Mura Serviane:
1 Porta Carmentalis 2 Porta Catularia 3 Porta Fontinalis 4 Porta Sanqualis
5 Porta Salutaris 6 Porta Quirinalis 7 Porta Collina 8 Porta Viminalis
9 Porta Esquilina 10 Porta Querquetulana 11 Porta Caelimontana 12 Porta Capena
13 Porta Naevia 14 Porta Raudusculana 15 Porta Lavernalis 16 Porta Trigemina
17 Porta Flumentana
Mura Aureliane:
1 Porta Flaminia 2 Porta Pinciana 3 Porta Salaria 4 Porta Nomentana
5 Porta Chiusa 6 Porta Tiburtina 7 Porta Praenestina 8 Porta Asinaria
9 Porta Metrovia 10 Porta Latina 11 Porta Appia 12 Porta Ardeatina
13 Porta Ostiensis 14 Porta Portuensis 15 Porta Aurelia 16 Porta Septimiana
17 Porta Cornelia
Mura Gianicolensi:
1 Porta Portese 2 Porta S.Pancrazio 3 Porta Cavalleggeri
Il concetto di Mura a Roma nacque con il leggendario solco tracciato dall’aratro di Romolo, anche se questo probabilmente non fu un muro a carattere difensivo ma più un confine a carattere religioso, il primo famoso “pomerio“. Il “pomerio” (termine derivante da “post” o “pone murum“, ossia “dopo il muro”) era uno spazio di terreno sacro, situato lungo le mura della città all’interno ed all’esterno, dove non era lecito costruire, né abitare, né arare, né tantomeno seppellire i morti e limitato da pietre terminali: non una difesa militare quindi ma una difesa sacrale, un limite magico difeso da tabù e divieti.
MURA SERVIANE – La prima cinta urbana vera e propria, risalente alla metà del VI secolo a.C., è nota con il nome di “Serviana“, in riferimento al primo costruttore, il sesto re di Roma Servio Tullio. Di questa prima cinta muraria, costituita in gran parte da un “agger“, o terrapieno, alto circa 6 metri con parti in muratura di cappellaccio, un tufo dell’area di Roma, non rimane quasi più traccia, sostituita da quella in tufo di Grotta Oscura del IV secolo a.C., che seguì quasi dappertutto lo stesso percorso di quella antica e che oggi possiamo ancora ammirare, seppure limitatamente a piccoli tratti di muri e comunque troppo poco evidenziati, anzi talvolta seminascosti da edifici e magazzini. La data esatta di questo rifacimento ci viene fornita da Livio che ricorda che nel 378 a.C. fu appaltata dai censori la costruzione di un nuovo muro, da eseguire in “saxo quadrato“, a maggiore difesa della città dopo l’occupazione gallica del 390.
La tecnica di costruzione del muro del IV secolo è ovunque la stessa: filari di blocchi (alti, in genere, 59 cm, corrispondenti a due piedi romani) disposti alternativamente per testa e per taglio. L’altezza complessiva si aggirava intorno ai 10 metri e lo spessore oltrepassava, talvolta, i 4 metri. La lunghezza totale delle mura raggiungeva quasi gli 11 chilometri, inglobando una superficie di circa 426 ettari: si trattava certamente della più ampia città dell’Italia peninsulare. La cinta fu costruita con il lavoro contemporaneo di numerosi cantieri, come risulta evidente dai marchi apposti sui blocchi, talvolta anche con lettere inesistenti nell’alfabeto latino, molto probabilmente greche e ciò farebbe pensare ad un intervento di architetti o maestranze provenienti dalla Magna Grecia. Restauri alle mura furono eseguiti nel 353, nel 217, nel 212 e nell’87 a.C. Cerchiamo ora di ripercorrerne il tracciato: il Campidoglio era incluso nelle mura e due porte vi si aprivano, la “porta Catularia” (2), situata al termine della scalinata dei “Centum Gradus“, la scalinata che scendeva dalla Rupe Tarpea, e la “porta Fontinalis” (3), uno stipite della quale, in opera quadrata di tufo, si ritiene possa essere (nella foto 1) alle spalle del Vittoriano, all’inizio di via di S.Pietro in Carcere.
Seguendo la sella tra Campidoglio e Quirinale, le mura salivano a Largo Magnanapoli, dove un muro situato al centro dell’aiuola appartiene ad un fianco della Porta Sanqualis (4). Seguendo il percorso dell’odierna Via Ventiquattro Maggio raggiungeva la Dataria, dove si apriva la “porta Salutaris” (5), mentre all’altezza di Via delle Quattro Fontane (nel tratto prossimo a Piazza Barberini) si apriva la Porta Quirinalis (6). Con un percorso parallelo a Via Venti Settembre la cinta raggiungeva il Largo di S.Susanna (dove, al centro dell’aiuola, possiamo osservarne un breve tratto) dopo aver piegato bruscamente a nord e proseguiva costeggiando le attuali Via di S.Nicola da Tolentino – Via Carducci – Via Salandra: proprio qui si era conservato integro nei secoli un bel tratto di mura di circa 32 metri, finché nel 1909, per l’apertura di via Carducci, se ne demolì barbaramente una porzione di circa 9 metri, lasciando due miseri tronconi separati che fortunatamente ancora oggi possiamo ammirare: nella foto 2 quello in Via Carducci.
Costeggiando l’odierna Via Sallustiana le mura raggiungevano Piazza Sallustio e proseguivano fino all’incrocio tra Via Venti Settembre e Via Goito, dove si apriva la Porta Collina (7). Da qui aveva inizio il tratto maggiormente fortificato della cinta, noto come “Agger”, a proteggere il lato più debole della città, interamente pianeggiante. La lunghezza dell’Agger era di 1.300 metri, con un fossato largo 36 e profondo 17. Al fossato seguiva un muro alto circa 10 metri, al quale si appoggiava sul lato interno il terrapieno. Quest’ultimo era sostenuto a sua volta da un muro di controscarpa, distante 30-40 metri in media da quello di facciata. Con un percorso corrispondente alle attuali via Cernaia, via Macao, via Calatafimi e via Volturno, l’Agger raggiungeva Piazza dei Cinquecento dove si apriva la Porta Viminalis (8). Proseguendo per le vie Giolitti – Cattaneo – Piazza M.Fanti – Napoleone III – Carlo Alberto (dove sopravvive un piccolo tratto inserito in un edificio, come possiamo notare nella foto 3), l’Agger terminava nei pressi di Piazza Vittorio Emanuele II, dove si apriva la Porta Esquilina (9).
Successivamente il percorso delle mura diventa meno sicuro: esse si ritrovano ancora in Piazza Leopardi, lungo Via Equizia (nella foto 4), poi utilizzate come sostruzioni della chiesa di S.Martino ai Monti, ma poi scompaiono per un lungo tratto. La cinta doveva seguire il Colle Oppio, scendendo nella valle tra questo ed il Celio, per poi arrampicarsi su quest’ultimo. In prossimità della chiesa dei Santi Quattro Coronati doveva aprirsi la Porta Querquetulana (10) mentre alla fine dell’attuale via di S.Stefano Rotondo si apriva la Porta Caelimontana (11). Scendendo dal colle nel punto dove pressappoco oggi è situata la chiesa di S.Gregorio Magno, le mura traversavano la valle tra il Celio e l’Aventino nell’odierna Piazza di Porta Capena dove si apriva l’omonima Porta Capena (12). La cinta inglobava così il Piccolo Aventino con un percorso che ricalcava l’attuale Viale Guido Baccelli fino a giungere all’altezza di Largo Fioritto dove si apriva la Porta Naevia (13), dalla quale originariamente usciva la Via Ardeatina; quindi, con un andamento curvilineo, le mura giungevano a Piazza Albania, dove, più o meno nel mezzo di Viale Aventino, si apriva la Porta Raudusculana (14). La cinta saliva verso la sommità del Grande Aventino lungo Via di S.Anselmo (dove sono conservati resti importanti delle mura) fino alla Porta Lavernalis (15), situata dove la toponomastica pone l’attuale ed omonima via. Le mura proseguivano includendo il territorio attualmente occupato dalla chiesa di S.Anselmo e dal complesso dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, seguendo grossolanamente il percorso medioevale delle mura della Rocca dei Savelli e scendevano al Tevere con il percorso oggi utilizzato dal Clivo di Rocca Savella. A questo punto si giunge al tratto che, per il percorso, rappresenta da sempre quello più discusso. Esiste innanzitutto una teoria secondo la quale il lato della città rivolto verso il fiume non sarebbe stato chiuso da mura, se non per due tratti distinti, perpendicolari al Tevere, che univano questo all’Aventino ed al Campidoglio. Questa teoria, confermata anche da uno scritto di Livio, fa pensare che questa sia stata effettivamente la prima sistemazione delle mura, modificata soltanto successivamente da un braccio di muro parallelo al fiume, con la “porta Trigemina” (16) situata nelle immediate vicinanze della chiesa di S.Maria in Cosmedin, la Porta Flumentana (17) nell’area del “Tempio di Portunus” e la Porta Carmentalis (1) situata presso l’Area Sacra di S.Omobono, a chiudere così il cerchio delle mura.
MURA AURELIANE – La necessità di una nuova cinta muraria apparve evidente nel corso del III secolo d.C., quando la gravissima crisi economica e politica rese chiara la debolezza dell’Impero. La possibilità che i barbari potessero spingersi fino alla capitale divenne plausibile e così Aureliano decise di dotare Roma di una nuova e più energica fortificazione. I lavori, iniziati nel 271, furono portati avanti piuttosto velocemente e dovettero essere quasi terminati alla morte dell’imperatore, anche se vennero condotti a termine con Probo (279). Le mura furono costituite da mattoni ed erano alte circa 6 metri e spesse 3,50, dotate ogni cento piedi (circa m 29,60) di una torre di pianta quadrata, con camera superiore per le baliste. Le porte più importanti erano costituite di due ingressi gemelli, coperti ad arco, con paramento in travertino ed inquadrati da due torri semicircolari, mentre le porte secondarie avevano un arco semplice al posto di quello doppio ed erano inserite semplicemente al centro di un tratto di mura, tra due torri quadrate. L’inserimento di edifici già esistenti nelle mura conferma la fretta che presiedette ai lavori: i “Castra Praetoria“, Porta Maggiore, l’Anfiteatro Castrense, la Piramide Cestia ed il Muro Torto ne sono la testimonianza.
Il percorso complessivo si può calcolare in poco meno di 19 km (18,837). Ma già nel IV secolo la nuova fortificazione dovette apparire insufficiente perchè Massenzio (306-312) provvide a fortificarla: è facilmente distinguibile per la diversa tecnica muraria denominata “opera listata”, costituita da ricorsi orizzontali di mattoni e di blocchetti di tufo. I lavori più importanti e massicci avvennero però all’epoca di Onorio ed Arcadio, negli anni 401-402, per far fronte ad eventuali attacchi dei Goti. Ispiratore dell’opera fu Stilicone: si trattò in pratica di raddoppiare l’altezza del muro. Il precedente cammino di ronda divenne una galleria coperta, nella quale si aprivano numerose feritoie. Al di sopra di esso venne creato un nuovo cammino di ronda, munito di merli. I doppi ingressi di alcune porte furono ridotti ad uno solo e le torri rialzate e rinforzate: munite di una controporta interna, collegata da due muri alla principale, esse divennero vere e proprie fortezze, autosufficienti in caso di necessità.
Altri restauri avvennero nel corso del VI secolo, nel periodo delle guerre gotiche, ad opera di Belisario. La cinta muraria divenne una fortezza inespugnabile con 18 porte principali, 383 torri, 7.020 merli, 5 postierle principali, 116 latrine e 2066 grandi finestre esterne. La ricognizione delle mura, in gran parte ancora in piedi, inizia dalla Porta Flaminia (1), alla quale segue il tratto che, includendo con varie sinuosità il Pincio, è noto con il nome di Muro Torto ma che in origine costituiva la sostruzione degli Horti Aciliorum. Alla sommità della collina, un tempo denominata Collis Hortulorum, si trova la Porta Pinciana (2), da cui usciva la Via Salaria Vetus: da qui inizia un tratto ben conservato delle mura con 18 torri ancora in buono stato. Una di queste torri, per la precisione quella dinanzi a Via Po, reca ancora i segni della battaglia del 1870 che segnò la fine del potere temporale a Roma: una palla di cannone sparata dall’esercito italiano appare ancora conficcata nel muro, come possiamo notare nella foto 5. All’altezza di Piazza Fiume si apriva la Porta Salaria (3), costituita da un solo ingresso tra due torri semicircolari e demolita nel 1870, ma la cui pianta è ancora indicata sul selciato moderno: da qui usciva la Via Salaria Nova, il cui percorso coincide in gran parte con quello della moderna Via Salaria. Notare immediatamente ad est della Porta, nella parte alta del muro, una sorta di garitta semicilindrica poggiata su due mensoloni di travertino: si tratta dell’unica necessaria (ovvero latrine) rimasta delle 260 che un tempo ornavano l’intera cerchia delle Mura Aureliane, giunta fino a noi in ottimo stato di conservazione. Dopo un altro breve tratto si apriva la Porta Nomentana (4), oggi chiusa, dalla quale usciva la via omonima: attualmente sono visibili gli stipiti in opera laterizia e la torre semicircolare di destra, mentre quella di sinistra fu distrutta nel 1827.
Ricordando che la Porta Pia risale al XVI secolo, arriviamo ai “Castra Praetoria” (nella foto 6), la grande caserma dei pretoriani costruita tra il 20 ed il 23 d.C. da Tiberio, riunendo così in un’unica sede le 9 coorti del corpo istituito da Augusto come guardia permanente dell’imperatore. I “Castra“, cioè gli accampamenti, occupavano un’area di 170.000 metri quadrati a pianta rettangolare, delimitati da un muro in opera laterizia alto circa 4,70 metri per uno spessore di 2,10, nel quale si aprivano quattro porte in corrispondenza dei due assi principali. All’interno una linea di ambienti seguiva le mura per tutta la loro lunghezza mentre la parte centrale era occupata da lunghe file di edifici, costituiti da due serie di ambienti contrapposti. Quando i “Castra” furono inclusi da Aureliano nella cerchia delle sue mura, a formare così un poderoso bastione, il muro esterno fu rialzato di circa 5 metri (circa 2,50-3 metri in alto e circa 2 metri in basso, scavando le fondazioni) e munito di una nuova e più fitta merlatura e furono chiuse le porte settentrionale ed orientale. Il muro fu successivamente rialzato da Massenzio e rinforzato da torri, oggi quasi completamente scomparse. Al tempo di Costantino, quando il corpo dei pretoriani fu sciolto, fu smantellato il muro del lato rivolto alla città, ossia lungo l’attuale viale Castro Pretorio. Poi, al tempo di Onorio, fu abbassato il livello del terreno esterno lungo il lato settentrionale e parte di quello orientale mettendo allo scoperto le fondazioni per un massimo di 3,50 metri.
Subito dopo i “Castra Praetoria” si apriva un’altra porta rivestita di travertino, il cui nome originario è ignoto ma generalmente viene denominata “Porta Chiusa” (5, nella foto 7), perché sbarrata e messa fuori uso da un muro: da qui passava la via che, proveniente dalla Porta Viminalis, si congiungeva con la Via Tiburtina. Dopo un tratto di mura conservate solo parzialmente a causa di vari tagli effettuati per consentire il passaggio di strade moderne, arriviamo alla monumentale Porta Tiburtina (6). Nel tratto seguente, tra la quinta e la sesta torre, vi troviamo inserita la facciata di un edificio in laterizio, probabilmente una casa di abitazione, dove si possono ancora vedere le finestre murate dei tre piani e le mensole in travertino che sostenevano un balcone al secondo piano (nella foto 8). Si giunge poi alla Porta Praenestina (7), successivamente denominata Porta Maggiore. Il tratto seguente delle Mura sfrutta le arcate dell’Acquedotto Claudio, trasformato in muro difensivo con la chiusura dei fornici, per poi piegare bruscamente con un angolo acuto verso sud-ovest, inglobando così il Palazzo Sessoriano. Si giunge così ad un altro monumento inserito nelle mura, l’Anfiteatro Castrense. Il tratto seguente, ben conservato e restaurato, arriva, dopo la porta S.Giovanni del XVI secolo, alla Porta Asinaria (8).
Le mura proseguono costeggiando la basilica di S.Giovanni in Laterano e sfruttano le antiche sostruzioni del Palazzo dei Laterani, visibili dietro il campo sportivo dell’A.S.Romulea in Piazzale Ipponio. All’inizio di Via della Ferratella in Laterano possiamo vedere le mura al di sotto del piano stradale (nella foto 9), per poi rialzarsi per giungere alla Porta Metronia (9). Inizia poi il tratto forse meglio conservato e maestoso della cinta muraria e che, dalla porta successiva, la Porta Latina (10), permette al pubblico di effettuare una passeggiata lungo l’antico camminamento fino alla Porta Appia (11, oggi conosciuta come Porta S.Sebastiano).
Poco prima dei quattro fornici moderni aperti sulla via Cristoforo Colombo per motivi di viabilità, a ridosso della torre angolare si apre, in un breve saliente, una posterula con stipiti ed architrave in blocchi di travertino: si tratta della Posterula Ardeatina (nella foto 10) o “di Vigna Casali”, la quale dava il passaggio ad una stradina, probabilmente un diverticolo, che univa la Via Ardeatina alla Via Appia prima di essere chiusa ai tempi di Onorio.
Molto interessante è anche il tratto successivo delle mura dove appare maestoso il Bastione del Sangallo (nella foto 11), così denominato perchè costruito da Antonio da Sangallo il Giovane nel 1537, per volere di Papa Paolo III Farnese, atto a migliorare l’efficienza difensiva di questo lato contro la minaccia turca. Il Bastione sostituì le antiche mura per una lunghezza di circa 300 metri, demolendo così anche l’antica “porta Ardeatina” (12), dalla quale usciva la via omonima. Superfluo sottolineare la diversa struttura architettonica del Bastione rispetto alle mura circostanti, non più costruite per ospitare baliste ma cannoni, come evidenziato dalle feritoie ad imbuto (o troniere) situate sulla sommità del bastione. Scomparvero le merlature perché inadatte a proteggere le truppe dalle cannonate, sostituite da casematte dalle quali si sparava con le armi leggere e che fungevano anche da ricovero per le munizioni. Otto camere ottagonali sotterranee, situate sotto le facce salienti del bastione, erano destinate ad eventuali azioni di contromina, grazie a cunicoli che permettevano di uscire all’esterno e di prendere gli assalitori alle spalle. Un imponente stemma di Paolo III, affiancato da quelli del Senato Romano e della Camera Apostolica, corona l’angolo del Bastione. Il tratto successivo, che include il Piccolo Aventino, presenta abbondanti restauri, in particolar modo risalenti al periodo rinascimentale, finché si giunge alla Porta Ostiensis (13) ed alla Piramide di Caio Cestio, altro esempio di edificio inserito nella cinta muraria.
Di qui le mura procedono in linea retta (nella foto 12) verso il Tevere, includendo la piana del Testaccio: nulla rimane del tratto che costeggiava il fiume verso nord per quasi 800 metri. A questo punto le mura proseguivano sull’altra riva del fiume ma soltanto apparentemente isolate perché alle due estremità erano situate due torri dalle quali si tendeva una catena che sbarrava, in caso di necessità, il percorso fluviale: nella foto 13 possiamo ammirare la torre medioevale sulla sponda sinistra del Tevere, situata dinanzi al Mattatoio, a Lungotevere Testaccio, che ricalca l’installazione e la funzionalità delle antiche torri romane.
Le mura della riva destra del Tevere includevano in gran parte il Trastevere, lasciando fuori il Vaticano, e recingevano una zona grosso modo triangolare con il vertice sul Gianicolo, in corrispondenza della Porta Aurelia (15) e con altre due porte, una a sud, la Porta Portuensis (14, sostituita, qualche centinaia di metri più a nord, dall’attuale Porta Portese) e l’altra a nord, nel punto dove sorge la Porta Settimiana (16).
Di tutto questo tratto transtiberino restano solo scarsissime tracce, come Porta Settimiana (anche se quella attuale è un rifacimento cinquecentesco) ed alcuni resti oggi visibili in Vicolo Moroni o dall’interno di Villa Farnesina (nella foto 14). Non resta più nulla neanche del tratto che correva lungo la riva sinistra del fiume, che iniziando approssimativamente da Ponte Sisto costeggiava il fiume fino all’altezza di Ponte Elio, dove si apriva la Porta S.Pietro o Cornelia (17), e proseguiva fino all’altezza di Ponte Regina Margherita, dove piegava bruscamente ad est per congiungersi con la Porta Flaminia, dalla quale è iniziata la nostra ricognizione.
MURA GIANICOLENSI – Queste mura furono realizzate per volere di Papa Urbano VIII Barberini in occasione della cosiddetta guerra di Castro, scoppiata tra le due potenti famiglie dei Barberini e dei Farnese. Le ambizioni di Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII, si rivolsero verso il ducato di Castro e Ronciglione, proprietà di Odoardo Farnese, duca di Parma e Piacenza: fu così che Castro venne invasa da truppe pontificie ed Odoardo scomunicato. Il timore di una forte controffensiva del Duca Odoardo, aiutato dalla Toscana, da Modena e da Venezia, spinse il pontefice a tappare la falla del Gianicolo con la costruzione delle Mura Gianicolensi. La guerra comportò una spesa enorme per l’erario della Santa Sede e si risolse inoltre con un nulla di fatto: si concluse infatti nel 1644 a Venezia con la mediazione della Francia che ristabilì la situazione precedente al conflitto con l’assoluzione del duca Odoardo e la reintegrazione di tutti i suoi possedimenti. L’atto di nascita delle mura risale al 15 luglio 1641, allorché gli architetti della Camera Apostolica Castelli e Bonazzini effettuarono le misurazioni del caso, mentre l’architetto militare Giulio Buratti e l’architetto Marcantonio De Rossi completavano il relativo progetto.
Le Mura Gianicolensi (nella foto 15 un breve tratto), così denominate dal colle Gianicolo che le racchiude, furono terminate in tempo di record e nel 1643 erano pressoché completate. Sia pure con diverso tracciato esse sostituirono il tratto transtiberino delle Mura Aureliane, oramai rese inutili dalla nuova fortificazione, tanto che vennero abbattute. Anche le tre antiche porte di questo tratto, Porta Settimiana, Aurelia e Portuense, subirono uno stravolgimento: la prima perse il proprio valore strategico, racchiusa oramai all’interno delle nuove mura, la seconda fu ricostruita e la terza, arretrata di alcune centinaia di metri, fu in sostanza sostituita dalla Porta Portese. Le Mura Gianicolensi, erette a difesa della città papale, ebbero il battesimo di fuoco soltanto due secoli dopo, nel 1849, ma, ironia della sorte, proprio nella situazione opposta, ossia a difesa della Repubblica Romana contro l’esercito francese accorso in aiuto della Chiesa. Il 1849 fu uno degli anni cruciali del Risorgimento, il periodo storico che portò alla formazione di un’Italia unita, libera ed indipendente.
A Roma, sotto la spinta di moti popolari che chiedevano libertà e democrazia, crollò il regime pontificio e Papa Pio IX fuggì a Gaeta. Il 9 febbraio un’assemblea eletta con suffragio universale proclamò la Repubblica Romana ed il mese dopo ne affidò la guida ad un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Come bandiera la Repubblica adottò il tricolore. La Costituente Repubblicana proclamò una serie di provvedimenti che suscitarono l’entusiasmo popolare, come l’abolizione della pena di morte e del Tribunale del Sant’Uffizio, l’espropriazione dei beni ecclesiastici, l’assegnazione ai poveri dei conventi appartenuti precedentemente ai frati, l’abrogazione di alcune tasse come quella doganale, quella sul sale e sul macinato, la soppressione dei privilegi dell’ordinamento militare, l’istituzione della parità civile e giuridica degli ebrei, la libertà di stampa e di informazione. Ma le potenze allora dominanti in Europa, rette da regimi assoluti e conservatori, mossero i loro eserciti per restaurare il potere temporale, mentre a difesa della Repubblica affluirono a Roma giovani da ogni parte d’Italia e d’Europa: Garibaldi vi portò i suoi volontari.
Un esercito francese sbarcato a Civitavecchia puntò direttamente contro Roma, percorrendo la Via Aurelia. Il settore più esposto all’attacco francese era incentrato sul Gianicolo e la Repubblica ne affidò la difesa a Garibaldi. Respinti una prima volta il 30 aprile, i francesi tornarono all’attacco il 3 giugno, con forze preponderanti. Roma fu circondata e cinta d’assedio. Nonostante l’enorme squilibrio delle forze in campo, che non consentiva speranze di vittoria, la Repubblica resistette per tutto il mese di giugno, lottando duramente e tenacemente fino all’ultimo, solo per affermare il diritto di Roma e dell’Italia alla libertà ed alla democrazia. I cannoneggiamenti dell’esercito francese aprirono numerose brecce nelle mura e così, dopo la fine dei combattimenti, l’Amministrazione Pontificia restaurò le mura ricostruendo le parti abbattute. La nuova muratura corrispondente alle brecce fu circoscritta da una serie di piccole lastre bianche, tuttora ben visibili, a memoria della violenza della battaglia. Inoltre al centro di ogni breccia fu posta una lapide con lo stemma pontificio, la sigla S.P.Q.R. e la data 1849 in cifre romane: MDCCCXXXXIX. Una passeggiata lungo queste mura, ancora oggi tutte un susseguirsi di elementi che rievocano la gloriosa epopea della Repubblica Romana, inizia dalla Porta Portese (1).
Il tratto iniziale della cinta è caratterizzato dalla scarsa altezza delle mura, conseguenza dell’espansione edilizia che ha causato l’elevazione del piano stradale. Superato viale Trastevere, la cui apertura determinò il crollo di un intero bastione, le mura iniziano ad arrampicarsi sul Gianicolo, erette in tutta la loro possanza lungo viale Aurelio Saffi (uno dei protagonisti della Repubblica Romana). Dal V bastione in poi iniziamo a trovare numerose tracce dei cruenti avvenimenti dell’epoca, come la lapide posta da Papa Pio IX a ricordare la ricostruzione avvenuta nel 1861 dell’angolo costruito da Innocenzo X e situato tra Viale Aurelio Saffi e Via delle Mura Gianicolensi: PIO IX PONTIFEX MAXIMUS PROPUGNACULUM INNOCENTIO X P M. EXTRUCTUM ANGULI PRORUENTIS LABE FATISCENS NOVA MOLITIONE A FUNDAMENTIS RESTITUTUS IUSSIT ANNO MDCCCLXI IOSEPHO FERRARI PREF AER. Poco dopo questa lapide possiamo vedere, tra biffe bianche che delimitano lo spazio di una breccia, un’altra targa, “SPQR MDCCCXLIX“, a ricordare i primi rifacimenti fatti al termine di quegli eventi. Ma sono le mura interposte nei successivi due bastioni, il VI ed il VII (il primo su Largo Berchet nella foto 16 ed il secondo che punta verso la Via Livraghi nella foto 17) che subirono l’attacco principale dell’esercito francese, che in questo punto aveva individuato il punto più debole. Qui due lapidi (nella foto 18), seminascoste da piante e non degnamente valorizzate, vogliono ricordare gli avvenimenti. La prima e più antica, risalente al 1850, fu posta nel punto cruciale della battaglia ed al termine di lunghi lavori di restauro: AN SAL REP MDCCCL AUCTORITATE PII IX PONT MAX SPQR MOENIA IANICULENSIA IN PERDUELLIBUS EX URBE FRANCORUM VIRTUTE PROFLIGANDIS QUA FATISCENTIA QUA DIRUTA INSTAURAVIT REFECIT VIRO PRINC PRAES. La seconda, del 1871, a potere temporale scomparso quindi, ricorda che il IV GIUGNO MDCCCLXXI SPQR DOPO VENTI ANNI DA CHE L’ESERCITO FRANCESE ENTRATO PER QUESTE LACERE MURA TORNO’ I ROMANI SOTTO IL GOVERNO SACERDOTALE ROMA LIBERA E RICONGIUNTA ALL’ITALIA ONORA LA MEMORIA DI COLORO CHE COMBATTENDO STRENUAMENTE CADDERO IN DIFESA DELLA PATRIA. In pratica fu proprio in questo punto che le truppe del Generale Oudinot riuscirono ad aprire una breccia, anche se un terrapieno retrostante consentì alle truppe repubblicane, asserragliate praticamente nella zona occupata da Villa Sciarra, di tenere testa ai francesi ancora per diversi giorni. La battaglia finale del 30 giugno si combatté lungo una linea grosso modo individuabile tra il bastione VII, Porta S.Pancrazio (2), la Montagnola (una località posta nei pressi dell’attuale Ossario dei caduti di Via Garibaldi) e Villa Spada.
Il bastione successivo alla Porta S.Pancrazio presenta ancora una lapide posta a ricordo del restauro di una breccia ma è il bastione successivo, il IX, che riserva una piacevole sorpresa: un’edicola in travertino (nella foto 19) racchiude una statua di S.Andrea Apostolo con l’iscrizione ANDREAE APOSTOLO URBIS SOSPITATORI PIUS IX PONT MAX HIC UBI CAPUT EIUS FURTO ABLATUM REPERIT MONUMENTUM REI AUSPICATISS DEDIC AN MDCCCXLVIII. L’edicola fu infatti eretta per volontà di Pio IX ad espiazione del furto sacrilego della testa di S.Andrea, avvenuto pochi mesi prima nella Basilica Vaticana e qui ritrovata: il tempietto è opera del Cav.Gaetano Morichini mentre la statua fu realizzata da Carlo Aureli. La cinta muraria prosegue iniziando la discesa che la condurrà fino alla Porta Cavalleggeri (3), congiungendosi in pratica alle Mura Leonine e tagliando fuori due terzi del bellissimo bastione di S.Pio V del 1568, nonché la Porta S.Spirito.