Porta Metronia (nella foto sopra, nel suo lato esterno) si apre lungo il perimetro delle Mura Aureliane e costituisce il vertice di un tratto murario che prima si snoda in una leggera ma costante curva e prosegue poi ad angolo retto verso il Laterano. Numerosi furono i nomi che le vennero attribuiti: “Metrodia“, “Metaura“, “Metrone“, “Metiana“, “Metrobi“, “Metrovia” (probabilmente da un tal “Metrobius” che avrebbe posseduto un vasto possedimento in questa zona) e persino “Gabiusa“, per il fatto che la via che da qui partiva (corrispondente all’attuale via Gallia) conduceva a “Gabii“, antica città latina situata nel Latium vetus, ricca e potente durante l’età repubblicana.
Porta Metronia era una semplice posterula come dimostra il fatto che, caso unico, anziché essere fiancheggiata da torri, era inclusa alla base di una torretta sporgente verso l’interno della città (nella foto 1).
Il fornice della porta (nella foto 2), tuttora ben visibile su entrambi i lati, sebbene quello interno ben più ribassato rispetto al piano stradale, non presenta né stipiti né architravi bensì un solo arco in laterizio, chiaro esempio della tecnica costruttiva romana detta opus listatum (o vittatum), consistente in file di mattoni e di pietre disposte in ordine alterno. Le due coppie di fornici laterali appartengono invece alla storia recente in quanto furono aperte una al tempo del fascismo e l’altra nel dopoguerra soltanto per migliorare la viabilità stradale. Presenze importanti sono le due lapidi situate sul versante interno della torretta, proprio al di sopra della posterula murata: quella di sinistra è una lapide originale medioevale risalente al 1157 che ricorda i lavori di restauro eseguiti dal Popolo e dal Senato Romano, mentre quella di destra ricorda altri lavori eseguiti nel 1579.
La prima (nella foto 3) così recita: “R SAGL + ANNO MCLVII INCARNT DNI NRI IHV XRI SPQR HEC MENIA VETUSTATE DILAPSA RESTAURAVIT SENATORES SASSO IOHS DE ALBERICO ROIERI BUCCACANE PINZO FILIPPO IOHS DE PARENZO PETRUS DS ET SALVI CENCIO DE ANSOINO RAINALDO ROMANO NICOLA MANNETTO“, ovvero “Regione S.Angelo + Nell’anno 1157 dell’incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo il Senato e il Popolo Romano queste mura crollate per la vecchiaia restaurarono. Erano senatori Sasso, Giovanni di Alberico, Roieri Buccacane, Pinzo, Filippo, Giovanni di Parenzo, Pietro Diotisalvi, Cencio di Ansoino, Rainaldo Romano, Nicola Mannetto”. Questi erano i consiglieri che costituivano l’esecutivo del Senato e che, in un momento in cui il Comune voleva affermare con forza la sua indipendenza dal potere papale, fecero apporre questa lapide a memoria del restauro senza nemmeno citare il nome del pontefice regnante, Adriano IV.
La seconda (nella foto 4) così recita: “GREGORIO XIII PONTIFICE MAXIMO CAESAR IUVENALIS LATINI F MANNETTUS COS III TURRIM HANC OLIM COLLAPSAM ET A NICOLAO MANNETTO VII VIRO SENATORE COLLEGISQUE EIUS QUORUM FAMILIAE EXTINCTAE SUNT INSTAURATAM RURSUS POST ANNOS CDXXI ITERUM COLLABENTEM UT PUBLICUM MANNETTAE FAMILIAE IN PATRIAM PERPETUAE VOLUNTATIS EXTET MONUMENTUM PRIVATA IMPENSA RESTITUIT ANNO SALUTIS MDLXXIX“, ovvero “Al tempo di Gregorio XIII Pontefice Maximo Cesare Giovenale Mannetto figlio di Latino III Consigliere questa torre un tempo andata in rovina e rinnovata da Nicola Mannetto VII ex Senatore e dai suoi colleghi, le famiglie dei quali sono estinte, nuovamente dopo 421 anni di nuovo rovinata restituì a proprie spese affinché il pubblico monumento sussista per la patria secondo le ultime volontà della famiglia Mannetto nell’anno di grazia 1579”. Il fornice di porta Metronia venne chiuso nel XII secolo affinché la porta stessa potesse essere utilizzata per il passaggio della Marana, un nuovo condotto idrico a cielo aperto (dal XV secolo conosciuto anche come Acqua Mariana) proveniente dalla Valle della Molara, in prossimità di Squarciarelli (Grottaferrata), e portata a Roma da papa Callisto II nel 1122, secondo un passo del Liber Pontificalis che così recita: “(Callisto II) deviò il corso d’acqua per antiche condutture e lo condusse fino a Porta Asinaria; e lì fece approntare un lago per far abbeverare i cavalli e nello stesso corso d’acqua costruì anche molte piccole mole”. Da lì la Marana proseguiva costeggiando le Mura Aureliane in direzione sud ed entrava a Roma attraverso porta Metronia, opportunamente chiusa a causa della sua ridotta importanza e del suo stato alquanto malridotto e trasformata in una sorta di varco fortificato per l’acqua.
Nell’immagine 5, estratta dalla pianta di Leonardo Bufalini del 1551, possiamo notare il percorso della Marana (da noi evidenziata in blu) che passa attraverso la porta ed il nome attribuito dall’architetto sia alla porta, Porta Gabiusa, ma anche “Porta Metrobii vocatur” (ossia “chiamata Porta Metrobi”), sia alla via che da lì partiva, via Gabiusa.
Nell’incisione 6, risalente al XVII secolo, invece, si può notare la porta chiusa e la caratteristica inferriata posta sul canale della Marana, appostavi affinché evitasse l’ingresso in città di persone o di merci di contrabbando attraverso la conduttura. A tal proposito, è opportuno rammentare che l’origine del toponimo Ferratella, attribuito a tutta la zona circostante ed alla vicina via della Ferratella in Laterano, derivi proprio da questa inferriata. In alcuni documenti del 1173 appare la denominazione “Porta Metronii in Pantano” (e dal XIII secolo tutta l’area fuori porta Metronia fu detta “lo Pantano”) in quanto la Marana, nell’incanalarsi nella conduttura sotto la porta, probabilmente formava un ristagno che fu causa di molte epidemie, come quella grave del 1601. La Marana (deviazione linguistica che poi a Roma verrà utilizzata per indicare qualsiasi acqua stagnante), denominata anche “Marana di S.Giovanni” perché scorreva in prossimità della porta S.Giovanni, oltrepassata porta Metronia continuava per gli orti del monastero di S.Sisto Vecchio, proseguiva verso la “Valle Murcia” (la depressione tra Aventino e Celio), raggiungeva il Circo Massimo all’altezza della Torre della Moletta e terminava la sua corsa nel Tevere, nei pressi della Cloaca Maxima: qui veniva utilizzata per muovere ben 14 “mole di terra”, come venivano chiamati questi mulini azionati non dall’acqua del Tevere ma dalla Marana, appunto. Oggi non rimane più nulla di visibile: “lo Pantano” è stato risolto ad inizio Novecento grazie ai lavori di realizzazione della Passeggiata Archeologica, quando tutta la terra di riporto fu scaricata tra piazzale Metronio e piazza di Porta Metronia, provocando un notevole innalzamento del piano e sotterrando completamente la conduttura. La Marana invece esiste e tuttora l’acqua scorre da Grottaferrata a Roma ma il suo corso, a causa dell’urbanizzazione dei quartieri Tuscolano ed Appio-Latino, fu deviato e fatto confluire nel fiume Almone.