L’Ipogeo degli Aureli, uno dei più importanti complessi funerari di diritto privato del III secolo d.C. (probabilmente nel 230), è situato all’incrocio tra viale Manzoni e via Luzzatti e fu scoperto nell’autunno del 1919 durante gli scavi per la realizzazione di un garage sotterraneo. Il nome dell’Ipogeo degli Aureli deriva dal mosaico pavimentale rinvenuto in una delle stanze inferiori sul quale compaiono i nomi di quattro appartenenti alla gens Aurelia: Aurelius Felicissimus dedica infatti il sepolcro ai suoi fratelli e colliberti Aurelius Onesimus, Aureliius Papirius ed Aurelia Prima. Molti sono i dubbi sulla natura del legame che univa nella vita e nella morte queste persone, forse un legame spirituale o addirittura settario, piuttosto che un semplice vincolo di parentela. Su una parete posta lungo le scale si trova anche un’epigrafe marmorea in cui Aurelius Martinus e la moglie Iulia Lydia ricordano Aurelia Myrsina, la loro figlia defunta. L’antico monumento funerario era circondato da un recinto in muratura e probabilmente aveva due ingressi: uno sul lato ovest, di aspetto monumentale, con soglia in travertino e porta fiancheggiata da colonne reggenti forse un architrave; il secondo sul lato nord, direttamente collegato, attraverso un diverticolo, con la vicina via Labicana, il cui percorso correva in questo tratto lungo l’asse dell’odierna Via Principe Eugenio. Il sepolcro si elevava su un grosso dado in muratura e si presentava all’esterno come un grande mausoleo in laterizio. Il monumento si sviluppa su due piani: il piano superiore, composto da una sala in muratura che in origine era soltanto in parte sotterranea, e di cui oggi resta solo la parte inferiore, ed il piano inferiore, cinque metri sotto, composto da due ambienti sotterranei scavati nel tufo.
L’ingresso all’Ipogeo degli Aureli avviene tramite un cancelletto posto al civico 2B di via Luzzatti e poi si accede al monumento attraverso una scala ricavata al centro dello stesso. A sinistra si apre una porta che immette nella camera superiore, sulle cui strutture si era impiantata nell’Ottocento una casa rustica, poi demolita nel 1921. Al suo interno è visibile un piccolo lucernario, di forma rettangolare, che serviva per arieggiare ed illuminare la stanza inferiore. Il pavimento è occupato da sei formae in muratura, disposte nel senso della lunghezza del cubicolo, mentre alle pareti si aprono tre arcosoli. La parete di fondo presenta l’immagine di un uomo e di una donna con accanto un serpente, forse Adamo ed Eva, forse Eracle nel giardino delle Esperidi in chiave pagana, ma, dato il particolare ed insolito rilievo dato alla figura del serpente, anche un riferimento alla setta degli Ofiti, che venerava il serpente del giardino dell’Eden. A destra un’altra scena, interpretata come la creazione del primo uomo secondo l’episodio narrato nel libro della Genesi: due figure virili, poste una accanto all’altra, sono inquadrate in un ambiente paradisiaco, con alberi, rami penduli e fronde fiorite. Il personaggio di sinistra, di proporzioni maggiori dell’altro, è seduto e veste tunica e pallio, mentre il suo dirimpettaio è apparentemente nudo. Anche tale scena può essere interpretata in chiave pagana e rappresenterebbe la creazione dell’uomo da parte di Prometeo. Lungo le pareti laterali, ai lati di ciascun arcosolio, sono rappresentati dei personaggi barbati vestiti di tunica e pallio ed atteggiati a mo’ di filosofi. Sono infatti seduti ed intenti alla lettura di rotoli svolti sullo sfondo di un’ideale architettura urbana. Scendendo ancora al livello inferiore, alla profondità di circa 3 metri, si giunge in un pianerottolo, alle cui estremità vi sono due ingressi che immettono in altrettanti cubicoli. Varcato l’ingresso di sinistra, troviamo una scala che ci conduce in un ambiente quadrangolare, il cubicolo degli Aureli (nella foto 1), sul cui pavimento è situato il mosaico di Aurelius Felicissimus di cui abbiamo già parlato, che così recita: “AURELIO ONISIMO AURELIO PAPIRIO AURELIAE PRIM(A)E VIRG AURELIUS FELICISSIMUS FRATRIS ET COLIBER B(ENE)M(ERENTIBUS) F(ECIT)”, ovvero “Ad Aurelio Onesimo, ad Aurelio Papirio e ad Aurelia Prima vergine, Aurelio Felicissimo fece (questo sepolcro) ai (suoi) fratelli e colliberti benemeriti”. Sia la volta che le pareti sono decorate da pitture: nella volta, entro un clipeo dentellato, appare la figura di un crioforo o Buon Pastore, ripetuta ben quattro volte entro appositi medaglioni.
Le pareti mostrano, sulla destra, una grande lunetta (nella foto 2) articolata su due registri. Nella zona inferiore la scena raffigura un uomo barbato in tunica, seduto di fronte ad una figura femminile, un grande telaio minuziosamente disegnato e tre giovani nudi. Nel registro superiore è raffigurata una grande fattoria con una mandria di animali: cavalli, ovini, bovini, asini e perfino un dromedario. Sin dai primi studi del monumento la scena inferiore venne interpretata con l’episodio del ritorno di Ulisse ad Itaca, qui raffigurato a colloquio con Penelope, con i Proci rappresentati dai tre giovani. Un’altra veduta, entro una sorta di medaglione dentellato, mostra una scena di banchetto: i commensali, tra i quali appare anche una figura muliebre, siedono attorno ad una tavola semicircolare. In primo piano sono ritratti in piedi tre personaggi maschili, forse servitori, ai quali seguono figure tunicate. Sulla parete sinistra si trova una scena raffigurante una figura virile seduta, di aspetto solenne ed autorevole, intento alla lettura di un rotolo e circondato da 11 pecore: la scena fu interpretata come il Cristo nel discorso sulla montagna. Un’altra scena mostra un cavaliere che, tra due ali di folla, entra in una città, molto ben rappresentata con case di abitazione, edifici pubblici ed il foro. La parete di fondo presenta invece, sullo sfondo di un quadriportico, un uomo barbato, seduto nel mezzo di un’assemblea di persone. Indossa tunica e pallio, regge nella destra una verga e sembra parlare alla folla che lo ascolta attentamente. Tra la folla, tre persone risultano evidenziate in modo particolare, tanto che si ritiene possano essere i tre Aureli che stanno ascoltando il loro congiunto nelle vesti di docente. Ritornati al pianerottolo, varchiamo il secondo ingresso, quello di destra e scendiamo per una scala in un vestibolo di forma rettangolare con volta a botte ed arcosoli alle pareti. Una seconda porta aperta nel vano del vestibolo ci immette, dopo un’altra rampa di scale, in un altro grande cubicolo ipogeo, di forma quasi quadrata, anch’esso con volta a botte ed arcosoli alle pareti. Il pavimento originario è scomparso del tutto, ma si ritiene che fosse mosaicato come quello del cubicolo degli Aureli. L’ambiente è affrescato con una serie di personaggi in tunica e pallio ed i soliti disegni raffiguranti animali e vegetali. Sulla volta è raffigurata una figura femminile velata dinanzi a due uomini barbati, uno dei quali tocca il capo della donna con una verga. L’uso funerario dell’ipogeo durò pochi anni, ovvero fino al 271 circa, quando la costruzione delle Mura Aureliane racchiuse il monumento all’interno della nuova cinta muraria, vietandone così l’utilizzo in virtù dell’antichissimo divieto di seppellire i morti all’interno delle mura. Siamo nel III secolo d.C., il Cristianesimo non è ancora religione di stato ed anzi le persecuzioni sono ancora vicine. A Roma e nell’impero convivono vari culti, fedi, credenze, idee e miti. E così la famiglia degli Aureli commissiona un sepolcro “di lusso” per mostrare la propria agiatezza con decorazioni che, si può dire, accontentano tutti. La singolarità delle immagini, dovuta al carattere privato e familiare del sepolcro, ha però alimentato una serie di interpretazioni che hanno di volta in volta considerato i proprietari del monumenti o del tutto pagani o da poco convertiti al cristianesimo o addirittura appartenuti a sette eretiche. Ultimamente un lavoro raffinato di ripulitura degli affreschi, grazie all’uso della tecnologia laser, ha portato un po’ di chiarezza, attribuendo all’ipogeo una definizione sincretica, in perfetta coerenza con il clima multi-religioso che si respirava a Roma nella prima metà del III secolo d.C.
La scena posta nel registro superiore alla cosiddetta scena omerica, quella della fattoria con molti animali di ogni razza, interpretata come l’episodio della trasformazione in animali dei compagni di Ulisse, si è arricchita ora, grazie al restauro, di un elemento che ha messo in crisi l’interpretazione tradizionale: un letto funebre con due corpi adagiati sopra (nella foto 3). Oggi si ritiene quindi che possa essere una scena di lutto e che la donna potrebbe essere Aurelia Prima che piange i due fratelli morti. La scena è stata interpretata anche come un’allusione alla metempsicosi, o reincarnazione, che si legherebbe alla sottostante scena omerica, che verrebbe interpretata come una scena di giudizio delle anime dei defunti, prima della reincarnazione in animali. Altre scene, come la famosa scena del banchetto o la scena dell’ingresso in città del cavaliere, rimandano invece, secondo le ultime teorie, ad episodi veri, forse proiettati nell’aldilà, che videro protagonisti gli Aureli in persona, i quali vollero forse celebrare il loro status sociale auto-rappresentandosi ora come oratori o filosofi, ora come persone influenti sullo sfondo delle loro proprietà, quasi a voler prendere le distanze dalle loro origini servili, ancora evidenti nei loro nomi (Onesimo è infatti un nome tipico che veniva dato agli schiavi). Molteplici, dunque, sono le interpretazioni, numerosi i dubbi e poche le certezze sulla natura delle pitture, e di conseguenza, anche sulla religione e sull’identità dei committenti di questo monumento.