Piazza Capranica prende nome dal palazzo (nella foto sopra) fatto costruire nel 1451 dal cardinale Domenico Capranica per ospitarvi il Collegio per l’educazione degli ecclesiastici, il primo seminario aperto a Roma. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1458, il fratello cardinale Angelo volle creare qui la residenza di famiglia e così fece costruire l’edificio con la torre ad angolo con l’attuale via del Collegio Capranica, al quale destinò il collegio (inaugurato nel 1478), riservando la parte più antica alla famiglia. Si ebbero così i due portali marmorei con architrave, visibili nella foto sopra: quello sotto la torre presenta la scritta “COLLEGIUM CAPRANICENSE” e cinque stemmi abrasi, mentre l’altro, quello di destra ed ingresso del palazzo originario, presenta stemmi scalpellati: al centro quello di Papa Nicolò V, l’altro del Popolo Romano e vi si legge la data 1451. Il portale, inoltre, presenta l’iscrizione “TEATRO CAPRANICA”, in quanto un tempo costituiva anche l’ingresso all’antico teatro inaugurato nel 1679. Nato come teatro privato, già nel 1692 era a pagamento: dal Settecento in poi subì vari restauri, mai veramente efficaci, legati a problemi di agibilità, tanto che per motivi di sicurezza finì per essere chiuso nel 1881, dopo la rappresentazione dell’opera di Verdi “Ernani“.
Il locale, utilizzato come magazzino per 40 anni, riaprì nel 1922 e venne trasformato in cinema fino all’anno 2000 e successivamente, nel 2005, trasformato in un centro congressi dotato di 800 posti a sedere, nel cui ambito ospita anche opere e concerti. Palazzo Capranica è uno dei pochi palazzi pre-rinascimentali sopravvissuti al tempo, anche se l’aspetto severo è il risultato di una serie di aggiunte successive, cosa non insolita alla fine del XV secolo, quando Roma oscillava tra Medioevo e Rinascimento. Probabilmente la facciata era arricchita da affreschi decorativi di Polidoro da Caravaggio e di Maturino da Firenze e fu sopraelevata nel Seicento, alterando non poco la struttura dell’edificio. Al primo piano del palazzo possiamo ammirare 6 finestre, di cui 3 guelfe crociate e 3 bifore (nella foto 1): sopra la colonnina, nello spazio tra i due archi, è inserito lo stemma personale del cardinale Domenico Capranica (tre cipressi intrecciati nei tronchi da una gomena con l’ancora legata), divenuto poi lo stemma dell’Almo Collegio Capranica. Delle 6 finestre rettangolari del secondo piano ben 5 sono murate, mentre la torre presenta ancora tracce di graffiti ed una loggia coperta. Nessuna notizia si ha sull’architetto costruttore.
Piazza Capranica ebbe anche altri nomi, quale Piazza del Cardinal di Fermo” essendo il Capranica titolare di quella città, “Piazza degli Orfanelli” per l’ospizio fondato nella chiesa di S.Maria in Aquiro e, in seguito, anche “Piazza di S.Maria in Aquiro“, dal nome di questa antichissima chiesa che qui sorge (nella foto 2).
Molto incerta appare l’etimologia del termine “aquiro”, corruzione di quello originario “a Cyro“: secondo una prima teoria, il termine deriverebbe da Equirria, le feste in onore del dio Marte, durante le quali si effettuavano corse di cavalli nella vicina zona del Campo Marzio. Un’altra interpretazione vuole che il nome derivi dal termine latino aqua, forse in relazione all’Acquedotto Vergine che transitava nella vicina Via del Seminario. Infine, un’altra tesi vuole che l’originario nome di “S.Maria a Cyro” facesse riferimento al nome di un antico nobile romano. La chiesa, edificata da Anastasio I (398-402) e restaurata da Gregorio III nel 731, nel 1540 fu affidata da Paolo III alla Confraternita degli Orfani, che trovò nella casa annessa al tempio una sede per i suoi assistiti, per risolvere il grave problema degli orfanelli (conseguenza del Sacco di Roma del 1527), affidando loro un’educazione ed un’assistenza sanitaria. Elevata al rango di Arciconfraternita nel 1541, essa cominciò ad occuparsi anche degli orfani assistiti da altre istituzioni. La chiesa fu riedificata nel 1590 dal cardinal Salviati per l’architettura di Francesco da Volterra, anche se la facciata risale al 1745, per opera di Pietro Camporese su disegno di Carlo Maderno. Nel 1591 il cardinal Salviati fece costruire l’adiacente collegio (ad angolo con Vicolo della Spada d’Orlando) al quale potevano accedere dopo i 12 anni i giovani che erano vissuti nell’orfanotrofio. L’Arciconfraternita continuò ad esistere fino al 1826, anno nel quale venne soppressa da Leone XII poiché ridotta a pochi elementi. La chiesa, nuovamente restaurata nel 1856, presenta una facciata suddivisa in due ordini orizzontali: quello inferiore è costituito da tre portali, più grande quello centrale e con timpano triangolare, più piccoli i due laterali e con timpano semicircolare. L’ordine superiore presenta invece i due caratteristici campanili gemelli posti ai lati di un finestrone con piccola balaustra marmorea e sormontato da un grande timpano triangolare.
La cupola (nella foto 3), impostata su un tamburo in muratura dove si alternano nicchi e finestre, è visibile da Piazza di Montecitorio. Di forma emisferica, è divisa in otto spicchi e sormontata da una graziosa lanternina finestrata: terminata alla fine del Cinquecento, venne rivestita in piombo nel 1718. L’interno della chiesa si presenta a tre navate con tre cappelle per lato. Iniziamo la nostra visita dalla navata destra: la prima che incontriamo è la Cappella di S.Sebastiano, decorata nel 1866 dall’architetto Raffaele Francisci, con l’altare che ospita un bel dipinto databile ai primi anni del Seicento, di anonimo, raffigurante il “Martirio di S.Sebastiano“.
Segue la Cappella del Crocifisso, dal bel crocifisso ligneo della prima metà del Seicento; sul pilastro antistante si trova il “Monumento funebre di Marie Mathilde Josephine di Nedonchel-Choiseul” (nella foto 4), realizzato dall’architetto Bencivenga e dallo scultore Leopardi nel 1867, mentre il ritratto della defunta, in mosaico minuto, è opera del mosaicista Costantino Rinaldi. La terza cappella è quella dedicata alla Vergine Annunziata, decorata con una splendida serie di dipinti ad olio su muro raffiguranti episodi della Vita di Maria, realizzati tra il 1611 ed il 1617 da Carlo Saraceni su commissione di Orazio Ferrari, nobile di Tortona; la tela dell’altare è di Francesco Nappi e raffigura l’Annunciazione (1614-17). Nel braccio destro del transetto è situata la Cappella dedicata a S.Giuseppe Labre, il quale, in vita, era solito recarsi in questa chiesa e pregare dinanzi a questa cappella, come ricorda l’iscrizione posta sulla balaustra che delimita la cappella: S. BENEDICTUS JOSEPH LABRE IN HAC AEDE PRECES AD DEUM EFFUNDERE CONSUEVIT. La pala d’altare, opera di Vincenzo Pasqualoni, raffigura “S.Giuseppe Labre, la Vergine e la Ss.Trinità”.
Spostiamoci ora dinanzi all’altare maggiore dove possiamo ammirare, all’interno di un’edicola centinata, la preziosa immagine della “Vergine con il Bambino e S.Stefano” (nella foto 5), risalente al XIV secolo, opera di un’artista di ambiente romano e seguace del Cavallini. L’affresco originariamente era situato all’interno della chiesa di S.Stefano del Trullo che si trovava nella vicina Piazza di Pietra, demolita durante il pontificato di Alessandro VII (1599-1667). La cappella del lato sinistro del transetto è dedicata invece a S.Girolamo Emiliani, fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari di Somasca, detti Somaschi; la pala d’altare mostra il “Santo che presenta orfani alla Madonna” ed è opera di Cesare Mariani. Proseguiamo la visita lungo la navata sinistra e dal transetto la prima cappella che incontriamo è quella dell’Immacolata Concezione: qui vi è conservata la prima raffigurazione realizzata a Roma della Madonna di Lourdes (nella foto 6).
A questo dipinto è legato anche un simpatico aneddoto: era l’anno 1873 quando un cittadino romano, recuperata la vista dopo aver bevuto l’acqua di Lourdes, al suo ritorno a Roma, a proprie spese, commissionò un quadro raffigurante la famosa apparizione di Maria alla piccola Bernadette. Il dipinto inizialmente fu affidato alla venerazione dei fedeli nella chiesa di S.Lorenzo in Lucina, per poi essere trasferito nella chiesa di S.Rita alle Vergini. La necessità di restaurare la chiesa fece sì che il dipinto iniziasse a girovagare per le chiese di Roma, da S.Croce dei Lucchesi a S.Rocco, per finire nel giugno del 1882 nella chiesa di S.Maria in Aquiro. Dal diario della marchesa Cecilia Serlupi Crescenzi, alla quale era stato affidato il quadro affinché ne avesse cura, si può apprendere che già questi passaggi da una chiesa all’altra avvennero tra mille peripezie (asportazioni notturne e trafugamenti), ma una vera e propria insurrezione popolare avvenne quando il quadro, terminato il restauro di S.Rita alle Vergini, sarebbe dovuto tornare nella chiesa originaria. La marchesa narra che il popolo andò «dal padre curato cui dissero che badasse bene a non farlo togliere né giorno né notte, perché in tutte le ventiquattr’ore vi erano persone che si davano la muta a sorvegliare ciò che accadeva, e che se si azzardassero di cercare di portarlo via, avrebbero dato un segnale e sarebbe successo uno scandalo». Il curato della chiesa di S.Rita, però, insisteva e voleva il “suo” quadro e fu così che l’indomita marchesa ruppe ogni indugio e chiese udienza a papa Leone XIII in persona. Nel suo diario annota: «Se il Santo Padre mi dà ragione tanto meglio, altrimenti, se il popolo ce lo consentirà, ciò che non sarà, il Comitato porterà il quadro in casa dell’eminentissimo cardinal vicario (non alle Vergini…) e lì il Comitato si dimetterà in massa e metteremo sul giornale il resoconto del nostro agire, semplicemente, senza astio alcuno». Il Papa alla fine diede ragione alla fazione “capitanata” dalla marchesa Serlupi Crescenzi e concesse che il quadro restasse nella chiesa di S.Maria in Aquiro.
La cappella seguente è la Cappella della Passione di Cristo (nella foto 7), dove sono conservate tre opere caravaggesche risalenti al 1635: a sinistra l’Incoronazione di spine, a destra la “Flagellazione”, mentre sull’altare si trova la “Deposizione“. Da decenni l’attribuzione delle opere è tema di discussione e tuttora, dopo il recente restauro, rimane incerta: oggi si ritiene quasi sicuramente che l’esecuzione delle opere sia avvenuta all’interno dello stesso ambito o bottega e che l’autore sia Trophime Bigot per tutte le opere o almeno per la Deposizione e l’Incoronazione di spine, mentre per la Flagellazione rimane il dubbio e si ipotizza mastro Jacomo Massa, se non altro per i ritrovamenti documentari che assegnano a quest’ultimo i pagamenti per i dipinti della cappella. Nello stesso anno Giovanni Battista Speranza dipinse ad affresco scene della Passione di Cristo nella volta e nelle lunette laterali. Infine troviamo la Cappella dell’Angelo Custode, originariamente dedicata a S.Sebastiano, finché fu ceduta al nobile Filippo Berardi che ne patrocinò la nuova decorazione: la tela dell’altare, raffigurante appunto l’Angelo Custode, è opera di Ippolito Zapponi e risale al 1867. Sul pilastro antistante la cappella si trova il bel monumento funebre del conte Carlo di Montecatini, morto nel 1699, attribuito allo scultore Domenico Guidi.
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