Via Sicilia (nella foto sopra) collega Via Piave a Via Vittorio Veneto e fu tracciata all’indomani dell’urbanizzazione, lottizzazione ed “edificazione di un quartiere di abitazione di ragione privata nella Villa già Ludovisi”, come riportava la Convenzione stipulata nel 1886 tra il Comune di Roma e la Società Generale Immobiliare. Nacque così il nuovo rione Ludovisi con palazzi e vie pubbliche, molte delle quali dedicate a regioni italiane ma forse l’attribuzione di Via Sicilia non fu casuale. Infatti nella zona oggi compresa tra Via Sicilia e Via Lucania in antichità sorgeva un tempio dedicato a Venere Erycina, il culto della quale era praticato ad Erice, in provincia di Trapani, dove la dea aveva un tempio molto importante e per questo era detta Ericina. Il console romano Lucio Porcio Licinio dedicò alla dea un secondo tempio a Roma nel 184 a.C. (il primo era stato già costruito nel 215 a.C. sul Campidoglio, nell’angolo sudorientale sovrastante la Rupe Tarpea). È opinione comune che il nome di Venere Erycina si fosse tramutato poi in quello di Venere Sallustiana allorché il perimetro degli Horti Sallustiani si ampliasse fino ad inglobare il terreno sul quale il tempio sorgeva. Il tempio, interamente circondato da colonne in marmo “giallo antico” con capitelli corinzi, fu rinvenuto e distrutto nel XVI secolo, non prima di averlo depredato ed aver riutilizzato le colonne per la costruzione della cappella del cardinale Ricci di Montepulciano nella chiesa di S.Pietro in Montorio.
Va inoltre ricordato che anche il famoso “Trono Ludovisi” (nella foto 1), rinvenuto durante i lavori di urbanizzazione della zona, molto probabilmente ornava lo stesso Tempio di Venere: custodita per molti anni all’interno di Villa Ludovisi, oggi si trova nel Museo Nazionale Romano. L’opera, nella sua decorazione a bassorilievo, raffigura sulla parte frontale la nascita di Venere dal mare. La dea, vista in pieno prospetto ma con la testa rivolta a sinistra, indossa un chitone fatto di una stoffa leggerissima, molto aderente perché bagnata, ed è raffigurata con le braccia sollevate nell’atto di appoggiarsi alle due figure femminili (probabilmente due Horai) le quali, chine, con una mano sorreggono sotto le ascelle la dea, mentre con l’altra distendono un panno, forse di lana, che cela la parte inferiore del corpo di Venere. Sul lato sinistro della scultura è situata una suonatrice di flauto, completamente nuda ed adagiata su un cuscino, mentre su quello destro una donna coperta da un manto è intenta a deporre l’incenso in un thymiaterion (un bruciatore di incenso).
Quasi nel medesimo luogo dove sorgeva il tempio, nel 1904 fu costruito un grande e compatto edificio che sorge al civico 168 di Via Sicilia: si tratta del Liceo Torquato Tasso (nella foto 2 e nella foto sotto il titolo), costruito per conto del Comune di Roma e su progetto di Mario Moretti, un’opera che vinse la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Bruxelles, nel 1910. Si tratta di un edificio a tre piani di estrema semplicità, senza particolari ricerche stilistiche e decorative ma per quei tempi presentava un’edilizia d’avanguardia: aule divise non per classi ma secondo la speciale destinazione d’uso, una biblioteca in ogni aula, un anfiteatro con 90 posti, una palestra in grado di accogliere ottanta alunni contemporaneamente. Inizialmente si propose come scuola per l’alta borghesia dei quartieri limitrofi ma poi si è progressivamente affermato non soltanto come un istituto aperto a tutte le classi sociali ma soprattutto come un complesso scolastico culturalmente autorevole tanto da meritarsi generazioni illustri di insegnanti ed alunni, specialmente nel periodo tra le due guerre, quando era ritenuto il miglior istituto di Roma. Tra gli ex alunni non possiamo non citare Vittorio Gassmann, Raimondo Vianello, Giulio Andreotti.
Dinanzi all’istituto sorge la chiesa del Santissimo Redentore (nella foto 3), con il convento delle suore missionarie, opera dell’architetto Cucco del 1906, la cui facciata richiama in maniera piuttosto esplicita i motivi dell’arte romanico-lombarda con le lesene, il rosone frontale, le due monofore, il cornicione ad archetti e nella lunetta che sovrasta il portale una piccola statua della Vergine. Nell’interno a navata unica possiamo notare i dipinti raffiguranti i “Miracoli di Santa Francesca Cabrini”, opera di Giuseppe Ciotti del 1952, ovvero la santa fondatrice delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù alla quale la chiesa è anche dedicata.
Proseguendo verso Via Vittorio Veneto troviamo, all’angolo con Via Puglie, un’altra chiesa: S.Lorenzo da Brindisi (nella foto 4), costruita nel 1912 dall’architetto Giovan Battista Milani per i Padri Cappuccini che vi avevano fatto costruire, annessi alla chiesa, la loro Curia Generalizia ed un Collegio internazionale. Nel 1968 i Padri Cappuccini abbandonarono il complesso edilizio, che fu venduto ad una società immobiliare. La chiesa, pur conservando esternamente l’aspetto originale, è stata internamente trasformata in sala per congressi. La facciata imita lo stile romanico-lombardo ed è divisa in tre ordini verticali: quello centrale, più alto, presenta un bel portale, affiancato da pilastri e sormontato da una ghimberga con lunetta decorata con un’opera di Galileo Chini raffigurante “Gesù tra S.Francesco e S.Domenico”, mentre quella in stucco della trifora soprastante, con colonnine binate, raffigura l’Eucaristia fiancheggiata da pavoni affrontati. L’interno è a tre navate coperte da volta a crociera e sull’altare maggiore dominava la pala raffigurante “S.Lorenzo a cui appare la Madonna con Bambino” di Giorgio Soldaticz.
Infine, ad angolo con via Toscana, possiamo ammirare la Chiesa Evangelica Luterana (nella foto 5), costruita da Franz Schwechten tra il 1910 ed il 1922. Un grande arco su colonne in fasci sovrastato dalle statue di “Cristo fra Pietro e Paolo” introduce nell’atrio. Il tetto spiovente è affiancato da due austeri campanili, mentre un altro si erge dietro la chiesa. All’interno un mosaico del “Cristo con il Libro della Legge”. È d’obbligo rammentare che dove ora sorge questa chiesa fu rinvenuto, nel Settecento, ad una profondità di 20 cm, un obelisco alto 13 metri: è quello che oggi svetta in tutta la sua bellezza dinanzi alla chiesa di Trinità de’ Monti.