cortile interno a cielo aperto per separare gli edifici commerciali da quelli residenziali. Con i successivi interventi venne trasformato in un elegante ninfeo, grazie all’inserimento di nicchie con fontane ancora visibili alla base della parete affrescata. La struttura quadrata di colore rosso è identificabile come un pozzo.
Il grande affresco (nella foto 12) della seconda metà del III secolo d.C., che doveva ornare i tre lati del Ninfeo, rappresenta una scena mitologica inserita in un contesto marino del quale fanno parte i piccoli eroti, impegnati in attività di pesca e di navigazione. Al centro su una sorta di isolotto sono semi-sdraiate, all’uso dei banchetti, due figure femminili: una avvolta in un pallio (mantello) e l’altra seminuda con accanto un personaggio maschile, in piedi, nell’atto di versare da bere. Il pavimento del III secolo d.C. è formato da grosse tessere marmoree policrome.
Nell’ambiente attiguo si conserva un pavimento a piccole tessere di mosaico bianche e nere (nella foto 13) riferibili al II secolo d.C., decorato con tralci vegetali e colombe. La piccola stanza, tagliata dal muro di fondazione della basilica, faceva parte di un preesistente edificio del II secolo d.C. e fu inglobata nel progetto della domus tardo antica.
Dal centro della passerella metallica e volgendo le spalle alla struttura cilindrica costituita da un pozzo di scarico medioevale, è possibile ammirare gran parte della facciata interna della domus (nella foto 14), che si conserva in questo punto per due piani: al piano inferiore presenta due finestre che davano luce ad un piccolo ambiente termale (balneum) attualmente non visitabile. Sopra il balneum era situato un appartamento del quale si conservano ancora due stanze con le relative finestre. La parete trasversale costituiva il prospetto posteriore esterno della domus, ornato da una fontanella a tre nicchie. Nel III secolo d.C., nel momento della fusione delle due case, il piano inferiore fu interrato fino al livello del piano terra dell’insula, dando origine al cortile sul quale venne costruita una scala, di cui si conservano ancora pochi gradini, per salire ai piani superiori dell’abitazione. Sotto la pavimentazione del cortile è visibile un sistema di scarico delle acque con la caratteristica forma a cappuccina. Alla fine del percorso si giunge all’Antiquarium, che occupa il basamento a croce greca della sovrastante cappella di S.Paolo della Croce. Il moderno allestimento museale curato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma raccoglie i materiali romani e medioevali delle domus provenienti dagli scavi realizzati fra il 1887 ed 1936. All’interno si possono osservare iscrizioni di varia tipologia ed appartenenza, diversi tipi di anfore da trasporto (I/VII secolo d.C.), vari materiali di uso quotidiano come vasellame, piccoli rocchetti in bronzo, aghi crinali e da cucito in avorio, lucerne ad olio.
Sulla parete di fondo si trova il grande affresco del XII secolo d.C. (nella foto 15) raffigurante “Cristo fra gli arcangeli Michele e Gabriele ed i Ss.Giovanni e Paolo”, un tempo situato nel medioevale Oratorio del Salvatore, di cui abbiamo parlato in precedenza.
Al centro della sala si trova una lastra funeraria del X secolo, reimpiegata come pietra tombale e lavorata su entrambi i lati: nella foto 16 possiamo vedere la lastra con la rappresentazione del defunto. Ai lati della testa vi sono due stemmi e, tra i piedi, un candelabro, mentre tutta intorno gira l’epigrafe che, in lettere gotiche, ne ricorda il nome, Francesco da Bobone, e la data della morte, 3 maggio 1332.
Una sezione è destinata anche alle anfore (nella foto 17), di provenienza africana (in particolare nelle officine tunisine) denominate spathion o spatheion, ovvero spadino, a causa del corpo cilindrico affusolato terminante con un lungo puntale. Queste anfore furono ritrovate integre, insieme a circa 50 esemplari frammentari di vari tipi, nella Cella Vinaria.
Degni di nota i tre elementi (nella foto 18) che facevano parte di un arredo liturgico realizzato intorno al 1216 e rimasto in opera all’interno della Basilica dei Ss.Giovanni e Paolo fino al XVII-XVIII secolo: probabilmente nell’Ottocento i due frammenti di sinistra vennero riutilizzati come stele funerarie, come testimoniano la croce ed il monogramma cristologico (IXP) inscritto in un cuore, simbolo dei Padri Passionisti, inciso su una delle facce e l’arrotondamento della parte superiore.
Sezione molto interessante è quella dedicata ai bolli laterizi (nella foto 19), ossia l’uso, a partire dall’età imperiale, di apporre bolli sui mattoni con la funzione di veri e propri marchi di fabbrica. Nei testi, spesso accompagnati da simboli di vario genere, venivano ricordati il proprietario dell’officina o il fabbricante stesso. Anche la forma del bollo è interessante perché ne attesta il periodo storico: i bolli rettangolari, su una sola riga, erano tra i più comuni dalla tarda Repubblica fino all’età di Nerone; il testo su due righe si riferisce invece ad epoca traianea. I bolli semicircolari erano in uso da Tiberio a Nerone, quelli a forma lunata in epoca flavia, i bolli circolari risalgono in parte al I secolo ma le maggiori attestazioni sono dei primi decenni del II secolo d.C. I bolli circolari con orbicolo sono i più diffusi tra Domiziano e Caracalla e quasi esclusivi fino agli inizi del III secolo d.C.: spesso il bollo è accompagnato da figure e simboli che si riferiscono ai personaggi menzionati nel testo. Nei frammenti qui esposti si possono osservare tegole o frammenti laterizi con bolli vari, da quelli circolari a quelli rettangolari fino a quelli circolari ad orbicolo, prodotti dalle officine Domitiana o Ieronymus, queste ultime appartenenti al patrimonio dell’imperatore Marco Aurelio.
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