Il toponimo di Piazza della Rotonda deriva dal famoso monumento circolare che la caratterizza, il Pantheon, il meglio conservato tra tutti i monumenti dell’antica Roma. Questo fatto positivo si spiega soprattutto con la donazione fatta, nel 609, dall’imperatore bizantino Foca al papa Bonifacio IV ed alla successiva trasformazione in chiesa, col nome di “S.Maria ad Martyres” (609 d.C.). La prima costruzione, realizzata tra il 27 ed il 25 a.C., è dovuta ad Agrippa. Scavi effettuati alla fine dell’Ottocento hanno portato alla scoperta, sotto il pronao, dei resti dell’antico edificio: sembra, così, che il Pantheon di Agrippa fosse un tempio canonico di forma rettangolare, orientato in direzione opposta all’attuale, verso sud. Una seconda fase è costituita dai restauri di Domiziano, dopo l’incendio dell’80 d.C.
La terza fase, quella attuale, può datarsi con esattezza ai primi anni del regno di Adriano, tra il 118 ed il 125 d.C. L’iscrizione, che si può ancora leggere sull’architrave, “M(ARCUS) AGRIPPA L(UCI) F(ILIUS) CO(N)S(UL) TERTIUM FECIT“, ossia “Marco Agrippa, figlio di Lucio, durante il suo terzo consolato, fece”, è stata qui ricollocata da Adriano, il quale, come è noto, non fece scrivere mai il suo nome sui numerosi monumenti da lui edificati, escluso il Tempio di Traiano. La ricostruzione adrianea modificò totalmente l’edificio primitivo: mancando lo spazio davanti all’antica facciata (dove erano la “Basilica di Nettuno” e le Terme di Agrippa), questa fu ruotata di 180 gradi. L’edificio primitivo è occupato interamente dal pronao, il grande portico racchiuso da otto colonne monolitiche di granito (due delle quali, quelle a sinistra, sostituite nel XVII secolo con colonne delle Terme Neroniane), con capitelli e basi di marmo bianco. La Rotonda (come è anche chiamato il Pantheon) poggia su una massiccia sostruzione, costituita da un anello di calcestruzzo e tutto un sistema di volte ed archi di scarico articola la struttura.
La distanza dal pavimento al sommo della cupola è identica al diametro: praticamente lo spazio interno è costituito da una sfera perfetta, inserita in un cilindro alto come il raggio di questa. Dal foro sulla sommità della volta, l’oculus (nella foto 1), proviene l’unica luce. Le numerose nicchie che si aprono nelle esedre e le edicole erano occupate da statue di divinità: l’edificio era, infatti, dedicato, come dice il nome, a “tutti gli dei” (dal greco “pan théon“). Nell’anno 609, come abbiamo già accennato, il tempio pagano divenne chiesa cristiana per volere di Bonifacio IV, che la dedicò a “S.Maria ad Martyres“: questa “dedicatio” fece circolare la voce (forse a ragione) che nel pavimento fossero stati gettati 28 carri di ossa di martiri tolti alle catacombe. Un aneddoto è legato al foro della cupola: questo era sigillato con una grande pigna di bronzo dorato che i diavoli avevano trasportato da Troia a Costantinopoli e, poi, a Roma; quando papa Bonifacio consacrò il tempio trasformandolo in chiesa, i demoni volarono fuori dalla cupola, portandosi dietro la pigna. Nel corso dei secoli il Pantheon subì numerose spoliazioni, tra le quali famose quelle ad opera dei Goti e di Costantino III, che si portò via il tetto di tegole bronzee dorate, credendolo oro zecchino. Nel 1626-27 Papa Urbano VIII Barberini restaurò il frontespizio e fece costruire dal Bernini, ai lati, due campaniletti, soprannominati popolarmente le “orecchie d’asino”, demoliti nel 1883; inoltre spogliò le travature del pronao del loro rivestimento bronzeo per farne 80 cannoni per Castel S.Angelo e le colonne tortili del baldacchino berniniano di S.Pietro: un tale atto vandalico, commesso ad utilità personale, non poteva sfuggire a Pasquino che commentò: “QUOD NON FECERUNT BARBARI FECERUNT BARBERINI“, ovvero “Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini”.
La gloria moderna dell’edificio risiede nel carattere “sepolcrale” che ha assunto da quando nel 1520 vi fu sepolto Raffaello (nella foto 2): sulla sua tomba un’epigrafe, scritta dal cardinale Pietro Bembo, dice che “Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di essere superata, e quando morì temette di morire con lui”. Da allora, tutti gli artisti aspirarono ad emulare il sommo pittore, finché nel 1878 il tempio divenne sacrario d’Italia: vi furono sepolti, infatti, i sovrani Vittorio Emanuele II (nella foto 3) ed Umberto I. Caratteristica la manifestazione che si svolgeva la domenica tra Ascensione e Pentecoste, nella quale, durante la messa papale, si facevano cadere sui fedeli, dal foro della cupola, una fitta pioggia di petali di rose, per ricordare il miracolo della Pentecoste: era chiamata, dai romani, la “domenica delle rose”. Piazza della Rotonda fu sede di un mercato sin dal Medioevo, quando era sterrata ed in condizioni igieniche penose: l’ammasso di detriti lasciati dai banchi provocò un rialzo del terreno rispetto alla basilica.
Il numero delle botteghe aumentò talmente tanto che alcune di esse trovarono posto perfino fra le colonne del portico, nascondendo così la visuale della basilica e danneggiando l’estetica del luogo. Nella prima metà del XV secolo Papa Eugenio IV fece collocare al centro della piazza due piccole vasche, affiancate da due leoni di basalto, che furono rimossi e collocati sulla Fontana del Mosè poco prima della costruzione della fontana che, nel 1578, Gregorio XIII commissionò a Giacomo Della Porta. La fontana originaria era composta di una vasca, poggiante su una breve rampa di tre gradini, l’acqua zampillava da un vaso al centro ed il tutto era ornato con quattro mascheroni (progettati per ornare la fontana del Nettuno a piazza Navona ma poi mai utilizzati). Nel 1711 la fontana venne rimaneggiata per volere di Clemente XI Albani, che fece sostituire la base originale con una gradinata di travertino, avente cinque gradini dalla parte della basilica e due dall’altra parte (ben visibile nella foto sotto il titolo) per superare il dislivello della piazza. Inoltre fece sostituire il vaso centrale con una scogliera che sorregge un piccolo obelisco denominato Macuteo (nella foto sotto il titolo) perché, rinvenuto alla fine del XIV secolo presso la chiesa di S.Maria sopra Minerva, fu collocato inizialmente presso la vicina chiesa di S.Macuto. L’obelisco, alto 6,34 metri, originariamente era situato, insieme a quello oggi posto a Villa Celimontana, nel Tempio del Sole ad Eliopoli, entrambi costruiti da Ramsete II e poi trasferiti nell’Iseo di Roma (insieme agli obelischi di piazza Navona, Villa Celimontana, piazza della Minerva e di via delle Terme di Diocleziano), il famoso santuario della comunità egizia di Roma imperiale, dove tutti gli obelischi furono rinvenuti. La scogliera rocciosa (nella foto 4), ornata da delfini, dalla stella degli Albani (la famiglia papale di Clemente XI) e dalla Croce, è opera dell’architetto Filippo Barigioni e dello scultore romano Vincenzo Felici. Molto significativo anche l’intervento nel 1823 di Pio VII, che fece pavimentare la piazza con i tipici “sampietrini” ma soprattutto riuscì ad eliminare le secolari baracche adibite allo smercio di prodotti ittici ed ortofrutticoli. Nel 1928 fu tolta anche la recinzione costituita da sbarre di ferro che circondava la fontana. Proseguendo lungo il fianco sinistro del Pantheon, si nota un poderoso muro, unica porzione superstite dei cosiddetti “Saepta Iulia“, un ampio piazzale-porticato di età tardo-repubblicana destinato alle elezioni pubbliche. Perduta in età imperiale la loro funzione di luogo destinato alle elezioni, i “Saepta” divennero con Augusto una semplice piazza monumentale.
Addossati alla parte posteriore della “Rotonda” si trovano, invece, i cospicui avanzi della “Basilica Neptuni” (nella foto 5), innalzata da Agrippa, in contemporanea al Pantheon, ma poi ricostruita da Adriano. La grande aula, ora tagliata in due da via della Palombella, era coperta da una volta a tre crociere ed era destinata probabilmente ad incontri di affari: quella che oggi ammiriamo è quanto ne resta, ovvero il lato lungo costituito da una grande parete laterizia con nicchie ed un’abside al centro, inquadrata da due colonne corinzie, destinata probabilmente ad una statua colossale. Numerose sono le leggende sull’antico tempio: famosa quello che lo vuole custode della “Salvatio Romae“: una serie di statue, una per ogni provincia romana, che portavano al collo un campanellino il quale suonava se la provincia corrispondente si ribellava. Celeberrima la leggenda che lo circonda, secondo la quale i Romani veneravano, nel tempio, un dio diverso per ciascun giorno e che il dio del Sabato era venerato in compagnia di una turba di diavoli.
Sulla destra di Piazza della Rotonda, dove inizia Via del Pantheon, si trova il quattrocentesco Albergo del Sole (nella foto 6), uno dei più antichi della città: le prime notizie risalgono al 1467, anche se allora si chiamava “Locanda del Montone” (nome che mantenne fino al 1613) e l’ingresso era su via degli Orfani.
L’Albergo può vantare nomi illustri tra i suoi ospiti, come Giuseppe Balsamo, ossia il famigerato Conte di Cagliostro (proprio qui arrestato nel 1768 per aver percosso un suo servo e condotto nel carcere di Castel S.Angelo), Ludovico Ariosto e Pietro Mascagni: due targhe (nella foto 7), poste sulla facciata dell’edificio, ricordano proprio questi ultimi due. La prima, affissa nel 1912, ricorda che “In questo Albergo del Sole già del Montone alloggiò Lodovico Ariosto nel marzo e aprile del 1513”; seguono i versi del poeta: “Indi col seno e con la falda piena di speme, ma di pioggia molle e brutto, la notte andai sin al Montone a cena”. La seconda, posta dal Comune di Roma nel 1963 in occasione del centenario della nascita del musicista, ricorda che “In questo Albergo dal nome augurale Pietro Mascagni volle soggiornare nel MDCCCXC (1890) nell’ansiosa vigilia dell’ambito riconoscimento che segnò il trionfo della Cavalleria Rusticana”.
Non si può non ricordare la meravigliosa “Madonnella” settecentesca che si affaccia su Piazza della Rotonda (nella foto 8). Si tratta di un affresco di notevoli dimensioni (occupa due piani del caseggiato) ed è un raro esempio di edicola in cui la cornice non prevale sul dipinto. Il soggetto è una “Immacolata”, come afferma l’iscrizione tratta dal “Cantico dei Cantici”, inserita alla base entro un cartiglio ornato con simbolici gigli: “Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te“, ossia “Sei tutta bella, amica mia, e nessuna macchia è in te”. L’iconografia è quella tradizionale, con il manto azzurro, le mani incrociate sul seno ed ai piedi il globo, la falce di luna ed il serpente. La cornice settecentesca in stucco, bilobata nella parte superiore, è di fattura molto elegante e si armonizza perfettamente con il colore dei muri circostanti: è ornata superiormente dalla colomba divina tra tralci e volute.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza della Rotonda di G.B.Falda
Pantheon di Anonimo
Pantheon di G.B.Piranesi
Veduta del Pantheon di Agrippa di L.Rossini
Pantheon di E.Du Pérac