Il Casino dell’Aurora (nella foto sopra l’ingresso) è l’unico monumento rimasto di Villa Ludovisi, la bellissima villa tanto decantata da poeti quali Goethe, Elliot, Gogol, Stendhal, D’Annunzio, tutti estasiati dalla bellezza e dalla vastità dei giardini della villa. Villa Ludovisi occupava un’area di oltre 30 ettari, dalla porta Salaria alla porta Pinciana e da qui fino ai confini dei conventi di S.Isidoro e dei Cappuccini. Il primo importante nucleo della villa si venne a formare nel 1621 con l’acquisto, da parte del cardinale Ludovico Ludovisi, della cosiddetta vigna Del Nero, che comprendeva anche il cinquecentesco Casino Del Monte (detto in seguito dell’Aurora), dal nome del proprietario, il cardinale Francesco Del Monte, che lo acquistò nel 1595. Nel 1622 il cardinale Ludovisi acquistò la proprietà Orsini, utilizzando l’antico “Palazzo Grande” come residenza principale e commissionandone il restauro al Domenichino; seguirono poi le acquisizioni delle vigne Cavalcanti, Capponi ed Altieri. Volendo esprimere la propria magnificenza, il cardinale ornò la villa con una collezione di dipinti e statue antiche, acquisite, quest’ultime, da altri collezionisti come i Cesi, i Cesarini, i Carpi, gli Orsini, i Soderini e gli Altemps: la raccolta arrivò a comprendere più di 450 sculture e la sua leggendaria fama attirò visitatori ed artisti come Goethe e Schiller, che poeticamente descrissero le suggestioni ispirate sia dalla bellezza dei giardini sia dai marmi antichi. Giambattista Ludovisi, intorno al 1665, diede inizio alla dispersione di marmi e dipinti: nel 1670 arrivò anche a vendere la villa ai Rospigliosi, ma successivamente la famiglia riuscì a riscattarla con la vendita di alcuni terreni. I primi anni del XIX secolo videro l’abbandono della villa, che fu di nuovo abitata dopo il 1815, anno in cui Luigi Boncompagni-Ludovisi acquistò anche le confinanti proprietà Belloni e Borioni. La configurazione dei giardino seicentesco, opera del famoso architetto francese Lenotre, era caratterizzato da viali che lo percorrevano in senso ortogonale e le vie odierne ripercorrono ancora, con sufficiente approssimazione, gli antichi viali: al centro correva la “strada Ursina”, corrispondente alle attuali via degli Artisti e via Liguria, la “strada ferrea” attraversava invece la proprietà trasversalmente e corrisponde all’attuale via di S.Isidoro, mentre altri accessi corrispondevano alle attuali via Cadore ed alla gradinata che scende verso via Vittorio Veneto.
Ampi viali prospettici raggiungevano da un lato le Mura Aureliane, lungo l’odierna via Campania, con lo sfondo di una gigantesca testa di Alessandro Magno (secondo alcuni potrebbe raffigurare anche il generale bizantino Belisario) collocata all’interno di una nicchia ricavata nelle mura stesse (nella foto 1), mentre dall’altro lato un boschetto di cipressi, denominato “Ermitage”, presentava la fontana dell’Ombrello (purtroppo dispersa). L’accesso a Palazzo Grande era costituito da un ponte e terrazze a piani diversi con due rampe decorate da statue che portavano ai piani inferiori, mentre il piazzale antistante aveva al centro una fontana con la statua del Tritone, oggi collocata presso l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America. L’ingresso principale alla villa, ornato con gli stemmi del cardinale Ludovisi, di Gregorio XV e con busti marmorei, si apriva su via Salaria. Dinanzi al palazzo era sistemato il famoso “Labirinto di statue”, situato sulla stessa linea dell’attuale via Abruzzi, da via Friuli verso via Campania, ed era costituito da due quadrilateri organizzati simmetricamente in viali e spiazzi ornati di 80 statue e rilievi antichi, una ricchezza spettacolare facente parte della famosa collezione di antichità del cardinale, fra le quali le più conosciute sono il gruppo del Galata suicida, l’Ares, la testa di Giunone, Oreste ed Elettra ed il Trono Ludovisi. Lo Stato Italiano acquistò nel 1901 la parte più importante della collezione, ben 104 sculture, che furono sistemate nel Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, nel piccolo chiostro della Certosa, che prese appunto il nome di “Chiostro Ludovisi”. Le condizioni statiche del chiostro non permisero, negli ultimi decenni, l’accessibilità al pubblico, per cui la collezione fu trasferita nell’altra sede del Museo Nazionale Romano, quello di palazzo Altemps, dove oggi possiamo ammirarla nella sua completezza, comprese alcune sculture considerate finora disperse, come il “Torso di Satiro” in marmo bigio, il busto di togato e due coperchi di sarcofago con sculture. Tutto il terreno della villa fu sacrificato dai Boncompagni-Ludovisi, allettati dalla speculazione edilizia: nel 1883 la proprietà fu lottizzata per una superficie di 200.000 mq su un totale di 247.000 mq. Nel maggio 1885 vennero iniziati i lavori di rimozione degli arredi della villa e fu aperto il tracciato di strade: tutto fu distrutto, statue, alberi, edifici, solo il Casino dell’Aurora fu isolato e salvato.
Il nome del Casino deriva dall’affresco realizzato sulla volta, nel 1621, da Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, raffigurante Aurora (nella foto 2) che avanza sul carro trainato da due cavalli pezzati mentre la notte fugge dinanzi a lei. La dea si lascia alle spalle il giaciglio condiviso con l’anziano marito Titone e, preceduta dalle Ore, annuncia il nuovo giorno mentre un genio la incorona ed un altro, sul carro, sparge fiori tutt’intorno. La struttura originaria dell’edificio, con pianta a croce greca, si sviluppava al piano terra con una sala centrale e quattro sale sui bracci, con una scala a chiocciola che portava al primo piano, identico al pianterreno, ed una torretta, costituita da una sala quadrata fiancheggiata da due terrazze panoramiche, concludeva la parte superiore. La palazzina fu ampliata nel 1858 con la costruzione di avancorpi alle quattro testate dell’edificio, eseguiti dall’architetto Nicola Carnevali: a volere il restauro fu il principe Antonio Boncompagni-Ludovisi, come ricorda l’iscrizione all’ingresso; altre scritte, situate all’interno delle sale, ricordano altresì le precedenti proprietà: “Franciscus Nero Secretarius Apostolicus e L. Card. Ludovisius Camer“. L’antico palazzo Orsini, ossia “Palazzo Grande”, finì inglobato nel nuovo edificio che Rodolfo Boncompagni-Ludovisi fece ricostruire da Gaetano Koch fra il 1880 ed il 1890 e che prese il nome di palazzo Margherita.