Piazza della Minerva prende il nome dal “Tempio di Minerva Chalcidica” eretto da Domiziano davanti al grande complesso della Porticus Divorum, da cui l’appellativo di Chalcidica, ossia “portiera”, assegnato alla dea. Nei frammenti della pianta marmorea severiana il tempio appare di pianta circolare, probabilmente con un giro di colonne, su base quadrata provvista di gradini su tutti e quattro i lati e sorgeva dove oggi si trova la chiesa di S.Marta. La chiesa che domina la piazza, S.Maria sopra Minerva (nella foto sotto il titolo), esisteva, secondo la tradizione, al tempo di Papa Zaccaria (741-752) e fu concessa da quel pontefice alle suore basiliane provenienti da Costantinopoli; nel secolo IX viene citata dall’Anonimo di Einsiedeln. L’antica chiesa, denominata “S.Maria in Minervium” (ovvero “S.Maria presso il Tempio di Minerva”), era di piccole dimensioni e così lasciò il posto ad un’altra più grande nel 1280, allorché i Domenicani subentrarono alle suore Basiliane.
Nel XV secolo, quando ancora non era terminata, vi si celebrarono i Conclavi di Eugenio IV (1431) e di Nicolò V (1447). Alla metà del secolo il cardinale Giovanni Torquemada fece eseguire a sue spese la volta della navata maggiore, che era stata fino ad allora coperta da un soffitto a capriate. Nel 1453 il conte Francesco Orsini, prefetto di Roma, fece costruire la facciata, come attesta la lapide (nella foto 1) posta sulla destra della facciata e che così recita: FRANCISCUS DE URSINIS GRAVINE ET CUPERSANI COMES ALME URBIS PREFECTUS ILLUSTRIS AEDES MARIE VIRGINIS SUP(RA) MINERVAM IAMDIU MEDIO OPERE INTERUPTAS P(RO)RIIS SU(M)PTIBUS ABSOLVERE CURAVIT P(RO) E(IUS) A(N)I(M)E SALUTE ANNO D(OMI)NI MCCCCLIII PONT D(OMI)NI N(OST)RI NICOLAI PAPE V, ovvero “Francesco Orsini Conte di Gravina e Conversano illustre prefetto dell’alma Urbe, la chiesa di S.Maria sopra Minerva, già interrotta a metà dei lavori, fece completare a proprie spese per la salvezza della sua anima nell’anno del Signore 1453, sotto il pontificato del Signore Nostro Papa Nicolò V”.
Nel 1557 Papa Paolo IV elevò la chiesa a titolo cardinalizio: primo titolare fu il cardinale Michele Ghislieri, divenuto poi papa con il nome di Pio V. Tra il 1848 ed il 1855 furono effettuati radicali restauri diretti da padre Girolamo Bianchedi, con i quali si volle riportare la chiesa alle primitive linee romanico-gotiche. Il restauro, appesantito da un eccessivo impiego di marmi colorati e di decorazioni policrome, alterò gravemente l’organismo primitivo creando un “falso” che si sovrappose alle strutture originarie compromettendone la giusta comprensione. La facciata, modificata nel XVII secolo dal cardinale Barberini, è molto semplice e presenta tre sezioni divise da lesene, ognuna con tre portali sormontati da altrettanti grandi oculi. I portali sono del ‘400; i due laterali sono sormontati da lunette con affreschi, mentre quello centrale da un timpano triangolare. Al centro dell’architrave, tra un motivo di festoni e teste di cherubini, si trova lo stemma (abraso) del cardinale Domenico Capranica; sotto, l’iscrizione ANDREAS CAPRANICA DOMINICI F RESTITUIT A D MDCX. Tra i portali, iscrizioni funerarie dei cardinali Tommaso Badia, Tommaso de Vio detto il Gaetano e Nicolò von Schoenberg. Alle estremità della facciata vi sono due stemmi Orsini (uno più semplice e l’altro sormontato da cimiero), mentre al centro svetta un grande stemma di Pio V con l’iscrizione PIUS V PONT MAX EX ORD PRAED, ovvero “Pio V Sommo Pontefice, dell’Ordine dei Predicatori”; ai lati due stemmi abrasi. Degne di nota sono due gruppi di 3 lapidi apposte sulla facciata indicanti l’altezza raggiunta dalle inondazioni del Tevere: vi è da precisare infatti che questa zona, con il vicino Pantheon, era tra le più basse della città e quindi particolarmente soggette ad alluvioni. Il gruppo più alto (nella foto 2) è così costituito: la targa più alta recita che REDUX RECEPTA PONTIFEX FERRARIA NON ANTE TAM SUPERBI HUCUSQUE TYBRIDIS INSANIENTES EXECRATUR VORTICES ANNO D(OMI)NI MDXCVIII, VIIII KAL IANUARII, ovvero “Il pontefice (Clemente VIII) al (suo) ritorno (a Roma) dopo il recupero di Ferrara, maledice i gorghi del Tevere, mai prima di allora così superbo, impazziti fino a questo segno, nell’Anno del Signore 1598, nel giorno nono delle Calende di Gennaio” (24 dicembre) – altezza m.19,56. La seconda per altezza, a destra, ricorda che MDLVII DIE XV SEPTEMBRIS HUC THYBER ADVENIT PAULUS DUM QUARTUS IN ANNO TERNO EIUS RECTOR MAXIMUS ORBIS ERAT, ovvero “Il 15 settembre 1557 il Tevere arrivò sin qui mentre Paolo IV era il supremo rettore dell’Urbe nel terzo anno del suo pontificato” – altezza m.18,90. La terza targa ricorda che ANNO D(OMI)NI MDXXX OCTAVO IDUS OCTOBRIS PONT VERO SANTISSIMI D(OMI)NI CLEMEN PAPE VII HUC TIBER ASCENDIT IAMQ(UE) OBRUTA TOTA FUISSET ROMA NISI HUIC CELEREM VIRGO TULISSET OPEM, ovvero “Nell’Anno del Signore 1530 il giorno 8 delle idi di ottobre del pontificato del Santissimo Nostro Signore Papa Clemente VII, nell’anno 7° del suo pontificato, il Tevere giunse fin qui e Roma sarebbe stata tutta sommersa se rapidamente la Vergine non le fosse venuta in soccorso” – altezza m.18,95.
In basso vi sono altre tre lapidi (nella foto 3), delle quali quella a sinistra, la più antica di tutte, è in caratteri gotici e così recita: A(N)NO DO(MINI) MCCCCXXII IN DIE S(AN)C(T)I ANDRRE CREVIT AQUA TIBERIS USQUE AD SUM(M)ITATE(M) ISTI(US) LAPIDIS T(EM)P(O)RE D(OMI)NI MARTINI P(A)P(AE) V A(NNO) VI, ovvero “Nell’Anno del Signore 1422, nel giorno di S.Andrea, crebbe l’acqua del Tevere fino alla sommità di questa lapide, al tempo di Papa Martino V – Anno VI (del suo pontificato)” – altezza m.17,32. A destra possiamo notare la lapide che ricorda l’inondazione del 29 dicembre 1870, con un’altezza di m.17,22; sotto, l’ultima lapide ricorda che ANN(O) CHR(ISTI) MVD NON(IS) DECEMB(RIS) AUCTUS IN IMMENSUM TIBERIS DUM PROFLUIT ALVEO EXTULIT HUC TUMIDAS TURBIDUS AMNIS AQUAS, ovvero “Nell’Anno del Signore 1495, il 9 dicembre, mentre il Tevere smisuratamente gonfiatosi usciva dal suo letto, la torbida corrente sollevò sino a questo segno le sue gonfie acque” – altezza m.16,88.
L’interno della chiesa presenta tre navate, divise da 12 pilastri, e termina nel transetto, che ha una cappella ed un coro. Poche altre chiese possono vantare una raccolta così imponente e ricca di opere d’arte italiane. Lo stile monumentale del Rinascimento romano è evidente nelle tombe del XVI secolo dei papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII, opere di Antonio da Sangallo, e nella preziosa Cappella Aldobrandini. Vicino ai gradini del Coro si trova la famosa statua di “Cristo risorto” (nella foto 4), commissionata a Michelangelo nel 1514. In fase di ultimazione apparve però sul viso del Cristo una sgradevole venatura nera, per cui Michelangelo decise di eseguire una seconda versione, al compimento della quale collaborarono anche gli allievi Pietro Urbano (poi sostituito) e Federico Frizzi. La statua venne qui collocata il 27 dicembre 1521: da notare che originariamente il Cristo era nudo e che il panneggio dorato fu aggiunto soltanto in seguito, dopo il Concilio di Trento (1545-63).
Numerosi i sepolcri, tra i quali citiamo quello di Fra’ Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, (nella foto 5) probabilmente opera di Isaia da Pisa.
Inoltre, vi sono i sepolcri del grande architetto e scultore Andrea Bregno e quello della beata Maria Raggi (nella foto 6), opera giovanile di Gian Lorenzo Bernini del 1647. Un sontuoso drappo funebre nero bordato di giallo, fissato ad uno dei pilastri gotici della navata, è mosso dal vento che increspa anche l’epigrafe; due angioletti reggono faticosamente un grande medaglione dorato dove è ritratta suor Maria Raggi, mentre una grande croce, seminascosta dal drappo, corona l’opera.
Sotto l’altare maggiore spicca la tomba (nella foto 7) di S.Caterina da Siena, patrona d’Italia e d’Europa: il sarcofago, attribuito ad Isaia da Pisa, fu realizzato nel XV secolo e custodisce le spoglie della Santa che riposa poggiando il proprio capo su un morbido cuscino. Nella parte frontale due angeli reggono un’iscrizione che così recita: SANCTA CATERINA VIRGO DE SENIS ORDINIS SANCTI DOMINICI DE PENITENTIA, ovvero “Santa Caterina Vergine da Siena dell’Ordine della Penitenza di San Domenico”. S.Caterina morì nel 1380 in un edificio posto nella vicina Piazza di S.Chiara, ma la camera dove morì è stata qui ricostruita, con le medesima mura, dietro la sacrestia, nel 1637.
Notevole è anche il Crocefisso ligneo (nella foto 8) che si trova nel transetto, attribuito a Giotto e databile tra il XIV ed il XV secolo. La chiesa della Minerva fu teatro della più fastosa delle cerimonie per la consegna della dote alle “povere zitelle” che volevano sposarsi o entrare in convento: alla cerimonia partecipava il papa che qui giungeva in fastoso corteo ogni 25 marzo, festa dell’Annunciazione. Le ragazze, in corte a due a due, biancovestite e con un velo pure bianco che a malapena lasciava scoperti gli occhi (infatti, erano chiamate “le ammantate”), andavano a prosternarsi con un cero in mano dinanzi a Sua Santità, che, dopo averle ammesse al bacio della Sacra Pantofola, consegnava loro una borsa bianca con una dote di 50 scudi per quelle che intendevano prendere marito e di 100 scudi per quelle che intendevano prendere il velo.
Innanzi alla chiesa, al centro di Piazza della Minerva, sorge il piccolo Obelisco della Minerva (nella foto 9), in granito rosso, alto 5,47 metri, eretto originariamente dal faraone Aprie (589-570 a.C.), di cui reca i geroglifici insieme ai nomi degli dei Atum e Neit (da notare che Neit era una dea egizia corrispondente alla Minerva della mitologia greco-romana). Si ignora quando fu trasportato a Roma per essere innalzato nel vicino Iseo Campense: lo trovarono i domenicani di S.Maria sopra Minerva all’interno del giardino del monastero e vollero che venisse eretto nella loro piazza. L’elefantino che sorregge l’obelisco fu disegnato dal Bernini e scolpito da Ercole Ferrata e venne eretto l’11 luglio 1667. Il curioso monumento apparve subito più un “porcino” (ossia, un piccolo porco) che un elefantino e, difatti, così lo soprannominarono, anche se, con il tempo, il termine si fece più aggraziato e divenne un “pulcino”. La posizione di questo elefantino sotto l’obelisco è spiegata con sufficiente chiarezza nell’epigrafe del basamento, dettata personalmente dal committente, Papa Alessandro VII: “Ci vuole una mente robusta per sostenere una solida intelligenza”.
A sinistra, guardando la chiesa, sorge il Palazzo della Minerva (nella foto 10), ossia l’ex convento dei Domenicani, costruito nella seconda metà del Cinquecento per incarico di Vincenzo Giustiniani, generale dell’ordine dei Domenicani. La chiesa e l’annesso convento furono la roccaforte tradizionale dei Domenicani, che per il loro ardore contro gli eretici furono soprannominati, con un gioco di parole, “Domini canes“, ossia i “cani del Signore”. Il palazzo venne ampliato tra il 1638 ed il 1641 su progetto di Paolo Marucelli (conosciuto anche come Maruscelli), divenendo un enorme complesso, così che fu scelto come sede della Congregazione del Sant’Uffizio, che qui celebrava le sue riunioni settimanali e l’attività di tribunale, esattamente nella Sala Galileiana, che rievoca Galileo Galilei, qui sottoposto a processo nel 1633 e condannato ad abiurare la dottrina eliocentrica. Ulteriori rifacimenti si ebbero nel XIX secolo ad opera di Andrea Busiri Vici e per volontà di Pio IX, che destinò il palazzo a sede del Collegio Pontificio Americano, come riportato tuttora sul portone di ingresso. Dopo il 1870 il palazzo divenne proprietà dello Stato che ne fece la sede del Ministero della Pubblica Istruzione, della Ricerca Scientifica e Tecnologica e delle Poste: oggi ospita gli uffici dei deputati al Parlamento. Di fronte alla chiesa si eleva Palazzo Severoli, costruito ai primi del Cinquecento per Mario Petruschi, conservatore in Campidoglio. In seguito fu acquistato da Marcantonio Colonna e poi dai Severoli, originari di Faenza, dei quali il palazzo in genere porta il nome. Il palazzo ebbe una sua storia quando nel 1706 papa Clemente XI lo acquistò per farne la sede dell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici, una scuola destinata a preparare i rampolli delle famiglie nobili alla carriera ecclesiastica. L’accademia funzionò grazie ai sussidi del cardinale Giuseppe Renato Imperiali, ma ben presto dovette chiudere per mancanza di fondi. La riaprì temporaneamente Papa Pio VI, ma fu Leone XIII a risollevarne le sorti, restaurando l’edificio nel 1878 e ristrutturandone la facciata; inoltre tolse il vincolo di nobiltà per gli iscritti, pur imponendo che i migliori allievi si dedicassero al servizio diplomatico. Proprio su questo indirizzo l’accademia riuscì a sopravvivere ed ancora oggi è in funzione per creare i quadri della diplomazia internazionale della Santa Sede. La facciata presenta un bel portale posto tra due colonne sottostanti il balcone del primo piano e tra due coppie di quattro porte di rimessa ad arco su uno splendido bugnato.
A destra, guardando la chiesa, Piazza della Minerva è completata dal seicentesco Palazzo Fonseca (nella foto 11), così chiamato dal nome dei suoi originari proprietari, giunti a Roma dal Portogallo nel XV secolo. L’edificio passò nella prima metà dell’Ottocento alla famiglia Conti, i quali, dopo aver acquistato alcune case limitrofe, ampliarono il palazzo destinandolo ad albergo, il “Minerva”, inaugurato nel 1832 e ancora oggi in attività. L’Albergo ha ospitato, durante i suoi lunghi anni di attività, numerose personalità illustri come l’immortale Stendhal, Cavour o il generale José de San Martin, celebre eroe argentino.
> Vedi Cartoline di Roma
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza di S.Maria della Minerva di G.B.Falda