Nel Medioevo Via Giulia era un’importante arteria stradale tanto da essere definita “Via Magistralis” perché reputata una via maestra, anche se tortuosa e fangosa in quanto soggetta alle inondazioni del Tevere. Nel 1478 Sisto IV della Rovere, nel piano di riorganizzazione della città, ristrutturò questa via che nel frattempo era stata denominata “Via Mercatoria” perché collegava la zona ad alto potenziale finanziario (Piazza di Ponte S.Angelo) con i mercati di Campo de’ Fiori e di Piazza Navona. Ma fu nel 1508 che Papa Giulio II della Rovere progettò, col Bramante, la prima e la più lunga strada di Roma (1 Km) a tracciato rettilineo (tanto che fu chiamata anche “Via Recta”), denominata “Strada Julia” dal nome del pontefice. Lungo questa strada si allinearono i “blasoni” più importanti dell’epoca, dai Sacchetti ai Ricci ed ai Chigi (per lo più di origine fiorentina o, almeno, toscana), a testimonianza della notevole importanza della via. La costruzione dei muraglioni del Tevere, avvenuta dopo il 1870, stravolse l’aspetto più caratterizzante della via: sparirono le case lungo il fiume, i palazzi vennero ridimensionati o eliminati, come accadde per il cosiddetto “Palazzo dei Centopreti”, al quale un tempo si appoggiava, come fondo pregevole della via, la fontana oggi in Piazza Trilussa.
Via Giulia è condivisa da due rioni: dall’estremità settentrionale di Piazza dell’Oro fino all’incrocio con Via delle Carceri e Vicolo della Scimia appartiene al rione Ponte; di qui fino all’estremità meridionale di Piazza S.Vincenzo Pallotti appartiene al rione Regola. Prendiamo qui in considerazione la zona di appartenenza al rione Ponte.
Nell’area compresa tra Vicolo del Cefalo e Via del Gonfalone si sarebbe dovuto estendere il Palazzo dei Tribunali della “Curia Julia” che, secondo il progetto di Papa Giulio II e del Bramante, avrebbe dovuto avere una struttura quadrangolare porticata con torri ai quattro angoli. Purtroppo l’edificio rimase incompiuto a causa della morte di entrambi: sono rimaste soltanto le fondamenta costituite da alcuni filari di grandi pietre bugnate che sporgono largamente in fuori, tanto da costituire una specie di sedile, che i romani chiamano i “sofà di Via Giulia” (nella foto 1).
In quest’area sorge anche la chiesa di S.Maria del Suffragio (nella foto 2), costruita nel 1669 da Carlo Rainaldi ed appartenente all’Arciconfraternita del Suffragio, la quale prega per le anime del Purgatorio, come dice l’iscrizione. La facciata, interamente in travertino, è scandita da quattro lesene nell’ordine inferiore sormontate da capitelli in stile composito e quattro lesene anche nell’ordine superiore, sormontate però da capitelli in stile ionico. Il portale, sormontato da un timpano aggettante sostenuto da mensole, è affiancato da due porte più piccole con timpano curvo. Nell’ordine superiore spicca una grande finestra centrale affiancata da due ampi riquadri appena aggettanti. Il timpano di coronamento della chiesa reca, all’interno, un secondo timpano curvilineo. A sinistra vi è un piccolo campanile a vela. L’interno, realizzato su disegno di Tito Armellini, è a navata unica absidata con cappelle laterali. Annesso alla chiesa vi è l’Oratorio della Confraternita, un’aula rettangolare con il dipinto di Giuseppe Ghezzi raffigurante la “Madonna con il Bambino tra gli Angeli e i Santi Giuseppe e Domenico”.
Sullo stesso lato di Via Giulia si trova S.Biagio degli Armeni (nella foto 3), la chiesa armena di Roma, chiamata anche “S.Biagio della Pagnotta”, soprannome dovuto alla distribuzione di pane ai poveri che aveva luogo il giorno della festa del santo, il 3 febbraio. La chiesa anticamente era detta anche “de cantu secuta“, dal fatto che, nel punto ove sorge, lo straripamento del Tevere lasciava un ampio deposito di rena e limo, il quale, seccandosi, dava origine alla “seccuta”. La chiesa, restaurata nel 1072 e nel XVIII secolo, conserva la tanto venerata reliquia della gola di S.Biagio. L’officiatura della chiesa venne affidata da Papa Gregorio XVI all’Ospizio degli Armeni solamente nel 1836.
La semplice facciata settecentesca, opera di Giovanni Antonio Prefetti, è scandita da quattro pilastri sormontati da capitelli compositi; al centro il portale è sormontato da un timpano spezzato e, sopra ancora, da un affresco di Andrea Sacchi raffigurante il “Miracolo di S.Biagio” (nella foto 4). Secondo la leggenda il Santo, avendo incontrato una donna con il figlio in braccio che stava soffocando a causa di una lisca di pesce che gli si era conficcata in gola, posò le mani sulla gola del fanciullo liberandolo dalla lisca: ciò contribuì a fare di S.Biagio il protettore di tutte le malattie della gola. Annesso alla chiesa è situato il Palazzo dell’ex Convento e Ospizio degli Armeni, un edificio originariamente destinato a convento che nel 1832 Papa Gregorio XVI assegnò alla comunità armena per insediarvi un loro ospizio. Il palazzo fu completamente ristrutturato a questo scopo dall’architetto Filippo Navone creando un edificio a due piani. Dopo il 1870 il palazzo divenne proprietà dello Stato ed ebbe una nuova ristrutturazione: oggi è sede di un albergo.
Sull’edificio è situato un grandioso tabernacolo settecentesco in legno e stucco (nella foto 5), dipinto a finto marmo, a forma di tempietto con timpano curvilineo spezzato al centro del quale è il Monogramma di Maria. L’edicola racchiude un dipinto ad olio su tela con la “Madonna delle Grazie“, raffigurata a mezza figura con il Bambino benedicente in braccio, entrambi coronati. Al di sotto è collocata un’epigrafe che ricorda il restauro effettuato in occasione del Giubileo del 1975 dall’UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) in memoria di Giovanni Battista Sacchetti.
Al civico 66 di Via Giulia è situato Palazzo Sacchetti (nella foto 6 e nella foto sotto il titolo), edificato su un’area detta nel Cinquecento “dell’orto di S.Biagio” (un terreno quindi della vicina chiesa di S.Biagio) ed appartenuto ad Antonio da Sangallo il Giovane. L’artista vi abitò pochi anni perché morì nel 1546 e così l’edificio passò al figlio Orazio; questi nel 1552 lo vendette al cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano, che lo fece ampliare da Nanni di Baccio Bigio. Pochi anni dopo la proprietà passò a Tommaso Marino di Terranova, che poi lo rivendette a Giulio Ricci, nipote del precedente proprietario cardinale. La proprietà sembrava indesiderata ma molto probabilmente era il fattore economico che costringeva gli acquirenti a rivenderla per rifarsi delle alte spese sostenute nei lavori di ampliamento o di restauro. Subentrarono così altri nobili e prelati, tra cui i Cevoli (da cui deriva il toponimo del limitrofo Vicolo del Cefalo), banchieri di Pisa, che si impegnarono in numerosi lavori tra i quali una famosa galleria; nel 1608 fu acquistato dal cardinale Ottavio Acquaviva d’Aragona ed infine, nel 1648, dai Sacchetti. L’ampia facciata in laterizio presenta finestre in travertino, portale in marmo sormontato da un balcone con balaustrini in ferro; ai lati è affiancato da tre finestre, architravate ed inferriate con davanzale retto da mensole, sotto le quali si aprono le finestrelle dell’interrato. Anticamente sulla facciata era affissa la targa “DOMUS ANTONII SANGALLI ARCHITECTI MDLIII”, ovvero “Casa dell’architetto Antonio di Sangallo 1553”, e nella nicchia, ancora ben visibile sulla terza finestra del primo piano, uno stemma di Paolo III Farnese con la scritta “TU MIHI QUODCUMQUE HOC RERUM EST”, ovvero “Tu sei tutto per me”, probabilmente in segno di riconoscenza verso il pontefice: sia la targa che lo stemma furono scalpellati dai francesi nel 1799 perché scambiarono i gigli farnesiani che le ornavano con il giglio di Francia, simbolo della Real Casa dei Borbone soppressa dalla Rivoluzione. Il cortile è circondato da un porticato con pilastri dorici, ma le arcate ai lati sono chiuse. All’interno sono notevoli il Salone dei Mappamondi affrescato da Francesco Salviati e la sala da pranzo della Galleria con dipinti di Pietro da Cortona e di Giacomo Rocca di carattere biblico.
Presso l’angolo sinistro del palazzo è situata una fontanella in marmo (nella foto 7) detta “Fontana del Putto”, di stile rinascimentale, realizzata verso la fine del XVI secolo dai Cevoli. È formata da una piccola edicola a nicchia, arricchita da una valva di conchiglia, al centro della quale, fra due pilastrini architravati ed adornati da figure di donna, un puttino abbraccia le code di due delfini dalle quali uscivano due getti d’acqua che andavano a finire in una vasca non più esistente. Si crede possa essere opera del Sangallo, se non altro perché si appoggia al palazzo dell’artista, ma non si hanno dati sicuri.
Di fronte a Palazzo Sacchetti, ai civici 97-98, si apre Palazzetto Ricci Donarelli (nella foto 8), costruito nel Seicento unificando due edifici limitrofi su progetto di Carlo Rainaldi. Dai Ricci passò ai Donatelli nel Settecento. L’edificio è a due piani, con cinque finestre per piano, architravate e con cartiglio, oltre all’ammezzato del sottotetto a finestre riquadrate. Al pianterreno due portali: uno è affiancato da colonne doriche di travertino e sormontato da un balcone; l’altro è incorniciato in pietra; ai lati, finestre architravate ed inferriate con mensole sovrastanti le finestrelle dell’interrato. I cantonali bugnati dovrebbero risalire ad un gruppo di case quattrocentesche incorporate nell’edificio. A coronamento, l’ampio sporgente ligneo del tetto.
Al civico 79 di Via Giulia è situato Palazzo Medici Clarelli (nella foto 9), costruito nel 1535, anche questo originariamente appartenuto ad Antonio da Sangallo il Giovane e poi venduto alla sua morte dal figlio Orazio a Migliore Cresci, marito di Cornelia Strozzi, che fece incidere sull’architrave delle finestre “MELIOR DE CRESCIS CI(VIS) FLORENTINUS”, ossia “Migliore Cresci cittadino di Firenze”. L’edificio fu quindi ampliato e fastosamente arricchito da una serie di affreschi esaltanti la dinastia dei Medici, ai quali passò intorno al 1558: la decorazione, che ricopriva tutta la facciata, fu eseguita tra il 1559 ed il 1565. Dello stesso periodo è anche l’iscrizione sovrastante il portale che così recita: “COSMO MEDICI DUCI FLOREN(TIAE) II PACIS ATQUE IUSTITIAE CULTORI”, ossia “A Cosimo de’ Medici secondo duca di Firenze, cultore della pace e della giustizia”. Si tratta di Cosimo I, che fu secondo Duca di Firenze dal 1537 ed ebbe il titolo di Granduca nel 1565. Gli affreschi scomparvero quando il palazzo venne ampliato ed intonacato di nuovo nell’Ottocento. Il cortile, al quale si accede attraverso un atrio, preceduto da un portico con colonne doriche, originariamente terminava con un fondale ad esedra aperto verso il Tevere, in seguito chiuso da una nicchia centrale nella quale è posta una fontana. Una cornice divide la nicchia all’altezza del catino, ornato da una valva di conchiglia, e prosegue lateralmente andando a costituire la modanatura superiore di due porticine che si aprono simmetricamente. La fontanina è costituita da una testa di leone dalla cui bocca esce l’acqua che si versa nella sottostante vaschetta pensile a valva di conchiglia, donde tracima in una vasca ovale poggiata a terra. Nel Seicento il palazzo divenne sede del Consolato di Toscana e successivamente fu acquistato dai Conti Clarelli, originari di Rieti ed iscritti alla nobiltà romana nel 1837 con il titolo di marchesi. Nell’Ottocento fu occupato da una caserma e poi fu sede di una pretura; dopo il 1870 divenne proprietà del Comune di Roma, che tuttora lo possiede, ospitandovi gli Uffici della I Circoscrizione.
Al civico 85 si trova un palazzetto (nella foto 10) costruito dopo il 1525 per il Capitolo Vaticano dall’architetto Bartolomeo de Ramponibus, detto l’Ambrogino: una scritta ottocentesca sulle tre finestre del primo piano indica che “POSSEDEVA – RAF(FAELLO) SANZIO – NEL MDXX” (1520). L’iscrizione venne realizzata durante il restauro ottocentesco perché si riteneva che questa fosse l’abitazione del grande artista, ma molto probabilmente qui Raffaello aveva soltanto alcuni terreni, su uno dei quali fu in effetti costruito questo edificio, ma non per lui, che peraltro morì prima che il palazzetto fosse terminato. L’edificio, comunque conosciuto come Casa di Raffaello, presenta un aspetto molto raffinato con il ricco rivestimento a bugne, un portale ad arco sovrastato da una finestra riquadrata ed un balconcino con mensole. La sopraelevazione sul ricco cornicione con elementi araldici è del 1863.
Al civico 82 di Via Giulia, infine, è situato un palazzetto (nella foto 11) conosciuto come Casa dei Fiorentini perché fu regalata, insieme all’altra casa situata in Piazza dell’Oro 2, da Papa Giulio II alla comunità fiorentina. La casa, realizzata alla fine del Quattrocento, presentava una facciata dipinta dal Gasparino, andata purtroppo perduta. Molto elegante il portale ad arco bugnato con balcone retto da mensole.
Sulla facciata che prospetta su Via dei Cimatori, sopra il bel portale ad arco bugnato al civico 19, si può tuttora notare una targa marmorea (nella foto 12) che ne attesta la proprietà alla comunità fiorentina: “SUB PROPRIETATE SOCIETATIS PIETATIS NATIONIS FLOREN(TINAE)”, ovvero “Di proprietà della Compagnia della Pietà della Nazione Fiorentina”, con tanto di giglio bottonato, simbolo di Firenze, ed il “Cristo in Pietà”, emblema della Compagnia della Pietà.