Gaio Ottavio, più conosciuto come Ottaviano Augusto, fu il primo imperatore di Roma. Cagionevole di salute, di statura media, poco prestante, era altresì molto bello: biondo, fronte alta, naso importante, occhi che attiravano lo sguardo. Naturalmente le qualità che gli permisero di divenire il padrone assoluto di Roma e di un impero immenso furono altre: un concentrato di astuzia, prudenza, carisma e riservatezza. Gaio Ottavio nacque a Roma il 23 settembre del 63 a.C. da Gaio Ottavio, importante uomo d’affari nonché senatore e discendente della gens Octavia, originaria di Velitrae (odierna Velletri), e da Azia, discendente invece dalla stirpe che, secondo la leggenda, avrebbe fondato Roma, la gens Iulia. Azia infatti era imparentata sia con Giulio Cesare che con Gneo Pompeo Magno, essendo la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo. Il piccolo Ottavio probabilmente nacque a Roma soltanto per caso, nella casa situata sul Palatino che il padre utilizzava in occasione delle riunioni del Senato: la famiglia infatti viveva a Velitrae e lì Ottavio fu allevato. Rimasto orfano all’età di quattro anni, nel 44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio Giulio Cesare e, secondo la consuetudine, assunse il nomen gentilizio (Iulius) ed il cognomen (Caesar) del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della gens di provenienza aggettivata in -anus, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Gaius Iulius Caesar Octavianus). Evidentemente Giulio Cesare credeva fortemente in questo ragazzo perché, sebbene fosse ancora molto giovane, lo inviò ad Apollonia (nell’attuale Albania), dove era acquartierato l’esercito con il quale si stava preparando a partire per la guerra contro i Parti, per sorvegliarne i preparativi. Fu proprio ad Apollonia che Ottaviano fu informato dell’uccisione del prozio (15 marzo 44 a.C.) ed allora tornò immediatamente a Roma per reclamare i suoi diritti di figlio adottivo e di erede di Cesare. Ottaviano, giunto a Roma il 21 maggio, quando gli assassini di Cesare avevano già abbandonato la città grazie ad un’amnistia concessa dal console superstite, Marco Antonio, rivendicò il nome adottivo di Gaio Giulio Cesare, dichiarando pubblicamente di accettare l’eredità del padre: fu per questo motivo che, in occasione dell’udienza nella quale incontrò Antonio, chiese che gli venissero restituiti, almeno in parte, i denari consegnati ad Antonio dalla moglie di Cesare, Calpurnia, subito dopo la morte del dittatore, con i quali si sarebbero dovuti pagare i 300 sesterzi a testa che Cesare aveva lasciato nel suo testamento ai cittadini romani. Antonio non dovette preoccuparsi molto di quel giovinetto che gli comparve di fronte e con indifferenza rispose che non avrebbe potuto soddisfare la sua richiesta perché quelli non erano denari privati ma dell’erario. Ottaviano decise allora, impegnando i propri beni, di anticipare al popolo le somme, diffondendo ad arte la voce che Antonio gli impediva di entrare in possesso della sua eredità. La sua popolarità crebbe immediatamente, ottenendo inoltre che molti cesariani si schierarono dalla sua parte contro Antonio, suo diretto avversario nella successione politica a Cesare. Quando il Senato approvò la ratifica del testamento, riconoscendo ad Ottaviano lo status di erede legittimo e soprattutto padrone del patrimonio di Giulio Cesare, Ottaviano fu in grado di reclutare un esercito privato di circa 3.000 veterani di Cesare e comprò 2 legioni dell’esercito macedonico del console (la Martia e la IV). L’occasione di scontrarsi con Antonio avvenne quando il Senato inviò i due consoli del 43 a.C., Gaio Vibio Pansa ed Aulo Irzio, a sostegno di Decimo Bruto, uno dei capi dei cesaricidi, assediato da Antonio che voleva impadronirsi delle truppe della Gallia Cisalpina. Il 21 aprile Antonio venne sconfitto nella battaglia di Modena, nella quale rimasero uccisi anche i due consoli, cosicché Ottaviano ne uscì unico vincitore. Tornato a Roma con l’esercito, questi, malgrado la giovane età, si fece eleggere consul suffectus (ossia console in sostituzione) assieme a Quinto Pedio, ottenendo compensi per i suoi legionari e facendo approvare dal Senato la Lex Pedia contro i cesaricidi. In tal modo i consoli poterono rifiutarsi di portare ulteriore soccorso a Decimo Bruto, che, in fuga, venne infine ucciso nella Cisalpina da un capo Gallo fedele ad Antonio. Dalla sua nuova posizione di forza, divenuto legalmente a capo dello Stato romano, Ottaviano prese contatti con il principale sostenitore di Antonio, il pontefice massimo Marco Emilio Lepido, già magister equitum di Cesare, con l’intenzione di ricomporre i dissidi interni alla fazione cesariana. Ottaviano, Antonio e Lepido organizzarono un incontro nei pressi di Bologna, dal quale nacque un accordo della durata di cinque anni: si trattava del secondo triumvirato, riconosciuto legalmente dal Senato il 27 novembre di quello stesso anno con la Lex Titia, con la quale veniva creata la speciale magistratura dei Triumviri rei publicae constituendae consulari potestate, ovvero “Triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare”. Il patto prevedeva la divisione dei territori romani: ad Ottaviano toccarono Sicilia, Sardegna ed Africa, ad Antonio le due Gallie, a Lepido la Spagna e la Narbonense. La decisione più drastica fu quella di eliminare fisicamente gli oppositori di Cesare, che portò alla confisca dei beni ed all’uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso Cicerone, che pagò in tal modo le Filippiche rivolte contro Antonio. Nell’ottobre del 42 a.C. Antonio ed Ottaviano, lasciato Lepido al governo di Roma, si scontrarono con i cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino e li sconfissero in due battaglie a Filippi, nella Macedonia orientale: i due anticesariani trovarono la morte suicidandosi. Ottaviano, Antonio e Lepido procedettero ad una nuova spartizione delle province: a Lepido furono lasciate la Numidia e l’Africa proconsolaris, ad Antonio la Gallia, la Transpadania e l’Oriente romano, ad Ottaviano spettarono l’Italia, la Sicilia, l’Iberia, la Sardegna e la Corsica. Al fine di allearsi con Sesto Pompeo, prefetto della flotta romana, Ottaviano sposò Scribonia, parente dello stesso Sesto: da questa donna Ottaviano ebbe la sua unica figlia, Giulia. Nell’estate del 40 a.C. Ottaviano ed Antonio giunsero ad aperte ostilità: Antonio cercò di sbarcare a Brindisi con l’aiuto di Sesto Pompeo, ma la città gli chiuse le porte. I soldati di ambedue le fazioni si rifiutarono di combattere ed i triumviri, pertanto, misero da parte le discordie. Con il trattato di Brindisi (settembre del 40 a.C.) si venne ad una nuova divisione delle province: ad Antonio restò l’Oriente romano da Scutari, compresa la Macedonia, e l’Acaia (ovvero l’antica Grecia), ad Ottaviano l’Occidente compreso l’Illirico, a Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l’Africa e la Numidia; a Sesto Pompeo la Sicilia. Il patto fu sancito con il matrimonio tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, Ottavia minore. Dopo il trattato di Brindisi, Ottaviano ruppe l’alleanza con Sesto Pompeo, ripudiò Scribonia e sposò Livia Drusilla, madre di Tiberio ed in attesa di un secondo figlio. Nel 39 a.C., a Miseno, Ottaviano assegnò a Sesto Pompeo le province di Sardegna e Corsica, fondando la città di Turris Libisonis (odierna Porto Torres) e promettendogli l’Acaia, ottenendo in cambio la ripresa dei rifornimenti a Roma (Pompeo con la sua flotta bloccava infatti le navi provenienti dal Mediterraneo). Nel 38 a.C. Ottaviano accettò di incontrarsi a Brindisi con Antonio e Lepido per rinnovare il patto di alleanza per altri cinque anni. Nel 36 a.C., grazie all’amico e generale Marco Vipsanio Agrippa, Ottaviano riuscì a liberarsi finalmente di Sesto Pompeo, divenuto un alleato scomodo, sconfiggendolo definitivamente presso Mileto, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio. La Sicilia cadde e Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove poco dopo fu assassinato dai sicari di Antonio. A quel punto, però, Ottaviano dovette far fronte alle ambizioni di Lepido, il quale, aspirando alla Sicilia rimasta libera, ruppe il patto di alleanza e mosse per impossessarsene. Sconfitto però rapidamente, dopo che i suoi soldati lo abbandonarono passando dalla parte di Ottaviano, Lepido fu confinato al Circeo, pur conservando la carica pubblica di pontifex maximus. Con l’eliminazione graduale di tutti i contendenti nell’arco di 6 anni, da Bruto e Cassio, a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione vide a questo punto due soli contendenti: Ottaviano in Occidente ed Antonio in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due triumviri, ciascuno troppo ingombrante per l’altro. Alla sua scadenza, nel 33 a.C., il triumvirato non venne rinnovato e, cosa ben più grave, Antonio ripudiò la sorella di Ottaviano con un affronto per quest’ultimo intollerabile. Il conflitto divenne inevitabile. Mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d’Egitto ed ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare. Ottaviano ebbe vita facile ad evidenziare l’atto come un’offesa irreparabile nei confronti di Roma ed a far sì che il Senato dichiarasse guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C.
Antonio e Cleopatra furono sconfitti nella battaglia di Azio, il 2 settembre del 31 a.C., e l’anno successivo, in Egitto, si suicidarono entrambi (nell’immagine 1, “Cleopatra davanti ad Antonio”, opera del Guercino del 1640, oggi nella Pinacoteca Capitolina). Dopo Azio, Ottaviano non solo ordinò di uccidere il figlio di Cleopatra, Cesarione, ma decise di annettere l’Egitto (30 a.C.), compiendo l’unificazione dell’intero bacino del Mediterraneo sotto Roma, e facendo di questa nuova acquisizione la prima provincia imperiale, governata da un proprio rappresentante, il prefetto d’Egitto. Ottaviano era divenuto, di fatto, il padrone assoluto dello stato romano, ma fu proprio il modo in cui raggiunse ufficialmente tale obiettivo il suo migliore capolavoro. Senza grandi ostentazioni, ingannò le vecchie oligarchie: fece apparire di voler restaurare la repubblica mentre in realtà rifondava la dittatura, scelse il titolo di princeps, apparentemente più umile di imperator o divus, non chiese magistrature straordinarie, anzi trasferì la res publica dalla propria potestà “all’arbitrio del Senato e del Popolo”, come dichiarò egli stesso. Tale gesto gli valse, nel 27, l’appellativo di Augusto (ovvero sacro, eccelso). Nel 23 a.C. gli fu conferita la tribunicia potestas a vita, la vera base costituzionale del potere imperiale: grazie ad essa infatti controllava tutti gli altri organi di governo di Roma, consoli, pretori, censori, con il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione. Particolarmente significativo fu il diritto di veto, che garantì ad Augusto la facoltà di bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria autorità. Nello stesso anno l’imperium di cui già godeva divenne imperium proconsolare maius et infinitum, in modo da comprendere anche le province senatorie: tutte le forze armate dello stato romano dipendevano ora da lui.
Nel 12 a.C., quando il pontefice massimo Lepido morì, Ottaviano ne prese il titolo divenendo anche il capo religioso di Roma (nella foto 2, “Augusto Pontefice Massimo con il capo velato”, come era abitudine dei sacerdoti romani durante i riti sacri. La statua risale probabilmente proprio al 12 a.C., quando l’imperatore assunse la carica di pontifex maximus, ed oggi si trova al Museo Nazionale Romano di palazzo Massimo alle Terme). Nell’8 a.C. fu emanata la Lex Iulia maiestatis, nella quale per la prima volta comparve il crimine di lesa maestà, ovvero qualunque offesa o minaccia rivolta alla figura dell’imperatore veniva punita con la tortura o con la pena di morte. Nel 2 a.C., anno dell’inaugurazione del Foro di Augusto, gli fu conferito il titolo onorifico di “Padre della Patria” (Pater Patriae). Ottaviano non si fece corrompere però dal potere assoluto che aveva ottenuto, anzi lo sfruttò divenendo un amministratore saggio ed accorto. Attuò riforme radicali: dopo quella agraria, quella fiscale, che alleggeriva l’imposizione sulle colonie, provvide al riassetto urbanistico di Roma e delle province. Promosse leggi che frenavano il diffondersi del celibato ed incoraggiavano la natalità, emanando la Lex Julia de maritandis ordinibus del 18 a.C. e la Lex Papia Poppaea del 9 d.C. Fece di Roma una monumentale città di marmo ed istituì due curatores aedium sacrarum et operum locorumque publicorum per preservare i templi e gli edifici pubblici; aumentò l’approvvigionamento idrico con la costruzione di due nuovi acquedotti e creando un corpo di tre curatores aquarum per l’approvvigionamento idrico; divise la città in 14 regiones per meglio amministrarla ed istituì cinque curatores riparum et alvei Tiberis, per proteggere Roma da eventuali inondazioni del Tevere; curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo necessari alla popolazione della capitale, con la creazione del praefectus annonae e di due praefecti frumenti dandi per somministrare i sussidi; incrementò, infine, il livello di sicurezza cittadina ponendo a salvaguardia dell’Urbe tre nuove prefetture: la praefectura vigilum, affidata ad un prefetto, a capo di sette coorti di vigili per far fronte agli incendi, la praefectura Urbi, affidata ad un prefetto, ai cui ordini erano poste tre cohortes urbanae (di circa 1.000 uomini ciascuna) al fine di mantenere l’ordine pubblico, la Guardia pretoriana (praefectura Praetorii), affidata ad un prefetto a capo di nove coorti, quale guardia personale del Princeps.
Nella foto 3 la statua di “Augusto di Prima Porta”, conservata nei musei Vaticani e conosciuta anche con il nome di “Augusto loricato” (da lorica, la corazza dei legionari). La statua, alta circa 2 metri, fu rinvenuta nella villa di Livia, moglie dell’imperatore, a Prima Porta e raffigura Augusto nel gesto dell’adlocutio, ovvero l’incoraggiamento ai soldati prima della battaglia. L’imperatore indossa la lorica musculata, una corazza in pelle che riproduce i muscoli del petto e che copre una corta tunica militare; i fianchi sono avvolti nel paludamentum, il mantello di solito indossato dai generali quando comandavano l’esercito. Augusto attribuì un salario ed una gratifica di congedo a tutti i soldati dell’esercito imperiale (sia ai legionari che agli ausiliari), assegnò un salario (salaria) per il servizio pubblico per tutti i rappresentanti del Senato, per poi estenderlo gradualmente anche alle magistrature ordinarie. Costituì inoltre il fiscus (ovvero la cassa delle entrate dell’imperatore), accanto al vecchio aerarium, che rimase la cassa principale (affidata dal 23 a.C. a due pretori, non più a due questori). L’imperatore, di fatto, poteva dirigere la politica economica di tutto l’impero ed assicurarsi che le risorse fossero equamente distribuite in modo che le popolazioni sottomesse potessero considerare il governo di Roma una benedizione, non una condanna. Promosse la rinascita economica, del commercio e dell’industria attraverso l’unificazione dell’area mediterranea, debellando completamente la pirateria e migliorando la sicurezza lungo le frontiere ed internamente alle Province. Creò una fitta rete stradale con un ottimo livello di manutenzione, istituendo numerosi curatores viarum per la manutenzione delle strade in Italia e nelle Province, nonché nuovi porti commerciali e nuove attrezzature portuali come moli, banchine, fari; infine, tra il 23 ed il 15 a.C., riordinò il sistema monetario. Quasi a dispetto dell’indole apparentemente pacifica di Augusto, il suo principato fu più travagliato da guerre di quanto non lo siano stati quelli della maggior parte dei suoi successori: soltanto Traiano e Marco Aurelio si trovarono a lottare contemporaneamente su più fronti, al pari di Augusto. Durante il periodo di Ottaviano, infatti, furono coinvolte quasi tutte le frontiere, dall’Oceano settentrionale fino alle rive del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell’Etiopia, in un piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo l’intero bacino del Mediterraneo ed in Europa, con lo spostamento dei confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l’Elba (in sostituzione del Reno). Il periodo di Augusto è considerato uno fra i più importanti e fiorenti periodi della storia della letteratura mondiale per numero di ingegni letterari, dove i princìpi programmatici e politici di Augusto erano appoggiati dalle stesse aspirazioni degli uomini di cultura del tempo. Lo stesso Augusto fu un letterato dalle molteplici capacità: scrisse in prosa ed in versi, dalle tragedie agli epigrammi fino alle opere storiche. Di lui ci rimane il resoconto della sua ascesa al potere (Res Gestae Divi Augusti), nel quale viene messo in evidenza il suo rifiuto di contrastare le regole tradizionali dello stato repubblicano e di assumere poteri arbitrari in modo illegittimo. Numerosi furono gli edifici, le opere pubbliche ed i monumenti celebrativi costruiti o restaurati durante il suo principato: la ristrutturazione della Curia e del Tempio di Giove Ottimo Massimo; la costruzione di un nuovo foro (il Foro di Augusto) accanto al Foro di Giulio Cesare, numerosi nuovi templi (come quelli dedicati ad Apollo ed al padre adottivo, il Divo Giulio, oltre al Pantheon costruito tra il 27 ed il 25 a.C.), il Teatro di Marcello (terminato nell’11 a.C.), le Terme di Agrippa, tre acquedotti (Aqua Julia, Virgo ed Alsietina), la ricostruzione della Basilica Giulia nel 12 d.C., il permesso di costruire il primo anfiteatro in pietra a Statilio Tauro, distrutto nell’incendio del 64, i monumenti celebrativi come l’Ara Pacis, i Rostri apposti nel Foro Romano dopo la vittoria su Antonio nella battaglia di Azio, un Mausoleo, due enormi obelischi egiziani (oggi a piazza di Montecitorio ed a piazza del Popolo). La successione fu una delle più grandi preoccupazioni della vita di Augusto, tanto che per risolvere la questione creò un incredibile intrigo genealogico. Facendo sposare il suo figliastro Tiberio, primogenito di Livia, con la figlia Giulia, questi divenne anche suo genero nonché patrigno dei figli (ma anche suoi nipoti) che Giulia aveva avuto dall’unione con Agrippa, Gaio e Lucio. La morte prematura di questi ultimi fece sì che alla morte di Augusto, avvenuta il 19 agosto del 14 d.C., Tiberio divenne il nuovo imperatore di Roma, dando origine alla dinastia giulio-claudia. Augusto ricevette onori divini e le sue ceneri furono deposte nel Mausoleo a lui dedicato, che ricevette anche quelle dei suoi successori della dinastia giulio-claudia. Secondo l’opera di Svetonio (Le vite dei Cesari), le ultime parole di Augusto furono degne di un grande attore: «Acta est fabula. Plaudite!» («La commedia è finita. Applaudite!»).