Il toponimo della via (nella foto sopra) risulta alquanto incerto: alcuni vogliono che esso derivi dai fabbricanti di liuti che vi si erano stabiliti, tanto che in alcuni documenti la via era indicata come “vicus opificum testudinum” (“vicolo dei fabbricanti di testuggini”), perché la cassa armonica dei liuti spesso era costituita dai gusci di tartaruga; altri fanno derivare il nome da una famiglia Leutari appartenente alla parrocchia di S.Lorenzo in Damaso. Si noti che il termine “vicus” o vicolo non è errato perché questa strada anticamente era un vicolo: soltanto nel 1523 fu allargata e le “Taxae viarum” che ricordano questi lavori la indicavano come “strada che va dalla porta picchola de Santo Lorenzo in Damaso alla piazza dei Parioni” (attuale piazza di Pasquino). Assunse il nome attuale soltanto quando l’antica ed antistante via dei Leutari, che costeggiava il palazzo della Cancelleria, venne soppressa in occasione dell’apertura di Corso Vittorio Emanuele II. L’edificio situato ai civici 21-23 di questa via è conosciuto come Casa Peretti Ricci ed è costituito da due case cinquecentesche limitrofe: la casa di destra era proprietà di Pietro Matuzzi e fu acquistata dal cardinale Peretti Montalto che la unì a quella di sinistra.
Ancor prima di divenire papa con il nome di Sisto V nel 1585, il cardinale regalò la casa alla sorella Camilla che vi abitò con il figlio Francesco e la moglie di questi, Vittoria Accoramboni, appartenente ad una nobile famiglia di origine umbra ma presente a Roma sin dalla metà del Quattrocento. Fu così che da questa casa ebbe inizio una tragica vicenda di cui per decenni si parlò a Roma. Il principe Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, nonché il più potente e temuto dei baroni romani, invaghitosi della bellissima Vittoria Accoramboni, non esitò, pur di avere per sé la donna, a far uccidere una sera del 1582 il marito Francesco da alcuni sicari, complice proprio il fratello di Vittoria, Marcello. Quella sera un uomo bussò al portone di casa Peretti (nella foto 1, al civico 21) con un biglietto scritto da Marcello che invitava Francesco a raggiungerlo nel giardino degli Sforza alle pendici del Quirinale. Camilla, la madre di Francesco, lo scongiurò di non andare ma questi non sentì ragioni e si incamminò. Vari colpi di archibugio lo attendevano: caduto a terra, venne infine finito a pugnalate. L’istruttoria non riuscì a risalire al colpevole, sebbene si sapesse bene chi fosse stato, anche perché tre giorni dopo il delitto Vittoria andò ad abitare in casa Orsini ed i due si sposarono in barba alle “giustizie” dell’allora papa Gregorio XIII. Ma quando questi morì nel 1585 e divenne papa Sisto V (ovvero lo zio del morto assassinato), i due non si sentirono più tanto al sicuro e fuggirono a Padova. Poco tempo dopo anche Francesco Giordano morì, in seguito all’infezione di una vecchia ferita: questo segnò la morte anche per Vittoria, perché il cognato Ludovico Orsini, convinto che fosse stata lei ad aver assassinato il marito, scatenò nella sua casa 40 sicari che compirono una strage. Tutta questa storia è narrata anche da Stendhal in una delle sue “Cronache Italiane“. Dopo la morte di Francesco Peretti, una parte della casa passò al nipote di Camilla, Michele; ai primi del Seicento tutto fu venduto ad Orazio Ricci di Voghera, che tra le bugne del portale al civico 21 fece porre due ricci che alludevano al suo cognome.
Il portale al civico 23 (nella foto 2) presenta invece uno stemma con un leone entro una corona composta di piccole pere, da considerarsi una variante dello stemma Peretti. L’edificio fa angolo con un’altra casa di proprietà di Sisto V che si apre al civico 84 di via del Governo Vecchio. Via dei Leutari (quando era ancora vicolo) divenne celebre anche per il ritrovamento, sotto le fondamenta di due edifici, della colossale statua di Pompeo. Originariamente situata nella Curia di Pompeo, la statua fu oggetto di dura contesa tra i proprietari dei due palazzi perché giacente sulle proprietà di entrambi, ovvero in posizione orizzontale e con la testa sporgente al di là del muro divisorio dei due edifici. I giudici decisero di far decapitare la statua per accontentare entrambi i contendenti: il cardinale Capodiferro, inorridito dinanzi allo scempio che ne sarebbe seguito, informò dell’avvenimento papa Giulio III, il quale, pur di non far eseguire l’insana sentenza, acquistò la statua per 500 scudi e ne fece dono al cardinale per ornare il suo bellissimo palazzo: ancora oggi possiamo ammirarla all’interno di palazzo Spada.