La chiesa di S.Alessio (nella foto sopra) risale al III o IV secolo, quando fu edificata sul luogo precedentemente occupato, secondo la tradizione, dalla casa del padre di Alessio, Eufemiano, ed originariamente dedicata soltanto a S.Bonifacio di Tarso, il patrizio romano martirizzato a Tarso di Cilicia (Anatolia) nei primi anni del IV secolo. Il Liber Pontificalis attesta che la chiesa era divenuta diaconia già nell’VIII secolo, sotto il pontificato di Leone III. Nel 937 i religiosi che officiavano la chiesa ottennero da Alberico II, governatore di Roma, alcune case limitrofe che, riadattate, formarono il primo nucleo del monastero posto sotto la cura di S.Addone, abate di Cluny. Nel 977 Papa Benedetto VII affidò la chiesa ad una comunità di monaci Basiliani, rifugiatisi a Roma insieme all’arcivescovo Sergio di Damasco, costretto dai Saraceni a fuggire dalla sua città. Nel 986 l’edificio venne dichiarato basilica e dedicato anche a S.Alessio, sulla cui casa paterna, come sopra menzionato, era stato costruito. Nel XII secolo il monastero, ormai abitato dai Benedettini, venne ricostruito dalla famiglia dei Crescenzi. Altri restauri interessarono il complesso nel corso dei secoli successivi: nel 1216 la basilica fu interamente ricostruita da Onorio III, nel 1431 fu restaurata dai Gerolimini, alla fine del Cinquecento Papa Sisto V la elevò a titolo cardinalizio, nel Seicento fu restaurata dal Cardinale Guidi di Bagno ed infine nel 1750 dal cardinale Andrea Querini, che commissionò a Tommaso de Marchis anche l’ampliamento del convento e la nuova facciata della chiesa. Ulteriori interventi di restauro furono compiuti tra il 1852 ed il 1860 dai Chierici Regolari di Somasca (detti Somaschi), ai quali Pio IX aveva donato la basilica ed il monastero.
Si accede alla basilica tramite un quadriportico in parte murato: sulla destra si trova una fontanella (nella foto 1) ornata da una cuspide triangolare con i ritratti di S.Alessio (a sinistra) e di S.Bonifacio (a destra), proveniente dalla chiesa medioevale di Papa Onorio. Sotto è situata una lapide con epigrafe romana del II secolo d.C., mutila, che così recitava: “IN HONOREM DOMUS AUGUSTAE TI(BERIUS) CLAUDIUS SECUNDUS COACTOR CUM TI(BERIO) CLAUDIO TI(BERII) QUIR(INI) SECUNDO F(ILIO) VIATORIBUS IIIVIR(O) ET IIIIVIR(O) SCHOLAM CUM STATUIS ET IMAGINIBUS ORNAMENTISQUE OMNIBUS SUA IMPENSA FECIT“, ovvero “In onore della Casa Imperiale, Tiberio Claudio Secondo esattore delle tasse, insieme al figlio Tiberio Claudio Secondo di Tiberio Quirino, tresviro (o triumviro) addetto alla sicurezza dei viandanti e quadrumviro, fece costruire a proprie spese (questa) scuola con statue e ritratti e tutti gli ornamenti”.
Con l’ausilio della pianta della chiesa (nell’immagine 2) iniziamo la visita dal portico (1) (nella foto sotto il titolo) che presenta sei eleganti colonne inserite nei pilastri, i quali inquadrano cinque archi a tutto sesto, di cui quello centrale, leggermente più grande, è sormontato da un timpano. Il piano superiore è costituito da cinque finestre alternate da lesene con capitelli corinzi, sopra il quale corre una balaustra con vasi marmorei fiammeggianti.
Leggermente arretrata si intravede la copertura a timpano della chiesa ed il bellissimo campanile romanico (nella foto 3) fatto costruire da Papa Onorio III nel 1216. Di forma quasi quadrata, è costruito interamente in laterizio e si eleva in cinque ordini, di cui i due inferiori con doppie monofore, mentre i tre superiori con doppie bifore. Al suo interno sono conservate due campane, una del 1605, fusa da Francesco Beltramelli, l’altra del 1637, opera di Simone e Prospero de Prosperis di Norcia.
Sotto il portico è conservata la statua settecentesca di Papa Benedetto XIII (2) (nella foto 4) realizzata nel 1752 ed eretta dal Cardinale Angelo Maria Querini per celebrare il completamento del riordino barocco.
Sul lato opposto del portico è situato il portale di accesso al convento (3) (nella foto 5).
Il portale cosmatesco dell’epoca di Onorio III introduce all’interno della chiesa (nella foto 6), divisa in tre navate da pilastri ornati da paraste scanalate e capitelli corinzi e coperta con volta a botte: la decorazione della volta della navata centrale venne realizzata da Michele Ottaviani intorno alla metà del XIX secolo, mentre quella dell’abside e dei pennacchi della crociera da Carlo Gavardini nel medesimo periodo. Molto bello il pavimento che conserva ancora qualche decorazione musiva cosmatesca.
Percorriamo ora la navata destra: all’interno della nicchia ricavata nella controfacciata possiamo ammirare il monumento funebre del Cardinale Metello Bichi (4) (nella foto 7), che fu titolare della basilica nel 1611. L’iscrizione, che appare al centro del monumento, così recita: “A Dio Ottimo Massimo – A Metello Bichi, patrizio di Siena, Cardinale generosissimo titolare di S.Alessio, alla cui nobiltà pari era la virtù, elevata per beneficio del Pontefice Massimo Paolo V dall’Episcopato di Sovana alla luce della porpora di Roma ed all’eccellenza dell’Arcivescovato di Siena, virtù che brillò luminosissima ma per brevissimo tempo, Vincenzo e Bernardino, al fratello strappato prematuramente mestissimi edificarono. Tuttavia mitigano il loro triste rimpianto per questo solo motivo che la cenere di una illustrissima virtù estinta si colora ancora di porpora. Morì all’età di settantotto anni il primo di luglio del 1619”. Sulla lapide a terra la lapide ricorda: “A Dio Ottimo Massimo – Ossa di Metello Bichi Cardinale di Santa Romana Chiesa Senese”.
Segue l’altro monumento funebre del pittore impressionista Antonio Mancini (5) (nella foto 8), morto nel 1930,
e poi la Cappella del Crocifisso (6) (nella foto 9) con pala d’altare anonima del XVIII secolo che raffigura il “Cristo Crocifisso”.
Di notevole interesse storico-artistico è il monumento funebre di Eleonora Boncompagni Borghese (7) (nella foto 10), opera di Andrea Fucigna su progetto di Giovan Battista Contini proveniente dalla demolita chiesa di S.Lucia dei Ginnasi. Anche qui una bella iscrizione: “A Eleonora Boncompagni Borghese, principessa di Sulmona, alle sue ceneri deposte sotto questo marmo, le monache del Corpo di Cristo dei Ginnasi come monumento eterno di un animo riconoscente. Per testamento eredi edificarono. Visse 53 anni, morì il 9 settembre 1695”.
La navata sinistra inizia con la bellissima Cappella di S.Alessio (8) (nella foto 11), situata nella controfacciata. L’opera, realizzata da Andrea Bergondi nel XVIII secolo, raffigura “S.Alessio assistito dagli angeli al momento del trapasso” ed è costituita dalla statua in gesso raffigurante il Santo morente ed un reliquiario monumentale, in vetro e legno dorato, disposto in diagonale tra quattro colonne di spoglio in granito con capitelli corinzi, che contiene la scala lignea della casa paterna sotto la quale la leggenda vuole che il Santo abbia vissuto e vi sia morto. Questo aspetto ci introduce alla nota leggenda secondo la quale S.Alessio, contrario alle nozze volute dal padre, il senatore Eufemiano, fuggì dal palazzo che sorgeva dove oggi è la chiesa e visse in esilio, in Siria, ben 17 anni. Tornato alla propria dimora povero ed invecchiato, non fu riconosciuto da nessuno ed il padre, credendolo un povero pellegrino, gli concesse alloggio in un sottoscala, dove Alessio visse i restanti giorni della sua vita: nel momento stesso in cui morì, tutte le campane di Roma suonarono miracolosamente. La leggenda è giunta fino a noi dopo numerose interpolazioni di scribi, giullari, cantastorie (dimostrato da il “Ritmo”, uno dei documenti più antichi dell’italiano volgare), trovatori e comici, fino ad essere musicata da Stefano Landi su libretto del cardinal Rospigliosi. Venne rappresentata l’8 febbraio 1634 nel teatrino di palazzo Barberini ed ebbe enorme successo. Ai primi del Novecento fu rappresentata, in prosa, dai “Compagnons de Nôtre Dame” di Henri Ghéon.
Proseguendo lungo la navata sinistra troviamo il monumento funebre del XIX secolo di Cesare Fanti (9) (nella foto 12), anch’esso proveniente dalla demolita chiesa di S.Lucia dei Ginnasi.
Degno di menzione è il pozzo ottagonale (10) (nella foto 13), situato tra il secondo e terzo pilastro, chiuso da un pesante coperchio in legno dall’orlo levigato dallo sfioramento delle mani dei fedeli, fatto in devozione di S.Alessio, in quanto questo sarebbe il pozzo presso il quale il Santo, ospite anonimo delle sue case, attingeva l’acqua ogni giorno per la famiglia che gli prestava ricovero. Dinanzi al pozzo, sopra al monumento funebre di Domenico Savarè (morto nel 1895), procuratore generale dei Somaschi, si trova la tela “S.Girolamo Emiliani introduce gli Orfani alla Vergine” (11) realizzata nel 1749 da Jean-François de Troy: l’opera originariamente era situata nella demolita chiesa di S.Nicola dei Cesarini, appartenuta ai Somaschi. Seguono altre due tele dedicate al medesimo Santo: “S.Girolamo e S.Marcella” (12) e “S.Girolamo Emiliani” (13).
Nel passaggio tra la navata laterale sinistra ed il transetto si trova a parete il monumento funebre di Giuseppe Brippio (14) (nella foto 14), l’umanista autore nel XV secolo del poema “La Leggenda di S.Alessio“. L’epigrafe, posta sotto la pietra tombale, così recita: “O caro Giuseppe Brippio, che sempre hai amato la poesia, accogli ora questi versi degni della tua tomba. Tu che ti sei esercitato negli studi sacri hai ottenuto insigni riconoscimenti. Per questo motivo intendo insistere su altre tue lodi, queste: il fatto che sempre, fin dai più teneri anni, hai conservato il dono, mai scalfito, della tua castità e non hai seguito quei falsi valori che solo costituiscono il pascolo dei mortali. Ma ora più di questo desidero che tu riposi in una placida pace, quella vera e buona che sola giova ai defunti e che da te, mentre vivevi, sempre fu desiderata: la vita, pace e riposo. E quando qualcuno leggerà questi versi, preghi allora per te, perché Dio sia clemente alla tua anima. Morto a Roma il 22 agosto nell’Anno del Signore 1457. Visse 79 anni”.
Il transetto, sopraelevato di alcuni gradini, conserva, al centro, un bellissimo ciborio a cupola (15) (nella foto 15) del XVIII secolo, sorretto da colonne di marmo greco e realizzato da Tommaso De Marchis. Ogni lato del ciborio presenta un timpano con teste di angeli alati. Sotto il ciborio è custodito l’altare maggiore, anch’esso realizzato da Tommaso De Marchis e dedicato a S.Bonifacio, che conserva, dietro una grata, le reliquie dei Santi titolari, Bonifacio ed Alessio.
Sul pavimento tra il ciborio e l’abside (16) si trovano alcune pietre tombali: quella di Lupo de Olmedo (nella foto 16), fondatore dei Monaci Girolamiti dell’Osservanza, risalente all’anno 1433,
del Cardinale Vincenzo Gonzaga (nella foto 17), primo cardinale della basilica, dell’anno 1591, e quella in ricordo di Fabrizio Guidi di Bagno (marchese di Montebello morto servendo il re Filippo IV nelle Fiandre, padre del Cardinale Gianfrancesco Guidi di Bagno).
Alle due estremità del transetto si trovano due cappelle: a sinistra è situata la Cappella di S.Girolamo Emiliani (17) (nella foto 18), fondatore dei Somaschi: la pala d’altare raffigura “S.Girolamo Emiliani con orfano davanti alla Madonna” ed è una copia fotografica dell’originale trafugato nel 2006. L’opera rubata era stata realizzata da Carlo Gavardini tra il 1852 ed il 1860. Da segnalare che nel XVII secolo questa era la cappella funeraria della famiglia Guidi di Bagno, fatta realizzare dal cardinale Gianfrancesco Guidi di Bagno e soltanto nel 1850 dedicata a S.Girolamo.
A destra si trova invece la Cappella della Madonna dell’Intercessione o Cappella di Carlo IV (18) (nella foto 19), così chiamata perché il Re di Spagna la fece abbellire durante il periodo di esilio nel convento (1814).
La cappella, invece, fu costruita dall’Abate Angelo Porro nel 1674 e conserva la veneratissima Icona della Madonna di S.Alessio (nella foto 20), in quanto si riteneva che fosse la stessa che il Santo avesse venerato già ad Edessa dove si era recato per abbandonare gli agi della casa paterna e vivere in povertà, chiamata anche Madonna dell’Intercessione perché derivante dal genere delle scene pittoriche in cui si invoca la misericordia di Cristo giudice. L’icona, secondo la tradizione, sarebbe stata dipinta a Bisanzio e poi trasportata a Roma nel X secolo da Sergio di Damasco. Secondo gli esperti, invece, l’icona fu realizzata da un pittore romano tra il XII e il XIII secolo, a tempera su tela e fissata su una tavola di legno. Sull’altare marmoreo si trova un tabernacolo cinquecentesco realizzato con pregiati marmi differenti.
Sul pavimento dinanzi alla cappella si trova la duecentesca pietra tombale del diacono Pietro Savelli (19) (nella foto 21), la cui famiglia aveva sull’Aventino una rocca.
Nell’abside (20) (nella foto 22) si trovano gli stalli del coro dei monaci Geronimici, al centro del quale vi sono due colonnine in marmo con decorazione cosmatesca, sormontate da un timpano, che inquadrano un’iscrizione del XIII secolo che elenca le reliquie presenti nella chiesa. La colonnina di destra è firmata da Jacopo di Lorenzo di Cosma, il quale dichiara di averne scolpite 19 con relativi capitelli: “Iacobus Laurentii fecit has decem et novem columnas cum capitellis suis”. Si narra che le 17 colonnine mancanti siano state asportate da Napoleone. Le colonnine, inoltre, secondo alcuni, decoravano l’antica chiesa onoriana, secondo altri si trovavano originariamente nella basilica di S.Bartolomeo all’Isola.
Attraverso un cancelletto (21) posto in prossimità degli scalini del transetto, è possibile scendere nella sottostante cripta romanica, risalente all’XI secolo, con un altare a baldacchino (nella foto 23) sotto il quale si trova una colonna tradizionalmente ritenuta quella alla quale fu martirizzato S.Sebastiano. Dietro l’altare, entro la piccola abside, si trova una bella “Madonna con Gesù Bambino e due santi” del XIII secolo. Qui vi sono custodite inoltre le reliquie di S.Tommaso Becket, divenuto Arcivescovo di Canterbury dopo essere stato confidente e collaboratore di re Enrico II d’Inghilterra e da questi poi fatto uccidere nella stessa cattedrale nel 1161 da quattro cavalieri perché Tommaso, ritrovata la fede, prese ad opporsi alla politica di Enrico, non rispettosa dell’autonomia e dei privilegi della Chiesa.
Davanti all’altare si trova anche una cattedra (nella foto 24) in continuazione di un sedile in muratura che corre lungo il perimetro della cripta. Le pareti sono decorate con affreschi dei secoli XII e XIII con “l’Agnello mistico”, i simboli degli evangelisti e figure di santi, probabilmente Pietro e Paolo.
Molto bello il chiostro di S.Alessio (nella foto 25) realizzato nel corso del Cinquecento, a pianta rettangolare con sette arcate nei lati lunghi e sei nei lati corti con un pozzo ottagonale del 1570 al centro.
Degna di essere ammirata è la fontanella (nella foto 26) situata nel piccolo giardino situato accanto alla chiesa, praticamente addossata alla parete esterna della navata destra: questa semplice e graziosa fontana fu trasferita qui nel 1937, proveniente dal cortile del secentesco Palazzo Rusticucci-Accoramboni (come è scritto anche sulla vaschetta), demolito in quello stesso anno per la realizzazione di Via della Conciliazione. La fontana è costituita da una vaschetta ovale, finemente lavorata e posta sullo sfondo di una scogliera ottenuta sfruttando piccoli blocchi di roccia calcarea murati nella parete, che originariamente riceveva l’acqua dalla testa di un puttino alato, oggi scomparsa. Oggi l’acqua fuoriesce dal becco di un uccello ad ali spiegate posto sotto la vaschetta, che si riversa nel bacino sottostante, delimitato da un ampio semicerchio a scalino pavimentato da cubetti di porfido.
Infine, nello stesso giardino, è situata anche la statua dedicata a S.Giovanna d’Arco (nella foto 27), donata al Comune di Roma nel 1935 dallo scultore francese Maxime Real del Sarte. Purtroppo, a causa di varie vicende, tra cui il difficile periodo della Seconda Guerra Mondiale, il monumento fu inaugurato soltanto il 16 maggio 1954 dal Sindaco di Roma, Salvatore Rebecchini, il quale depose ai piedi del monumento un fascio di fiori, non prima di aver reso omaggio alla memoria dell’artista, deceduto pochi mesi prima.