Le Terme di Traiano, situate sulla sommità del Colle Oppio, rappresentano il primo esempio di “grandi terme” a Roma e furono costruite su progetto del più famoso architetto dell’epoca, Apollodoro di Damasco. Il complesso non fu iniziato da Domiziano, contrariamente a quanto riportato in passato, ma dall’imperatore Traiano nel 104 d.C. e da lui stesso inaugurato il 22 giugno del 109 d.C., come testimoniano i Fasti Ostiensi. Il complesso, che misurava nella sua estensione massima metri 330 x 315, si estendeva su una superficie di circa 60.000 metri quadri sopra altri ambienti, in parte preesistenti (come il padiglione esquilino della Domus Aurea o l’edificio dell’affresco della “Città Dipinta”) ed in parte appositamente edificati, con la funzione di sotterranei di servizio e di collegamento fra le varie parti delle terme.
L’orientamento delle Terme di Traiano, a differenza di quelle di Tito, è del tutto diverso rispetto alla posizione della “Domus” neroniana, come possiamo osservare nella pianta 1. Ciò è dovuto alla ricerca di una posizione migliore rispetto al sole ed ai venti dominanti: in particolare, il “calidarium” doveva sfruttare la massima esposizione solare per questioni di temperatura. La planimetria si può ricostruire, oltre che sulla base dei disegni rinascimentali e della somiglianza con le altre grandi terme romane, studiando i resti monumentali ancora esistenti nel parco attuale e sulla base dei frammenti della Forma Urbis, la grande pianta marmorea severiana. Con l’ausilio della pianta 1 ripercorriamo tutti gli ambienti delle Terme di Traiano: gli ingressi erano situati su tutti i lati del recinto ma l’ingresso principale ai bagni era posto nel lato maggiore settentrionale (1), che si apriva con una sorta di propileo ed immetteva in un ambiente quadrato (2) corrispondente alla natatio, la grande piscina di acqua fredda. Da qui si girava sul lato destro o su quello sinistro, specularmente simmetrici, si traversava una delle due sale rotonde (3), poi una delle due palestre (4) e si giungeva al calidarium (5), una grande aula rettangolare triabsidata, sporgente dal corpo centrale per sfruttare il calore del sole fino al tramonto. Da qui aveva inizio il bagno vero e proprio: attraverso il tepidarium (6) si passava nella grande basilica centrale e poi, attraverso il frigidarium (7), si tornava alla natatio (2). Di questo corpo centrale rimangono oggi poche strutture: l’esedra della palestra orientale (4) e la vicina abside di un’aula (8).
L’esedra (nella foto 2), larga circa 30 metri, conserva parte dell’originaria copertura a semicupola con cassettoni quadrangolari e resti della pavimentazione a mosaico bianco e nero con decorazione floreale. Una serie di colonne segnava il limite fra l’esedra e l’antistante spazio aperto, circondato da un portico e identificabile con una delle palestre (4) del complesso termale. L’ambiente rettangolare adiacente conserva resti di una pavimentazione a mosaico in tessere bianche e nere raffigurante una scena di caccia, che fa riferimento ai combattimenti dei gladiatori con le belve nell’anfiteatro: si distinguono un leone ferito ed un’altra fiera, forse una tigre, nell’atto di azzannare la gamba di uno dei combattenti. Si conservano anche resti della raffigurazione di altri animali e di partecipanti alla caccia. Infine, lungo il lato meridionale, si vede la parte superiore di un uomo con il braccio destro sollevato, la cui mano stringe la palma simbolo della vittoria; in corrispondenza della testa, caratterizzata dalla capigliatura a frangia corta, tipica dell’età traianea, l’iscrizione “CVPIDO” ricorda il nome del cacciatore.
Poco più a sud si conserva un’alta struttura (nella foto 3) con il lato orientale rettilineo (sul quale negli anni Trenta fu collocata una lastra di marmo con incisa la planimetria delle Terme di Traiano), mentre il lato opposto presenta un’abside con due nicchie semicircolari negli angoli: questo ambiente doveva far parte del settore riscaldato del percorso termale (8). Caratteristica dell’impianto era l’inserimento dell’imponente e compatto edificio balneare entro una vasta area aperta, ad U, che lo fiancheggiava per tre lati ed era a sua volta delimitata su tutti e quattro i lati da un monumentale ed articolato recinto, del quale oggi sono ancora visibili il grandioso emiciclo centrale del lato sud (9), le esedre sud-ovest (10) e parte di quella sud-est (11), tradizionalmente identificate con le due biblioteche, ed i resti dell’esedra nord-est (12).
Quest’ultima (nella foto 4), l’unica esedra conservatasi delle due che si aprivano simmetricamente lungo il lato settentrionale del recinto, costituite da due emicicli concentrici separati da un corridoio, si presenta con la copertura a semicupola decorata a cassettoni esagonali rivestiti in stucco, alternati a triangoli più piccoli. Il lato interno, originariamente rivestito di marmi colorati, presenta una serie di nicchie rettangolari e semicircolari alternate, che si ripetono anche sul lato esterno. Si suppone che il foro quadrangolare situato alla base di ciascuna delle nicchie del lato interno servisse per il passaggio di una conduttura per l’acqua, ipotizzando quindi che l’esedra fosse un grande ninfeo. La fronte dell’esedra, chiusa da un colonnato del quale sono state rinvenute soltanto le impronte dei blocchi di fondazione, si affacciava probabilmente su un portico analogo a quello dell’esedra sud-occidentale. Al di sotto di esso correva una galleria sotterranea, larga circa quattro metri e alta quasi due, che proveniva dalla gigantesca cisterna detta delle “Sette Sale”, da dove evidentemente portava il rifornimento d’acqua necessario per il funzionamento delle Terme.
A lungo erroneamente considerate cisterne della “Domus Aurea” a causa dello stesso orientamento, le Sette Sale (nella foto 5) sono state definitivamente riconosciute come pertinenti, fin dalla loro costruzione, alle Terme di Traiano, che, per dimensioni e grandiosità, avevano bisogno di un’adeguata riserva idrica. L’approvvigionamento idrico doveva essere assicurato da un ramo di acquedotto, forse qui appositamente deviato e denominato Aqua Traiana, nome ricordato da fistule plumbee rinvenute nel complesso. La cisterna è formata da nove ambienti paralleli, larghi tutti metri 5,30, ma di lunghezza variabile, a causa dell’andamento curvilineo, per motivi statici, della parete perimetrale orientale che si appoggia al terrapieno naturale. Gli ambienti, che sono quindi in parte seminterrati, sono lunghi da metri 29,30 a 39,75 e sono divisi tra loro da pareti in calcestruzzo, nelle quali si aprono delle porte di comunicazione, disposte secondo assi diagonali per evitare il formarsi di correnti d’acqua. La costruzione, del tutto artificiale, con paramento delle parti visibili in opera laterizia, è disposta su due livelli, dei quali l’inferiore poggia direttamente sul terreno, con l’unica funzione di sopraelevare il contenitore vero e proprio dell’acqua affinché la pressione fosse sempre sufficiente all’alimentazione delle Terme. Il serbatoio aveva una capacità di oltre 8 milioni di litri ed era in parte incassato nel terreno e reso maggiormente solido da contrafforti a pianta quadrangolare, mentre l’interno degli ambienti è rivestito in cocciopesto fino all’imposta delle volte a botte. Uno degli ambienti della cisterna, rimasta sempre visibile nei secoli anche dopo aver cessato la sua funzione (V secolo d.C.), è stato utilizzato in età medievale come luogo di sepoltura: vi sono stati infatti rinvenuti al momento dello scavo (1967) più di mille scheletri.
In occasione dello stesso scavo del 1967 e poi nel 1975 furono riportati alla luce, sulla terrazza sovrastante la cisterna, i resti di una domus, con murature di opera mista di reticolato e laterizio (probabilmente di epoca traianea) e murature in laterizio e opera, tutte conservate per un’altezza non superiore ai 50 cm. Nell’immagine 6 (da Google Maps) possiamo riconoscere il corridoio centrale con pavimento a mosaico con tessere nere che divide il complesso edilizio in due settori: a sinistra si trovano una serie di vani di dimensioni ridotte, databili, in base ai bolli laterizi presenti nelle murature, all’età traianea, alcuni dei quali, nel corso del IV secolo d.C., furono trasformati in ambienti termali. A destra del corridoio si trovano invece una serie di ambienti alquanto articolati, anche dal punto di vista cronologico: la sezione meridionale risale alla fase originaria di epoca traianea e si suppone fosse l’abitazione del funzionario addetto al controllo delle Terme di Traiano. Gli ambienti posti nella sezione settentrionale sono datati al IV secolo d.C. e sono caratterizzati da una ricca decorazione di marmi intarsiati. Una grande sala formata da sei ambienti disposti a raggiera intorno ad un vano centrale presenta pavimenti di piastrelle e lastre di marmi colorati con disegni geometrici. Al centro del complesso si trova una grande aula absidata, probabilmente destinata a funzioni di rappresentanza, addossata alla quale vi era una grande fontana-ninfeo: questi ambienti sembrano far parte di un complesso abitativo la cui ricchezza, testimoniata sia dalla notevole estensione sia dal lusso della decorazione architettonica e pavimentale con marmi pregiati, riconduce senza dubbio ad edifici collegati all’aristocrazia romana. Delle due esedre semicircolari meridionali (10 e 11) si conservano la parte più bassa di quella orientale (10, situata nell’area sopra la Domus Aurea), mentre quella occidentale (11), con un diametro di circa 30 metri, svetta ancora in tutta la sua bellezza (nella foto in alto sotto il titolo). Al suo interno sono situate due file sovrapposte di nicchie rettangolari che essendo piuttosto larghe e poco profonde, e soprattutto prive di decorazione, vanno identificate come contenitori per armadi (probabilmente di legno) dove si conservavano libri e documenti. Sulle pareti intorno alle nicchie l’esedra presentava una ricca decorazione marmorea, della quale si vedono ormai soltanto le tracce; del pavimento invece si conservano solo alcuni tratti di grandi lastre rettangolari in marmo pavonazzetto, poste intorno a quadrati di marmo giallo antico. La fronte dell’esedra, delimitata da colonne, si affacciava su un porticato che correva lungo tutto il lato occidentale del recinto termale, sorretto in questo tratto da una sottostante galleria, larga circa metri 8,30 e comunemente nota come “criptoportico”.
Un primo intervento di scavo, eseguito nel 1990, riportò alla luce una serie di strutture costruite alla fine del XVIII secolo per installarvi una Polveriera, ovvero una fabbrica di polvere da sparo. I lavori, ripresi con l’intento di recuperare l’ambiente, portarono, nel 1998, al ritrovamento dell’affresco ormai noto come la “Città Dipinta” (nella foto 7), un’opera d’arte che si trovava sulla facciata di un grande edificio pubblico, databile alla seconda metà del I secolo d.C., e del mosaico parietale denominato della “Musa e Filosofo” che decorava una stanza sulla quale si affacciava anche un ninfeo seminterrato, rivestito, sulla volta e sulla parete di fondo, da un mosaico in piccole tessere azzurre con girali.
Dopo il ritrovamento, nel 2005, di un’altra splendida opera, il cosiddetto “Mosaico della Vendemmia” (nella foto 8), la Sovraintendenza di Roma Capitale ha ripreso nel 2010 le indagini archeologiche accanto alla parete dove era il mosaico con la “Musa e Filosofo”, così da riportare alla luce nel luglio 2011 il bellissimo mosaico parietale, databile alla seconda metà del I secolo d.C., che si estende per quasi 16 metri con le raffigurazioni di “Apollo e Muse”.
Nonostante la maggior parte della superficie di sfondo non si sia ben conservata, il mosaico raffigura due coppie di colonne che riquadrano una nicchia, all’interno della quale si distingue una figura maschile, identificabile con Apollo (nella foto 9), nudo, con il manto sulla spalla, che porta la cetra sul braccio sinistro. È probabile che l’abbandono delle terme sia stato graduale, comunque inevitabile dopo il taglio degli acquedotti effettuato da Vitige nel 537. Nel Medioevo il Colle Oppio venne progressivamente abbandonato, mantenendo una posizione marginale rispetto all’abitato, sistemato ad orti e vigne, conservando quindi in misura notevole e libere da sovrapposizioni le strutture monumentali, delle quali nel tempo si perse l’originaria attribuzione; nel XVI secolo infatti le rovine del Colle Oppio venivano comunemente chiamate Terme di Tito.
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Terme di Traiano di E.Du Pérac