Via di S.Giovanni Decollato prende il nome dalla chiesa omonima (nella foto sopra) che qui sorge, costruita verso la fine del XV secolo dall’Arciconfraternita della Misericordia di S.Giovanni Decollato sulla preesistente chiesa denominata “S.Maria de Fovea” (o “della Fossa”). L’Arciconfraternita, fondata a Firenze, ricevette da Papa Innocenzo VIII, nel 1488, l’autorizzazione a svolgere anche a Roma la propria opera di carità, che consisteva nel confortare i condannati a morte per decapitazione e nella cura della sepoltura dei cadaveri.
Alla vigilia di un’esecuzione, sul far della sera, i confratelli uscivano dalla chiesa di S.Giovanni Decollato e, avvolti in neri mantelli, si dirigevano verso il carcere di Tor di Nona o di Corte Savella: in una Roma deserta e buia, il loro cammino era accompagnato dal lume di una candela e dal suono di una campanella, che annunciava alla gente che l’indomani un uomo sarebbe stato giustiziato. Nelle fredde segrete del carcere iniziava la lunga veglia notturna. Dopo l’esecuzione, i corpi dei giustiziati che morivano “in pace con Dio” venivano sepolti dai confratelli, non prima di averne mozzato le teste, che venivano poi date alle fiamme il 24 giugno di ogni anno, in occasione della festa di S.Giovanni Battista, morto appunto con il taglio della testa. La chiesa si presenta con una facciata in laterizio divisa da quattro paraste doriche sostenenti l’alto timpano: al centro è situato il bel portale cinquecentesco sormontato da un finestrone semicircolare e da due nicchie. L’interno è a navata unica con tre nicchie con altari per lato, scandite da paraste doriche e completamente affrescate da artisti toscani del tardo Cinquecento con figure di santi. Il soffitto, a cassettoni, è ornato dalla Croce e dal giglio di Firenze, mentre al centro è raffigurata la Testa di S.Giovanni Battista.
Gli altari custodiscono opere di grande importanza, come la Natività di Jacopo Zucchi nel primo altare di destra, l’Incredulità dell’apostolo Tommaso di Giorgio Vasari nel secondo altare di destra e la Visitazione del Pomarancio nel terzo altare di destra; sull’altro lato troviamo, nel primo altare, un affresco con la figura della Madonna del Latte, proveniente dalla demolita chiesa di S.Maria della Fossa, nel secondo altare un S.Giovanni Evangelista sottoposto al martirio dell’acqua bollente di Battista Naldini ed un bel Crocifisso ligneo nel terzo altare. Il presbiterio è separato dalla navata tramite un grande arco che inquadra sullo sfondo l’altare maggiore, dove si trova la splendida Decollazione del Battista di Giorgio Vasari del 1553. Dal vestibolo d’ingresso si passa nell’oratorio (nella foto 1), una semplice sala rettangolare costruita per una serie di necessità operative quali i servizi religiosi, le riunioni o i richiami ai fini dell’Arciconfraternita. Lo splendido ciclo pittorico della sala, recentemente restaurato, illustra otto episodi della vita di S.Giovanni Battista, come la Predica del Battista (1538) ed il Battesimo di Cristo (1541), entrambi di Jacopino del Conte, la Nascita del Battista (1551) e la Visitazione (1538) di Francesco Salviati: in quest’ultima tela, nel personaggio con la barba, è stato identificato il ritratto di Michelangelo, in quanto il grande artista apparteneva all’Arciconfraternita. Accanto all’ingresso della chiesa, al civico 22, è situato un portale inquadrato da una cornice marmorea e sormontato da un rilievo con la testa di S.Giovanni (nella foto 2), circondato dalla scritta “Misericordiae Archiconfrater“, che costituisce lo stemma dell’Arciconfraternita.
Varcato il portone si accede al chiostro (nella foto 3), costruito tra il 1535 ed il 1555 e ristrutturato durante il pontificato di papa Clemente VIII. Situato sul fianco sinistro della chiesa, presenta tre lati porticati con arcate a tutto sesto sostenute da snelle colonne; il quarto lato è occupato dall’oratorio. Sotto i portici sono murate numerose lapidi sepolcrali, mentre sul pavimento vi sono ancora le sette botole attraverso le quali i confratelli facevano passare i corpi dei giustiziati, sei per gli uomini ed una per le donne, coperte da chiusini di marmo sui quali era scritto: “Domine, cum veneris judicare, noli me condemnare“, cioè “Signore, quando vieni a giudicare, non condannarci“.
Da uno dei portici, attraverso una ripida scala, si giunge in una stanza che costituisce la “camera storica” dell’Arciconfraternita, nella quale vi sono documenti e cimeli rarissimi che testimoniano secoli bui, costellati di processi, patiboli e roghi: vi sono il cesto ove si raccoglieva la testa del giustiziato per mannaia e che accolse anche quella, bellissima, di Beatrice Cenci; la condanna a morte, affissa ad una parete, di Giordano Bruno; il grande crocifisso che apriva i cortei diretti al patibolo e la barella con cui i confratelli riportavano il corpo del giustiziato. Innumerevoli gli oggetti esposti nelle vetrine: le cappe nere dei confratelli e le coperte che li riparavano dai rigori delle veglie in carcere, le fiaschette per l’aceto ed il vino greco da dare al condannato, le custodie di cuoio per i fogli sui quali il reo dettava le sue ultime volontà, le corde per calare i corpi degli impiccati ed il coltello per recidere il laccio. Testimonianza eccezionale sono anche i registri che narrano figure di eretici, assassini, malfattori o presunti tali, con le loro vicende drammatiche, in uno spaccato della società romana di secoli dominati dallo strapotere delle famiglie patrizie e dalla onnipresenza del papa e della sua corte. Esempio eccellente ne è il resoconto del triste cerimoniale che accompagnò l’ultima giornata dei Cenci o di tal Pascale, “heretico impenitente, luterano perfido” che fu condotto in Ponte e “abruciato“, come scrive l’amanuense. Ogni 29 di agosto, giorno del ritrovamento della testa del Battista, la Confraternita aveva il privilegio di liberare un condannato a morte: a testimonianza di ciò resta, nel piccolo museo, l’abito rosso che i confratelli facevano indossare al prigioniero liberato e l’urna che conteneva le fave bianche e quelle nere, che servivano per scegliere il fortunato che avrebbe avuto salva la vita, in quanto vinceva il condannato che aveva più fave nere. Secondo una leggenda le popolane romane si riunivano davanti alla chiesa, dopo la mezzanotte, per pregare le anime dei giustiziati a rivelare loro i numeri vincenti del Lotto.
Sull’altro lato di Via di S.Giovanni Decollato sorge un’altra chiesa, S.Eligio de’ Ferrari (nella foto 4), più comunemente detta “S.Alo” o “S.Anigro“, costruita nel 1513 dall’Università dei Ferrari sulle rovine della chiesa di “S.Giacomo d’Altopascio” ed annessa all’omonimo ospedale fondato dai toscani: sul portale della chiesa (nella foto 5) e sulla facciata si può vedere ancora l’antico stemma in marmo, un’incudine ed un martello, con la scritta “Universitas Fabrorum“. La chiesa, dedicata al santo protettore degli artigiani, S.Eligio di Noyon, si presenta con una facciata in laterizio scandita da coppie di lesene su basi di travertino e con il busto del Santo inserito sopra il bel portale con timpano triangolare. L’interno, a navata unica, è molto ricco, con un bel soffitto a lacunari in legno e stucco dorato del XVII secolo; presso l’altare del presbiterio si trova una Madonna in trono, S.Giacomo ed i vescovi Eligio e Martino del Sermoneta.
In un reliquario è conservato un frammento del braccio di S.Eligio; vi ha sede anche un piccolo museo di paramenti ed arredi sacri del Seicento e Settecento. Usciti dalla chiesa, al civico 9 di Via di S.Giovanni Decollato, si può notare l’iscrizione dell’Università dei Ferrari, “DOMUS SOCIETATIS S ELIGI UNIVERSITATIS FABRORU(M) DE URBE“, accompagnata dal relativo stemma che si ripete anche al centro della lunetta in ferro battuto sovrastante il portone. Al civico 20 di Via di S.Giovanni Decollato sorge l’unica casa rimasta dei numerosi palazzetti posseduti nella zona dai Pierleoni, ricca famiglia romana di origine ebraica, proprietari anche della vicina Torre dell’isola Tiberina.
Questa casa medioevale (nella foto 6) fu ampiamente rimaneggiata tra il 1935 ed il 1940 dal proprietario di allora, l’architetto Antonio Muñoz; le mura in tufo sono scomparse ma sono rimaste le graziose finestre a bifore e trifore, mentre sul portale al pianterreno si può ancora ammirare lo stemma dei Pierleoni (nella foto 7).