Via di Parione prende il nome, come il rione stesso, da un antico rudere, un muro antico (in latino “paries“, poi divenuto “pariones” in epoca medioevale), forse appartenente alla precinzione che separava un ordine di gradini dall’altro nello Stadio di Domiziano. Fino alla metà del XVIII secolo, però, “via Parionis” o “di Parione” corrispondeva all’attuale via del Governo Vecchio, mentre l’odierna via di Parione era denominata “via di S.Tommaso in Parione“, dall’antichissima chiesa che quivi sorge (nella foto in alto e nella foto 1), consacrata nel 1139 da Innocenzo II ed elevata a titolo cardinalizio da Leone X nel 1517. Restauri furono effettuati nel 1582 dai nobili romani Mario e Camillo Cerrini, su disegno di Francesco da Volterra, e nei primi anni dell’Ottocento ad opera dell’architetto Lenti. La chiesa fu sede della Congregazione dei Copisti e degli Scrittori, tenuta sicuramente in seria considerazione a Roma se i suoi membri avevano l’esenzione “di andare in tempo di guerra o peste alle porte e ronde di notte, dalla tassa di strade, in riguardo delle fatiche pel servitio della Corte Romana“. Sicuramente degno di menzione il fatto che in questa chiesa, nel 1551, prese gli ordini sacri S.Filippo Neri.
La facciata, in mattoni, si compone di due ordini: quello inferiore è tripartito da lesene in travertino con capitelli ionici e presenta un portale centrale con timpano triangolare e finestre laterali arcuate con cornice. L’ordine superiore, separato dall’inferiore mediante una fascia che ricorda il restauro sovvenzionato dai Cerrini (“TEMPLUM D. THOMAE A MARIO CERINO FUNDITUS RESTITUTUM CAMILLUS CERINUS EX TESTAMENTO PERFECIT ANNO DM MDLXXXII“), presenta una finestra quadra centrale con timpano curvilineo, affiancata da lesene che la separano da due volute di raccordo laterali decorate da teste di leone e affiancate da due candelabri; un timpano triangolare, sormontato dalla croce, conclude la facciata. L’interno, a tre navate, presenta pilastri con lesene ioniche e custodisce un’Annunciazione di Giuseppe Passeri ed alcuni affreschi raffiguranti “Scene della vita di S.Tommaso” di anonimo del Settecento: un “S.Tommaso che tocca il costato a Gesù” ed altri quadri furono derubati dai francesi durante l’occupazione che seguì agli eventi della Repubblica Romana. Chiesa nazionale degli Etiopi, è officiata in rito etiopico.
Al civico 7 della via è situato l’antico palazzo del Pio Sodalizio dei Piceni (nella foto 2), risalente agli ultimi anni del XV secolo, quando fu abitato dal cardinale Amanieu d’Albret, fratello di Carlotta, moglie di Cesare Borgia. L’edificio cambiò proprietario dopo pochi anni: infatti da un documento risalente al 23 febbraio 1579 si apprende che Herrera & Costa, proprietari di un banco (inteso come attività bancaria), firmarono l’acquisto del palazzo di proprietà di Francesco Spinola, probabilmente come sede del banco stesso. L’edificio è noto anche come Casa di Sisto V, perché fu acquistato dal pontefice nel 1589, anche se questi probabilmente non vi abitò mai, ma lo donò alla nipote Flavia Peretti in occasione del suo matrimonio con Virginio Orsini, duca di Bracciano, il quale fece poi trasformare ed abbellire l’edificio, nel quale vi fu ospitato anche il giovane Torquato Tasso. Alla morte di Flavia Peretti, il marito ne cedette la proprietà ai parenti, che nel 1613 lo vendettero a monsignor Giovanni Andrea Castellani, il quale, a sua volta, nel 1645 cedette il palazzo in dono alla Confraternita della S.Casa di Loreto dei Piceni, costituita poi in Arciconfraternita nel 1677 e trasformata nel 1899 in Pio Sodalizio dei Piceni. L’edificio fu restaurato nel 1930 sotto la direzione dell’ing. Bino Malpesti. La facciata, a due piani suddivisi da fasce marcapiano, presenta finestre arcuate ed architravate al primo. Al pianterreno apre un bel portale architravato con arco bugnato, adorno delle rose degli Orsini e sovrastato dalla scritta: “FRANCISCUS SPINOLA SAONENSIS; il portone reca invece la scritta PIO SODALIZIO DEI PICENI ed il grande stemma dell’Associazione. Tra il primo ed il secondo piano è situata la tabella che indica la proprietà dei Piceni con l’immagine graffita della Vergine di Loreto; a coronamento vi è un ricco cornicione ornato da un fregio con putti e volute, sormontato da una fascia che reca scolpite le teste di orso con rose in bocca, ovvero gli elementi araldici degli Orsini.
L’atrio immette in un piccolo cortile porticato (nella foto 3) con decorazioni a grottesche, attribuite a Baldassarre Peruzzi, sovrastato da un doppio loggiato e da una terrazza pensile, probabile disegno di Giacomo Della Porta, all’interno della quale si trovano sei paesaggi affrescati da Cesare Arbasia. Dal terrazzo si passa, attraverso una loggia affrescata dal Cavalier d’Arpino, nell’appartamento ducale con soffitto ligneo ed affreschi di figure allegoriche. In tre ambienti del pianterreno sono sistemati la biblioteca, ricca di interessanti codici miniati, e l’archivio.
Al civico 37 si trova invece il palazzetto quattrocentesco della famiglia Nardini (nella foto 4), originaria di Forlì e presente a Roma sin dal IV secolo. Nel 1475 il cardinale Stefano Nardini, arcivescovo di Milano e governatore di Roma (che abitò nell’altro palazzo di famiglia in via del Governo Vecchio), destinò l’edificio a collegio, denominato appunto “Sapientia Nardiniana“: l’istituzione iniziò la sua attività nel 1486 e fu dedicata all’istruzione dei giovani aspiranti alla vita sacerdotale. Il collegio fu riorganizzato e favorito nel Seicento da papa Alessandro VII, che lo uniformò al Collegio Capranica, ma per mancanza di fondi l’istituzione cessò l’attività nel Settecento: restaurato nella seconda metà dell’Ottocento dall’architetto Vespignani, oggi è adibito a civile abitazione. La facciata si presenta a due piani con cinque finestre ciascuno poggianti su marcapiani: al pianterreno, sul bugnato liscio, apre il bel portale quattrocentesco sovrastato dallo stemma della famiglia Nardini, costituito da tre stelle ordinate in banda col capo d’Angiò, e dalla scritta “COLLEGIUM NARDINUM“.
Al civico 12, infine, si trova il palazzetto Attolico (nella foto 5), costruito nel Seicento per Alessandro Mileto, come indica il nome inciso sull’architrave del portale tipicamente barocco. Alla fine dell’Ottocento divenne proprietà degli Attolico, famiglia originaria di Canneto di Bari, che lo restaurarono sopraelevandolo. Presenta una facciata a tre piani e due ammezzati: il primo ammezzato è a livello del portale sovrastato da un balcone retto da mensole e con porte di bottega ai lati architravate. Sono architravate anche le finestre del primo piano sulla fascia marcapiano e sovrastate dalle finestrelle del secondo ammezzato; quelle del secondo e terzo piano sono incorniciate. Corona l’edificio un cornicione a mensole.