Via dei Chiavari collega via dei Giubbonari a largo dei Chiavari ed il suo toponimo deriva dai fabbricanti di chiavi e serrature, i quali, dopo aver abbandonato l’odierna via Agonale (allora denominata via dei Chiavari), si stabilirono in questa zona: il trasferimento avvenne sicuramente prima del 1748, anno di realizzazione della pianta di Giovan Battista Nolli, visto che l’attuale via dei Chiavari era già denominata Strada de’ Chiavari. I chiavari facevano parte della Confraternita dei Ferrari istituita da Gregorio XVI il 13 maggio 1836, che, come recita lo Statuto, “doveva essere composta delle sole persone che a tal classe appartengono, la qual classe, ad evitare qualsivoglia questione, fino dagli Statuti della nostra Università nel 1690 fu dichiarato esser composta di tredici corpi d’arti, cioè: 1.Manescalchi, 2.Morsari, 3.Armaroli, cioè Lanciari, Spadari, Coltellinari ed Archibugieri, 4.Calderari, 5.Artegrossa, cioè Ferravecchi, Staderari, Ferracocchi, Artefici d’istrumenti d’agricoltura, artefici e proprietari di Ferriere, 6.Chiavari, 7.Ottonari e fonditori di metalli, 8.Orologiari da torre e macchinisti, 9.Chiodaroli, 10.Stagnari, Lanternari e tutti quelli che lavorano stagno, piombo, ferro stagnato e latta, 11.Arrotatori e Prestaferri, 12.Carbonari, 13.Prestacavalli, carrozzieri, domatori e cozzoni de’ cavalli. Non potrà dunque ammettersi chi non appartiene alle indicate arti e non avrà almeno l’età di sedici anni“. Sull’attività dei chiavari si avvertiva nel Cinquecento “che qualche Mastro Chiavaro potesse essere talora dannoso perché faceva chiavi contraffatte per via di impronta e con i grimaldelli insegnava ad aprir le botteghe dei mercanti di notte ed a far ladrocini“. Protettore dei chiavari era S.Ampelio, il quale, secondo una pia tradizione, sarebbe stato fabbro e maniscalco prima di ritirarsi a vita eremitica o monastica, da cui una leggenda agiografica narra che “..colle tenaglie infuocate fugò il demonio a lui apparso in forma di femmina seducente“. Incredibile risulta la continuità urbanistica di tutta questa zona che fu costruita sull’antico tracciato del Teatro di Pompeo, come via di Grottapinta o via dei Giubbonari: anche via dei Chiavari ne risulta coinvolta in quanto il suo tracciato delimita perfettamente il confine tra la scena ed il quadriportico del Teatro.
In relazione a quanto detto, una conferma proviene dall’antico nome della via, Latrio, corruzione delle parole Atrio o Teatro, di Pompeo appunto. Inoltre, nel XVI e XVII secolo furono rinvenute due lapidi poste su due piedistalli gemelli: la prima diceva che “GENIO IOVII AUG IOVIA PORTICUS EIUS A FUNDAMENTIS ABSOLUTA EXCULTAQUE AELIUS DIONISIUS V(IR) C(LARISSIMUS) OPERI FACIUNDO“, ovvero “Al Divino Giove Augusto, Elio Dionisio uomo illustrissimo (dedicò) alla realizzazione dell’opera il portico Govio da lui compiuto dalle fondamenta ed abbellito”. La seconda così recitava: “GENIO HERCULEI AUG HERCULEA PORTICUS EIUS A FUNDAMENTIS ABSOLUTA EXCULTAQUE AELIUS V C OPERI FACIUNDO”, ovvero “Al Divino Ercole Augusto, Elio Dionisio uomo illustrissimo (dedicò) alla realizzazione dell’opera il portico Erculio da lui compiuto dalle fondamenta ed abbellito”. Le due lapidi indicano la presenza lungo via dei Chiavari dei portici Govio ed Erculeo, ricostruiti in seguito all’incendio che nel 291 d.C. danneggiò gravemente i portici del Teatro di Pompeo: il prefetto di allora, Elio Elvio Dionisio, li dedicò ai due imperatori dell’epoca chiamandoli Govio (in onore di Cesare Gaio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto Iovio, ovvero l’imperatore Diocleziano) ed Erculio (in onore di Marco Aurelio Valerio Massimiano Erculio, ovvero l’imperatore Massimiano). Nel 1863 via dei Chiavari fu allargata al fine di consentire un rapido collegamento tra la via Nazionale (l’attuale Corso Vittorio Emanuele II) e ponte Sisto (in quest’ottica era stato anche previsto l’allargamento di via dei Pettinari) e di lì in Trastevere. Fu proprio in questo periodo che si formò il largo dei Chiavari, in conseguenza dell’abbattimento dell’isolato posto tra via dei Chiavari e piazza del Paradiso e costituito dalla chiesa di S.Elisabetta dell’Università de’ Garzoni Tedeschi de’ Fornari. La chiesa con annesso ospedale era stata fondata all’inizio del XVI secolo dalla Compagnia dei Fornari Garzoni Tedeschi, istituita sotto Innocenzo VIII nel 1487. Iniziamo la visita della via partendo proprio da largo dei Chiavari. Dopo aver oltrepassato il largo del Pallaro ed aver costeggiato sulla sinistra la facciata del Convento dei Teatini incontriamo, al civico 6, il palazzo attribuito all’opera di Baldassarre Perruzzi (nella foto in alto sotto il titolo ed il portale nella foto 1) e che ospitò il famoso scienziato, archeologo e collezionista Cassiano Dal Pozzo (1588-1657), fautore dello “stile Barberini” e geniale e colto ispiratore del “classicismo” e del barocco europeo. Personalità di primissimo piano nella Roma del Seicento, dignitario e consulente dei principi Barberini, Cassiamo svolse per circa mezzo secolo il ruolo di ministro delle arti e della cultura umanistica e scientifica della Santa Sede. Riconosciuto ed apprezzato in tutta Europa quale scopritore e protettore di giovani talenti come i pittori Simon Vouet, Nicolas Poussin, Pietro da Cortona e Artemisia Gentileschi, gli scultori François Dusquesnoy, Alessandro Algardi e Gian Lorenzo Bernini. Cassiano frequentò giovanissimo Galileo Galilei, usò tra i primi il telescopio ed il microscopio, fu compagno del principe Federico Cesi ed illustre naturalista fondatore dell’Accademia dei Lincei. Egli stesso medico, indagò per tutta la vita nell’universo botanico, zoologico, ornitologico e geologico di quel “Gran Teatro della Natura” che, agli esordi della Nuova Scienza, si andava definendo nelle moderne discipline scientifiche. Già dal 1615 Cassiano iniziò ad acquistare disegni del Quattrocento e del Cinquecento e commissionò ad alcuni “giovani ben intendenti del disegno” i disegni dall’antico e naturalistici che, raccolti in centinaia di album, avrebbero costituito il suo celebre Museo Cartaceo. Alla metà del secolo XVII la raccolta comprendeva più di ventimila disegni e stampe ordinati in sezioni tematiche come la botanica, l’ornitologia, la zoologia, i riti ed i giochi degli Antichi, la pittura greca e romana, l’architettura classica e rinascimentale.
Altre sezioni del Museo Cartaceo erano dedicate ai “libri dei disegni” di grandi artisti del Cinquecento come Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio, Girolamo da Carpi e Pirro Ligorio, e dei suoi “giovani ben intendenti” Domenichino, Nicolas Poussin e Pietro da Cortona. Dopo la sua morte la biblioteca, accresciuta dal fratello Carlo Antonio, passò alla famiglia Albani e successivamente fu venduta al re di Prussia. La nave che trasportava la biblioteca però naufragò presso Civitavecchia e molti libri andarono perduti. Una parte fu salvata dal principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, poi acquistata nel 1762 da re Giorgio III: oggi risulta ancora divisa tra varie collezioni reali dei Windsor e della British Library di Londra, ma la parte maggiore di essa si trova a Windsor, nella Royal Collection. La visita prosegue ed all’altezza del civico 41, sopra una porta di bottega, possiamo ammirare, all’interno di una bella cornice in stucco, una piccola Madonnella (nella foto 2) raffigurante la Vergine Maria raccolta in preghiera e circondata da Santi, mentre lo Spirito Santo discende su di loro nel Giorno di Pentecoste.
Al civico 38 è ben visibile una porzione di muro (nella foto 3) nella quale si è identificata una torre medioevale conosciuta come Torre Tufara, o Tofara, un nome che probabilmente si collega proprio ai blocchetti di tufo utilizzati per la sua costruzione. La torre oggi risulta inglobata in edifici posteriori ma viene menzionata già in alcuni documenti risalenti al 1387. Uno studio effettuato nel 1990 ha evidenziato la particolarità della torre di essere allineata con i resti di altre due torri, anch’esse inglobate in edifici di diversa origine, una in vicolo dei Chiodaroli 15, l’altra in via del Monte della Farina 30. Da qui la supposizione che potesse trattarsi di un grande complesso fortificato, costituito da un palazzo e da una torre (palazzo Orsini e la Torre Arpacata) e da una serie di torri collegate tra loro da un muro, come fanno pensare i resti di muro in tufelli, individuati ai lati della torre a via del Monte della Farina. Per cui la Torre Tufara, considerato il significativo allineamento, potrebbe fare parte della cinta muraria del castello del ramo cadetto della famiglia Orsini. Notare l’iscrizione posta sopra la porta d’ingresso, POMPONIO P, che fa riferimento a tal Pomponio Pannarollo, che alla metà del XVII secolo esercitava qui la professione dello stufarolo, ossia la persona addetta alla stufa, i bagni caldi pubblici. Infine vogliamo segnalare, all’incrocio con via dei Giubbonari, un’iscrizione del 1730 che così recita: “PER ORDINE DI MONSIG. PRESIDENTE DELLE STRADE SI PROIBISCE A TUTTE E SINGOLE PERSONE DI QUAL SI SIA STATO GRADO E CONDIZIONE DI BUTTARE E FAR MONDEZZARO PER TUTTO IL PRESENTE LUOGO SOTTO PENA DI SCUDI DIECI ET ALTRE AD ARBITRIO COME DALL’EDITTI PUBLICATI SOTTO LI TREDICI GENNARO 1723 E SOTTO LI 20 GENNARO 1730 A QUALI &“.