Il nome di questo vicolo deriva dalla nobile famiglia romana dei Savelli che qui avevano alcune proprietà: l’attuale Palazzo Sora, con ingresso al civico 217 di Corso Vittorio Emanuele II ma con la facciata laterale che prospetta su questo vicolo, sorge su un’area di proprietà dei Savelli fin dal Trecento e fu acquistato soltanto nel 1579 dai Boncompagni (duchi di Sora, donde il nome dell’edificio). Un tempo il vicolo univa direttamente via del Governo Vecchio a via del Pellegrino finquando l’apertura di Corso Vittorio Emanuele II ne interruppe il collegamento. Al civico 1 possiamo ammirare un bel palazzetto (nella foto sotto il titolo) eretto nel Quattrocento per Bartolomeo da Foligno, chiamato a Roma da papa Niccolò V che, dietro compenso di 7 ducati al mese e vitto, lo incaricò di alcune pitture in Vaticano.
Nel Cinquecento l’edificio fu acquistato dai Boncompagni, che vi lasciarono la loro impronta non solo di rinnovamento strutturale, ma anche con il drago rampante (nella foto 1) del loro emblema, tuttora presente sul cornicione di coronamento sia del palazzetto sia di quella che originariamente doveva essere una loggia a quattro arcate, ora murate. L’edificio presentava anche una bella decorazione monocroma, purtroppo scomparsa, posta tra le finestre, che ne caratterizzava la facciata. Notare, all’angolo del vicolo con via del Governo Vecchio, indegnamente seminascosto da un cartello stradale, una testa leonina in marmo (nella foto 2).
Al civico 48 di Vicolo Savelli è situato il Palazzetto Caccialupi (nella foto 3), costruito alla fine del Quattrocento per volontà di Giambattista Caccialupi, avvocato e giurista originario di San Severino Marche, come recita l’iscrizione, con tanto di stemma di famiglia, scolpita sull’architrave del bel portale marmoreo: “IOANISBAT CACIALUPI SEVERINAT CO ET ADVO ƆCIS“, ovvero “(Proprietà di) Giovanni Battista Caccialupi severinate (di San Severino), giurista e avvocato”. Le ultime quattro lettere indicano l’anno di restauro dell’edificio utilizzando quelli che vengono definiti “numeri Romani medioevali”, anche se in realtà traggono origine dal sistema numerale etrusco. La prima lettera rappresenta l’apostrophic Ɔ (anche detta C specchiata), utilizzata, con l’aggiunta di una C e di una I, per comporre il numero 1000, mentre per il numero 500 si eliminava la C; inoltre un’extra apostrophic Ɔ aumentava il numero di 500: il breve esempio posto qui sotto mostra proprio la composizione di queste cifre. Notare come i noti simboli romani con i quali si rappresentano 1000 e 500, ovvero, rispettivamente, M e D, derivino graficamente proprio da questi simboli: CIƆ = 1000, IƆ = 500, CIƆƆ = 1500. Passiamo ora ad analizzare le quattro lettere che compongono la data dell’iscrizione: la prima Ɔ corrisponde a 500 (per mancanza di spazio il numero 1000 fu omesso), la C corrisponde a 100, la I ad 1 sottrattivo, mentre la S corrisponde a 70, secondo un altro uso medioevale di utilizzare alcune lettere dell’alfabeto come abbreviazioni per numeri molto grandi: la data che ne risulta è 1669 e ricorda appunto il restauro avvenuto nel XVII secolo.
L’edificio, a due piani ed appoggiato al fianco di Palazzo Sora, presenta due linee marmoree con funzione di marcapiano e belle finestre architravate con mensole che risaltano sull’austera facciata. Molto elegante il cortile interno con loggia e portico a due ordini di arcate, sorrette da tre colonne di granito grigio, delle quali le due estreme sono parzialmente murate.