Strade Romane

strade romane
Strada delle Gallie – Donnas, Valle d’Aosta

Le strade realizzate dai Romani formarono una rete straordinaria per capillarità ed estensione e sono tuttora la testimonianza concreta della capacità organizzativa ed operativa degli ingegneri romani. Le strade costituiscono forse il più importante e duraturo monumento (insieme agli acquedotti) della romanità: un monumento lungo 53.000 miglia (circa 80.0000 km) per 372 grandi strade realizzate nei territori di 3 continenti: dalla Scozia alla Mesopotamia, dalle rive dell’Atlantico a quelle del Mar Rosso, sulle Alpi e nelle pianure balcaniche, lungo il Reno ed il Danubio, fino ad arrivare alle desolate sabbie del Sahara. Certamente non furono i Romani a costruire per primi grandi strade, visto che ce n’erano di ottime nell’Egitto dei Faraoni o nelle terre dei Persiani: quel che di nuovo fecero i Romani, però, oltre alle novità tecniche ed organizzative, fu di realizzare un vero e proprio sistema stradale, capillare ed organico, abbracciando ogni lembo del vasto impero. Inoltre, a differenza delle strade realizzate in precedenza, quelle romane non erano riservate al servizio dei sovrani per i loro viaggi o per lo spostamento degli eserciti e neanche per scopi commerciali: le strade romane erano pubbliche, aperte a tutti, senza esclusioni o privilegi, libere da pedaggi.

schemma delle strade romane
1 Schema costruttivo delle strade

Certamente agli inizi le grandi strade furono costruite per assolvere a funzioni prettamente strategiche, ovvero per facilitare l’accessibilità ed il controllo dei territori conquistati mediante rapidi spostamenti dell’esercito, o per collegare rapidamente Roma con le sue colonie. L’importanza di un rapido collegamento tra i vari territori divenne in seguito fondamentale per la romanizzazione dei popoli, dalla diffusione del latino come lingua comune all’unificazione spirituale e culturale del vasto impero romano. Lungo le strade, insieme ai soldati, ai mercanti, alla gente di ogni condizione e ceto sociale, circolavano anche le idee, le influenze artistiche, le dottrine filosofiche e religiose, i costumi e le mode. In età repubblicana la costruzione delle strade, la cui competenza primaria spettava al Senato, fu affidata di norma ai consoli ed ai pretori, ovvero a quei magistrati che, forniti della prerogativa speciale definita imperium, esercitavano lo ius publicandi, ovvero la facoltà di espropriare terreni e possedimenti privati per uso pubblico. La gestione delle strade (cura viarum) veniva poi affidata ad appositi funzionari o curatori (curatores viarum). In età imperiale furono direttamente gli imperatori a provvedere alla costruzione delle strade, per poi essere affidate ai curatores, dopo che Augusto istituzionalizzò l’ufficio della cura viarum nell’anno 20 a.C.; le strade di minore importanza nei diversi territori dell’impero erano poste sotto la cura dei governatori delle province.

groma
2 Groma

La costruzione di una strada aveva come priorità assoluta che raggiungesse il più rapidamente possibile la sua meta, ad eccezione delle deviazioni necessarie nel momento in cui la via incontrava centri abitati: in quei casi venivano costruite vie laterali di raccordo che si dipartivano da quella principale ad angolo retto. La tendenza al rettifilo veniva rispettata anche dinanzi a pendenze molto forti, mentre si tendeva a preferire percorsi superiori rispetto al territorio circostante, anche a costo di lunghe deviazioni, sia per avere buona visibilità ed evitare così imboscate, sia per evitare o limitare i danni in caso di forti piogge o alluvioni. Senza ombra di dubbio era la tecnica costruttiva la vera arte: partendo dal presupposto che la strada dovesse durare molto a lungo e con la minima manutenzione, particolare cura era posta alle fondazioni, che venivano scrupolosamente adeguate alla natura del terreno.

dioptra
3 Dioptra

Ridotte all’indispensabile quando il terreno era solido e resistente, di eccezionale robustezza quando era invece fragile ed infido come nel caso di terreni argillosi o paludosi. Ogni strada presentava tre elementi tecnici fondamentali (nell’immagine 1): una massicciata di base, un nucleo intermedio “elastico” ed un rivestimento esterno. La massicciata era uno strato profondo dai 30 ai 60 cm denominato statumen, formato da grosse scaglie di pietra dura ed eventualmente sormontato da un altro strato (rudus) di 25 o 30 cm fatto di pietre più piccole e tenuto compatto con calce e pozzolana. Il nucleo intermedio (nucleus) era uno strato fatto di sabbia e pietrisco (oppure ghiaia o frammenti di coccio e calcinacci), livellato con apposita battitura e con il passaggio di pesanti rulli. Il rivestimento esterno, infine, chiamato agger (o pavimentum), è quello più caratteristico e noto, realizzato con l’impiego di grossi lastroni o basoli poligonali di pietra (silicea o calcarea) affondati in un letto di sabbia e ben connessi tra loro, anche con l’aiuto di pietre più piccole (chiamate zeppe) inserite come raccordo negli spazi più larghi.

chorobates
4 Chorobates

Questo tipo di strade erano chiamate “viae lapidibus stratae”, ovvero pavimentate con pietre, o anche “viae stratae”, ovvero strade pavimentate. Un tipo di pavimentazione più semplice, e quindi più diffuso, era quello ottenuto con l’inghiaiamento della carreggiata: queste strade erano chiamate “viae glarea stratae”, ovvero pavimentate con ghiaia, o “viae glareatae”, strade inghiaiate. Accanto a queste strade ve n’erano alcune che non avevano massicciata e la cui carreggiata era lasciata a fondo naturale, di terra: queste erano chiamate “viae terraneae”. Ugualmente a fondo naturale erano quelle tagliate direttamente nella roccia, opportunamente spianata e levigata. In questo caso sulla pavimentazione venivano praticate scanalature longitudinali a guisa di rotaie per favorire lo scorrimento delle ruote dei carri o solcature trasversali per la presa degli zoccoli degli animali o delle scarpe dei viaggiatori. La carreggiata era normalmente curvata ad arco, con il punto più elevato al centro e pendenze verso i due lati. Ciò impediva il ristagno delle acque e facilitava il deflusso verso i fossi di scolo aperti lateralmente ad una certa distanza. La carreggiata inoltre veniva delimitata su entrambi i lati da un bordo (umbo) o cordone di pietre conficcate verticalmente nel terreno e sporgenti superiormente, spesso fiancheggiati da marciapiedi (margines o crepidines, da crepidae, sandali) di ampiezza varia (circa 60 cm) e a fondo naturale o lastricati.

puente alcantara
5 Puente Alcantara

La larghezza delle strade rispondeva alla necessità di consentire il passaggio contemporaneo di due veicoli. Il valore medio per le grandi strade si attestava tra poco più di 4 e poco meno di 6 metri, con la misura più diffusa di circa 4,10 metri e punte massime, compresi i marciapiedi, di 8-10 metri. Alla progettazione ed alla direzione dei lavori di una strada provvedeva un ingegnere specializzato (architectus), generalmente appartenente al “genio” militare, assistito da vari tecnici come geometri, agrimensori, livellatori.

point saint martin
6 Pont-Saint-Martin

Gli strumenti più utilizzati erano la groma (nell’immagine 2), un antico squadro agrimensorio di origine greca, formato da due bracci uguali imperniati a croce su un’asta da infiggere nel terreno e muniti alle quattro estremità di fili a piombo; la dioptra (nell’immagine 3), una sbarra orizzontale montata su un supporto ad asse verticale, eventualmente anche girevole, con due piastre alle estremità, una delle quali munita di un forellino per l’occhio e l’altra di una finestrina quadrata con una croce di sottili fili per il traguardo; il chorobates (nell’immagine 4), una sorta di grande panca di circa 6 metri di lunghezza sul piano della quale era ricavato un incavo (C) che veniva riempito di acqua, sfruttando quindi il principio della livella ad acqua; ai lati erano appesi 4 fili a piombo (B) e con un un sistema di tacche graduate e due mirini (A), tramite i quali si guardava un bersaglio posto a distanza, veniva calcolata la pendenza del terreno. Nonostante i mezzi e gli strumenti utilizzati, l’esperienza e la grande abilità consentiva agli ingegneri di tracciare strade rigorosamente dritte per decine di chilometri e di riprendere perfettamente un allineamento anche dopo una lunga deviazione. La manodopera era fornita normalmente dall’esercito, così da impegnare i soldati nei periodi di pace, anche se all’occorrenza non disdegnavano manodopera civile, con operai forniti dalle comunità interessate. La tendenza al rettifilo quasi ad ogni costo, come sopra menzionato, piuttosto che aggirare gli ostacoli posti lungo il percorso viario, portò i Romani a cercare soluzioni innovative: fra queste spiccano i ponti, senza dubbio elementi essenziali per le strade, che tuttora costituiscono una documentazione eccezionale, anche in considerazione del fatto che, nonostante i danni subiti nel corso dei secoli, molti sono ancora in piedi.

ponte di augusto
7 Ponte di Augusto

Il tipo di ponte in muratura con il quale i Romani si dimostrarono maestri insuperati fu quello realizzato con una o più arcate gettate su pilastri o pilae. Queste, data la particolare difficoltà di eseguire le opere in acqua, venivano costruite per quanto possibile al di fuori dell’alveo del fiume, allungando in maniera considerevole la luce di un’unica arcata, oppure si alzavano nei punti più favorevoli, senza tenere conto di distanze regolari tra più arcate. Le pilae erano costruite perlopiù con la tecnica dell’opera quadrata, ossia con blocchi parallelepipedi di pietra o in calcestruzzo con paramento laterizio, ed erano sempre piuttosto massicce e grosse, il che diminuiva l’ampiezza degli archi ma costituiva un pericolo per la spinta dell’acqua. L’inconveniente veniva superato con l’apertura di luci o archi sussidiari nelle stesse pile, ad una certa altezza dal fiume, in quanto dovevano servire in caso di piena. Gli archi, che rappresentavano il punto più delicato di tutta l’opera, erano realizzati con l’accostamento di conci lapidei radiali, sagomati in forma di cuneo e perfettamente combacianti tra loro, posti in opera sopra un’armatura (o centina) in legno, che riproduceva la curvatura stabilita e che veniva poggiata su blocchi sporgenti a guisa di mensole alla terminazione delle pile. I ponti erano costruiti, di norma, su un asse rettilineo e perpendicolare al fiume. L’impiego di archi a pieno centro (o appena ribassato) e di notevole altezza per ripararli dalle piene faceva sì che la carreggiata della strada assumesse sul ponte una certa inclinazione, soprattutto alle due imboccature: ciò determinò la caratteristica disposizione “a schiena d’asino”, ovvero con una pendenza e contropendenza in corrispondenza delle due testate del ponte. Oltre ai ponti romani tuttora esistenti a Roma, come ponte Milvioponte Fabricioponte Cestio o ponte Emilio, segnaliamo l’immensa bellezza del ponte Alcantara (nella foto 5), in Spagna, a 6 archi, lungo 194 metri ed alto 71, costruito tra il 104 ed il 106 d.C., il Pont-Saint-Martin (nella foto 6), in Valle d’Aosta, costruito in onore di Traiano alla fine del II secolo a.C., ad una sola arcata, a sesto ribassato, di oltre 30 metri, il ponte di Tiberio a Rimini, sulla via Emilia, del I secolo d.C., il ponte Pietra a Verona, sul fiume Adige, ed infine, seppure parzialmente distrutto, il bellissimo ponte di Augusto (nella foto 7), sul fiume Nera, realizzato nel 27 a.C. sulla via Flaminia.

viadotto di ariccia
8 Viadotto di Ariccia

I Romani furono grandi artefici anche di viadotti, che servivano a mantenere la strada ad una quota sopraelevata nell’attraversamento di avvallamenti o di terreni infossati, oppure ad avviarla gradatamente in salita in prossimità di un’altura. I viadotti romani, a differenza di quelli moderni che risultano simili ai ponti, erano costituiti da giganteschi terrapieni, sostenuti e contenuti da poderosi paramenti murari, talvolta forati alla base da piccoli archi che consentivano il deflusso delle acque. La tecnica costruttiva delle muraglie di contenimento era prevalentemente quella dell’opera poligonale o, più spesso, dell’opera quadrata, a grandi blocchi squadrati di pietra. Magnifico esempio di viadotto è quello sulla via Appia Antica nei pressi di Ariccia (nella foto 8, da non confondersi con il grande ponte che invece è opera ottocentesca). Situato nella valle Ariccia, a sud-ovest della cittadina, ed eccezionalmente ben conservato, è databile al II secolo a.C. (seppure con restauri successivi) e si estende per poco più di 230 metri, innalzandosi fino ad un’altezza di 13 metri. Il viadotto è costruito con un nucleo di cementizio ed un paramento di opera quadrata con filari di blocchi di peperino che si alternano per testa e per taglio: in vari punti è munito di archi di sfogo o di transito, il maggiore dei quali ha una luce di 4,65 metri. Assai più raramente i Romani ricorrevano alle gallerie, salvo i casi che questa rappresentasse di gran lunga la soluzione più vantaggiosa per risolvere problemi di percorso.

galleria del furlo
9 Galleria del Furlo

Eccezionale dimostrazione è rappresentata dalla galleria del Furlo (nella foto 9), presso Fossombrone, nelle Marche, che consentiva alla via Flaminia di superare un ostacolo evitabile soltanto con l’apertura di una lunghissima variante e tutta in zona montagnosa. La galleria fu fatta costruire dall’imperatore Vespasiano tra il 76 ed il 77 d.C. (come dichiara l’iscrizione incisa sulla parete sopra l’ingresso nord-orientale) nel punto più stretto della gola del fiume Metauro ed ha una lunghezza di 38,30 metri, una larghezza massima di 5,47 metri ed un’altezza di 6 metri. Quando occorreva, lo scavo veniva rivestito, alle pareti e sulla volta, con opere murarie in blocchi di tufo o in opera cementizia con cortina e reticolato.
Sin dall’antichità Roma era circondata da un cospicuo numero di strade che la collegavano con i più vicini centri etruschi, come Veio e Caere (Cerveteri), e con i numerosi centri del Lazio latino, dai quali ogni strada prendeva il suo nome: via Veientana e Ceretanavia Ostiensis che conduceva ad Ostia, via Laurentina a Laurentum (cittadina scomparsa nei pressi di Lavinio), via Ardeatina ad Ardea, via Tusculana a Tusculum (vicino Frascati), via Labicana a Labicum (nei pressi di Monte Compatri), via Praenestina a Praeneste (Palestrina), via Tiburtina a Tibur (Tivoli), via Nomentana a Nomentum (Mentana). Facevano eccezione la via Latina, che attraverso la valle del Sacco andava in Campania raggiungendo Casilinum (l’odierna Capua) e la via Salaria, l’antichissimo itinerario del sale che andava nel cuore della Sabina e che nel primo tratto a valle di Roma si chiamava via Campana, sempre a motivo del sale, dato che essa raggiungeva i campi salinarum, ossia le saline esistenti lungo la riva destra del corso finale del Tevere.

mappa delle vie consolari
10 L’Italia delle vie consolari

Soltanto a partire dalla fine del IV secolo a.C. Roma dette inizio alla costruzione di nuove strade di grande comunicazione e di lungo percorso (nell’immagine 10 la cartina dell’Italia con il tracciato delle più importanti vie consolari): la prima fu la via Appia, costruita dal censore Appio Claudio Cieco durante la guerra sannitica e quindi con uno scopo prettamente strategico e militare. Dopo la via Appia fu un susseguirsi di nuove realizzazioni: la via Valeria, realizzata probabilmente dal console Marco Valerio Massimo nel 307 a.C., come prolungamento della via Tiburtina raggiungeva, attraverso l’alta valle dell’Aniene, la colonia di Alba Fucens e poi, attraverso la Marsica, la Conca Peligna e la bassa valle dell’Aterno fino all’Adriatico, dove oggi si trova Pescara. All’Adriatico fu condotta anche la via Salaria, prolungata attraverso la Sabina ed il Piceno, per le successive valli del Tevere, del Velino e del Tronto, passando per Reate ed Asculum (Rieti ed Ascoli), giungeva presso San Benedetto del Tronto a Castrum Truentinum (Porto d’Ascoli). Verso l’Adriatico fu prolungata anche la via Flaminia, costruita da Gaio Flaminio nel 223 a.C. per stabilire un collegamento diretto tra Roma e l’Agro Piceno e Gallico, che raggiungeva il mare a Fanum Fortunae (Fano) da dove, seguendo la costa, proseguiva per Pisaurum (Pesaro) ed Ariminum (Rimini) con un percorso totale di 217 miglia, pari a 121 km circa. Tutta interna, spina dorsale dell’Italia centrale tirrenica, fu la via Cassia che, costruita tra il 156 ed il 125 a.C. probabilmente dal censore Caio Cassio Longino, dopo essersi staccata dalla via Flaminia appena oltre ponte Milvio, attraversava l’intera Etruria per andare fino ad Arretium (Arezzo) e Florentia (Firenze).

via clodia a saturnia
11 Via Clodia a Saturnia

Nel primo tratto, di 10 km circa, coincideva con la via Clodia che, nata per collegare Roma con le colonie di Nepet e Sutrium (Nepi e Sutri) fu poi prolungata fino a Tuscania e quindi a Saturnia (nella foto 11) ed a Rusellae, per andare ad innestarsi infine nella via Aurelia nei pressi di Vetulonia. Tutta costiera era la via Aurelia, aperta probabilmente dal censore Caio Aurelio Cotta nel 241 a.C., fino alla colonia di Cosa (Ansedonia) nel promontorio dell’Argentario. Venne poi prolungata dapprima fino a Vada Volaterrana (Rosignano), quindi, ad opera del censore Marco Emilio Scauro nel 109 a.C. (per questo motivo conosciuta anche come via Aemilia Scauri), per Pisa, Luni e Genova, fino a Vada Sabatia (Vado). Da lì piegava a nord verso l’interno, raggiungendo Aquae Statiellae (Acqui) e Dertona (Tortona). Da Vado invece il percorso costiero era completato dalla via Iulia Augusta, costruita nel 13-12 a.C. da Augusto, per Albingaunum (Albenga) e Albintimilium (Ventimiglia) fino al confine tra l’Italia e la Gallia segnato, sul colle di La Turbie, a breve distanza dal Principato di Monaco, dal grande monumento commemorativo denominato “Trofeo delle Alpi” (nella foto 12).

trofeo delle alpi
12 Trofeo delle Alpi

Nell’Italia meridionale, come naturale proseguimento della via Ostiensis, si trovava la via Severiana, aperta all’inizio del III secolo d.C. dall’imperatore Settimio Severo, che partiva da Portus (Fiumicino) e, seguendo la costa laziale, raggiungeva la via Appia a Terracina; da qui proseguiva, per Sperlonga e Formia, la via Flacca, tracciata probabilmente dal censore Lucio Valerio Flacco nel 184 a.C. Dalla stessa via Appia, a Sinuessa, presso l’odierna Mondragone, si staccava la via Domitiana, costruita dall’imperatore Domiziano nel 95 d.C., che, passando per i territori in parte paludosi del basso Volturno, per Liternum (Cuma) e Pozzuoli raggiungeva Napoli. Sempre dall’Appia, a Capua (Santa Maria Capua Vetere), aveva origine la via Popilia, il grande asse viario costruito dal console Caio Popilio Lena nel 132 a.C., che, attraverso i territori interni della Campania, della Lucania e del Bruzio (l’odierna Calabria), passando per Nola, Eboli, il Vallo di Diano e Sala Consilina raggiungeva l’alta valle del Crati e, per Consentia (Cosenza), proseguiva fino allo Stretto di Messina raggiungendo Reggio. Nell’Italia centrale, oltre alla già citata via Clodia, un’altra strada intermedia era, sul versante adriatico, la via Caecilia, attribuita al console del 117 a.C. Lucio Cecilio Metello, che si staccava dalla via Salaria poco prima di Rieti e, passando per Amiternum presso L’Aquila, ed il Teramano arrivava ad Hatria (Atri) e forse a Castrum Novum (Giulianova). Nell’Italia settentrionale due strade costituivano le nervature alle quali si innestava tutto il resto della rete viaria. La principale era la via Aemilia, costruita dal console del 187 a.C. Marco Emilio Lepido, la quale, partendo da Rimini in prosecuzione della via Flaminia, raggiungeva il Po a Placentia (Piacenza) con un percorso quasi interamente rettilineo di 189 miglia (pari a 280 km), passando per Forum Livii (Forlì), Faventia (Faenza), Forum Cornelii (Imola), Bononia (Bologna), Mutina (Modena), Parma e Rhegium Lepidi (Reggio). L’altra è la via Postumia, opera del console del 148 a.C. Spurio Postumio Albino, che, andando dal Golfo di Genova a quello di Trieste, costituiva un vero e proprio asse longitudinale. La via partiva da Genova e, passando per le valli del Polcevera e dello Scrivia, toccava Libarna (Serravalle), Dertona (Tortona) e Piacenza dove incontrava la via Aemilia. Passato il Po, proseguiva per Cremona, Verona, Vicetia (Vicenza), Ospitergium (Oderzo), Concordia e raggiungeva Aquileia, correndo nella seconda parte del suo lungo tracciato per larghi tratti su aggeri (aggeres) delimitati da fossi. Alla stessa Aquileia arrivavano, lungo il litorale adriatico, altre due strade: la via Popilia, costruita dal console Caio Popilio Lena nel 132 a.C., che iniziava da Rimini e passava per Ravenna, Hatria (Adria) ed Altinum; l’altra era la via Annia, aperta dal pretore del 131 a.C. Tito Annio Rufo, che partiva da Rimini e, attraversato il difficile territorio del delta del Po, passava per Altinum e Iulia Concordia innestandosi nella via Postumia dopo essersi raccordata, a Padova, con la via Aemilia Altinate, costruita nel 175 a.C. da Marco Emilio Lepido, che proveniva da Bologna passando per Ostiglia ed Ateste (Este). Da Aquileia, nodo stradale di importanza straordinaria, partiva anche la via Flavia, costruita da Vespasiano nel 78 d.C., che andava a Tergeste (Trieste) e poi, lungo il versante occidentale dell’Istria, passando per Parentium (Parenzo), Pola, Nesactium (Nesazio) finiva a Tarsatica (Fiume). Sempre da Aquileia altre due strade andavano, attraverso la valle del Frigido, l’una a Emona (Lubiana), l’altra, la via Iulia Augusta, al valico alpino del Monte Croce Carnico, passando attraverso il Friuli per Iuliuma Carnicum, presso l’odierna Zurigo. Ai valichi della Alpi centrali portavano invece altre strade collegate alla via Postumia. La via Claudia Augusta, costruita da Druso Claudio Nerone (o Druso Maggiore) nel 15 a.C. e restaurata dall’imperatore Claudio, suo figlio, nel 47 d.C., andava da Verona a Tridentum (Trento), proseguendo poi, con un ramo, lungo la valle dell’Isarco, fino a Pons Drusi (Bolzano) ed al Brennero, e, con un altro ramo, lungo la Val Venosta, fino al Passo di Resia. Quanto ai valichi alpini occidentali, una via partiva da Cremona, dopo essersi suddivisa in due rami, uno per Laus Pompeia (Lodi), Mediolanum (Milano) e Novaria (Novara), l’altro per Ticinum (Pavia) e la Lomellina, si riunificava a Vercellae (Vercelli), proseguendo verso Eporedia (Ivrea). Da qui iniziava la via delle Gallie, la prima opera pubblica che i Romani realizzarono in Valle d’Aosta, sostituendola ai primitivi sentieri che conducevano al di là delle Alpi. Quest’importante arteria stradale, che solcava il territorio valdostano biforcandosi all’altezza di Augusta Praetoria (Aosta), costituiva un’infrastruttura indispensabile all’espansione militare e politica e rispondeva all’esigenza di efficienti e rapidi collegamenti con la Gallia e la Germania. Da Eporedia la strada romana che attraversava la Bassa Valle procedeva verso Augusta Praetoria tenendo in grande considerazione la conformazione del territorio: la sede stradale, larga fra i 3,5 ed i 5 metri, era stata realizzata ad un livello più alto del corso della Dora, onde evitare i danni derivanti da possibili tracimazioni. Nel tratto fra Donnas e Bard rimangono numerose e significative testimonianze di questa imponente realizzazione: sostruzioni, tagli nella roccia, archi e ponti che testimoniano le grandi capacità tecniche e la perizia costruttiva dei Romani. A Donnas la strada è tagliata nella roccia (nella foto sotto il titolo) per un tratto di 221 metri, con una parete che raggiunge, in alcuni punti, i 12 metri di altezza; gli elementi caratterizzanti, oltre la stessa sede viaria con i solchi lasciati dal passaggio dei carri, sono l’arco, realizzato probabilmente allo scopo di impedire lo sfaldamento della roccia, e la colonna miliare con l’indicazione di XXXVI miglia da Augusta Praetoria. Lungo l’antico tracciato, altre importanti vestigia archeologiche sono il maestoso ponte sul torrente Lys a Pont-Saint-Martin, i resti della strada a Montjovet, le sostruzioni ciclopiche a Bard ed i resti dei ponti di Saint-Vincent e Châtillon. Giunta ad Augusta Praetoria, la via delle Gallie subiva una biforcazione: un segmento usciva dalla Porta Principalis Sinistra e si dirigeva verso l’Alpis Poenina (Gran San Bernardo), l’altro, dalla Porta Decumana per raggiungere l’Alpis Graia (Piccolo San Bernardo). Un’altra strada, invece, partendo da Vado raggiungeva Augusta Taurinorum (Torino) e di qui proseguiva per la valle di Susa (Segusium), raggiungeva il Monginevro (Matrona Mons) e di lì scendeva a Brigantio (Briancon). A Torino giungeva anche la via Fulvia, costruita dal console Marco Fulvio Flacco nel 125 a.C., proveniente da Tortona e che passava per Hasta (Asti) e Forum Livii (presso Alessandria). La Sicilia e la Sardegna, infine, avevano ognuna una rete viaria caratterizzata da una strada costiera unita da trasversali interne: in particolare, in Sicilia, una strada faceva il giro dell’isola partendo da Messina, con il nome di via Valeria (costruita nel 210 a.C. dal console Marco Valerio Levino) sul versante settentrionale e con il nome di via Pompeia sul versante orientale.

rete stradale dell'impero romano
13 Rete stradale nell’Impero Romano

La prima strada costruita dai Romani fuori dall’Italia (nell’immagine 13 la mappa con la rete stradale dell’Impero Romano nel 125 d.C.), intorno al 130 a.C., fu la prosecuzione della via Appia al di là dell’Adriatico, ossia la via Egnatia, che partiva con due tronconi da Dyrrachium (Durazzo) e da Apollonia (presso l’odierna Fieri, in Albania) sulla costa dell’Epiro, si unificava nella valle dello Skumbi e, oltrepassati i Balcani, andava per Edessa e Pella, attraverso tutta la Macedonia, fino a Thessalonica (Salonicco), per essere poi prolungata lungo la costa della Tracia fino ad Hadrianopolis (Edirne), verso l’interno, e fino a Bisanzio sulle rive del Bosforo. Una decina di anni dopo venne aperta, dal console Gneo Domizio Enobarbo, la via Domitia, che dalle Alpi Marittime, attraverso la Provenza, per ArelateNemausus e Narbo Martius (Arles, Nimes e Narbona) andava ai Pirenei, mettendo in comunicazione l’Italia con la Spagna.
Nella Penisola Iberica la via più importante era quella costiera, che in prosecuzione della via Domitia, andava, dapprima con il nome di via Maxima e poi con quello di via Augusta, dai Pirenei a Carthago Nova (Cartagena) passando per Barcino (Barcellona), Tarraco (Tarragona), Saguntum (Sagunto) e Valentia (Valencia).
Da Cartagena un’altra strada, tagliando per l’interno e passando per Corduba (Cordova), raggiungeva l’Atlantico a Gades (Cadice) con un percorso di 980 miglia, pari a poco meno di 1.500 km. A Dertosa (Tortosa) dalla via costiera se ne staccava un’altra che, risalendo la valle dell’Ebro, arrivava all’estremità nord-occidentale della Penisola, a Brigantium (La Coruna), attraversando la regione delle Asturie. Dal capoluogo di questa regione, rinomata per le sue miniere di argento, Asturica Augusta (Astorga), scendeva da nord a sud la via dell’Argento, ossia la via Argentea, che arrivava anch’essa a Cadice, passando per Salmantica (Salamanca), Emerita Augusta (Mérida), Italica e Hispails (Siviglia).
Una lunga strada trasversale fu, infine, costruita da Vespasiano: da Mérida andava a Caesaraugusta (Saragozza), passando per Caesarobriga (Talavera), Toletum (Toledo), Complutum (Alcalà de Henares) e Segontia (Siguenza). La rete stradale delle Gallie era articolata su alcuni grandi nodi, da ognuno dei quali si diramavano itinerari di collegamento tra una città e l’altra e grandi arterie dirette verso i valichi alpini, la valle del Reno ed i porti della Manica. Nodo stradale principale era la capitale della Gallia Celtica, Lugdunum (Lione), attraverso la quale passava il grande asse viario della Gallie costruito da Agrippa nel 19 a.C. e restaurato dall’imperatore Claudio: partendo da Arles, e quindi dalla via Domizia, esso andava da sud a nord risalendo la valle del Rodano e dirigendosi, dopo Lione, verso Durocortorum (Reims). Da lì un ramo proseguiva fino al Canale della Manica che raggiungeva a Gesariacum, poi ribattezzata Bononia (Boulogne), un altro ramo andava ad Augusta Trevirorum (Treviri) e continuava per la Renania che raggiungeva, con due tronchi, a Mogontiacum (Magonza) ed a Colonia Agrippina (Colonia). In Britannia, che si apriva sulla Manica con il porto di Dubrae (Dover), punto di partenza del sistema stradale romano fu Londinium (Londra). Da qui una fitta rete di vie si diramava in tutte le direzioni, mentre un grande asse sud-nord, passando per Lindum (Lincoln) ed Eburacum (York), giungeva fino alle opere difensive lungo il confine con la Scozia: i famosi “valli” di Adriano e di Antonino Pio e quel forte di Pinnata Castra (Inchtuthil), nel cuore della regione scozzese, che fu in assoluto il punto più settentrionale dell’intera rete stradale romana. In Germania, dove arrivavano le strade provenienti dalla Gallia, di vitale importanza era il sistema viario del limes, la linea fortificata del confine, imperniato sulla lunga strada che seguiva la riva sinistra del Reno fino alla sua foce nel Mare del Nord. La “via del Reno” aveva inizio dal valico alpino dello Spluga e, raggiunto il grande fiume a Curia (Coira), lo affiancava passando per Brigantium (Bregenz) e la sponda meridionale del suo lago, Vindonissa (Windisch) ed Augusta Raurica (odierna Augst, presso Basilea). Da lì proseguiva toccando Argentorate (Strasburgo), Magonza, Confluentia (Coblenza), Rigomagus (Remagen), Bonna (Bonn), Colonia, Novaesium (Neuss), Vetera (Xanthen), Traiectum (Utrecht) ed infine Lugdunum Batavorum (Leida).
Nelle province a nord e ad est delle Alpi (RetiaNoricumPannonia, corrispondenti alle odierne Svizzera, Baviera, Austria ed Ungheria) le strade principali, tra loro variamente raccordate, partivano anch’esse dai valichi alpini, in prosecuzione di quelle che vi giungevano dall’Italia, e si dirigevano verso il Danubio, l’altro grande fiume che, come il Reno, costituiva uno dei più lunghi ed importanti confini dell’impero. Se si pensa che entrambi i fiumi erano costantemente seguiti per l’intero loro corso da una strada romana, si può concludere che un’unica via, lunga 18.000 miglia (ossia quasi 27.000 km) andava dall’Olanda alla Romania collegando il Mare del Nord al Mar Nero. Una strada, partendo dal Brennero, arrivava ad Augusta Vindelicorum (Augsburg) passando per Innsbruck (il cui nome, tradotto dal latino Aeni Pons, ricorda ancora l’antico ponte sul fiume Aenus, l’odierno Inn) e Parthanum (Partenkirchen). Un’altra, dal passo alpino di Monte Croce Carnico, andava a Lauriacum (Lorch) e con una sua diramazione raggiungeva Virunum (presso Klagenfurt). La “via del Danubio” correva sulla riva destra del fiume, da Castra Regina (Ratisbona) raggiungeva Vindobona (Vienna), Carnuntum (Petronell) e Aquincum (Budapest) dove arrivava anche la via delle Alpi Giulie che passava per Lubiana e dava luogo alle due grandi arterie balcaniche che, lungo le valli della Drava e della Sava, raggiungevano il Danubio, rispettivamente a Sirmium (Mitrovitza) ed a Singidunum (Belgrado). La via danubiana continuava attraverso la provincia della Moesia (tra le odierne Serbia e Bulgaria) toccando Viminacium (Kostolac), Ratiaria (Arcar) e Oescus (presso l’odierna Ghighen) fino al delta del fiume. Lungo questa via ancora esiste, pur dopo distruzioni ed alterazioni, la documentazione di una delle imprese più spettacolari dell’ingegneria stradale romana.

tabula traiana
14 Tabula Traiana

Alle cosiddette Porte di Ferro, presso Turnu Severin (l’antica Drobetae), al confine serbo-romeno, la via fu per un lungo tratto completamente tagliata nella roccia, ad un altezza di oltre 3 metri sulle acque del fiume, sopra le quali sporgeva nel vuoto per quasi un metro, passando su un tavolato appoggiato a robuste travi di legno incassate in lunghi fori praticati nella parete rocciosa e sulla quale venne incisa la Tabula Traiana (nella foto 14), oggi spostata una ventina di metri più in alto per metterla al riparo dalla crescita dell’acqua dovuta ad una grande diga. L’epigrafe è incisa su un piano verticale intagliato nella stessa roccia, su una lunghezza di 3,20 metri ed un’altezza di 1,80 metri, ornata con due delfini alati, rose a sei petali ed un’aquila dalle ali spiegate. La tavola è protetta da una sorta di tettoia in forma di frontone recante l’iscrizione moderna in rilievo “TABULA TRAIANA”. Il testo dell’iscrizione, in parte corrotto dal tempo, si sviluppa su sei righe e così recita: “IMP(ERATOR) CAESAR DIVI NERVAE F NERVA TRAIANVS AUG(USTUS) GERM(ANICUS) PONTIF(EX) MAXIMVS TRIB(UNICIA) POT(ESTATE) IIII PATER PATRIAE CO(N)S(UL) III MONTIBVS EXCISI(S) ANCO(NI)BVS SVBLAT(I)S VIA(M R)E(FECIT)”, ovvero “L’imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto, figlio del divo Nerva, vincitore dei Germani, Pontefice Massimo, quattro volte investito della potestà tribunizia, Padre della Patria, Console per la terza volta, scavando montagne e sollevando travi di legno, questa strada ricostruì”. Della strada, inghiottita dal Danubio dopo la costruzione della diga nel 1973, nulla è più visibile, ad eccezione di qualche tratto. Qualche chilometro più a valle delle Porte di Ferro sorgeva il grande ponte, fatto costruire per Traiano da Apollodoro di Damasco, che univa la provincia della Moesia a quella della Dacia (Romania) e sul quale passava la principale strada della Dacia che giungeva alla base romana più avanzata di questa parte dell’impero, la fortezza di Caput Stenarum, ai piedi dei Carpazi. Questa le descrizione del ponte che ne fece Cassio Dione Cocceiano: “…ci sono altre opere per le quali (Traiano) si distinse, ma questa le sorpassò tutte. Il ponte poggia su 20 pilastri in pietra quadrangolare di 150 piedi di altezza escluse le fondamenta e di 60 di larghezza. Questi (piloni) sono distanti 170 piedi l’uno dall’altro e sono collegati da archi”. La struttura era lunga 1,135 km, in un punto in cui il Danubio è largo 800 metri: l’altezza sul pelo dell’acqua raggiungeva i 19 metri e la larghezza del passaggio era di 15 metri.

resti del ponte di traiano
15 Resti del Ponte di Traiano

A ciascuna delle estremità, intorno ai due ingressi, era posto un castrum, di modo che l’attraversamento del ponte fosse possibile solo passando attraverso le fortificazioni: nella foto 15 i pochi resti dei piloni del ponte sulla sponda romena. Ricordiamo che talmente eccezionale fu l’opera che una sua raffigurazione si trova anche in uno dei rilievi della Colonna Traiana. Sempre nella Penisola balcanica un’altra strada importante era quella che partiva da Sirmium e con due tronchi andava da una parte a Bisanzio, passando per Maissus (Nis), Serdica (Sofia) e Philippopolis (Plovdiv); dall’altra, a Salonicco, dove incrociava la via Egnazia, dopo la quale proseguiva verso sud attraverso la Tessaglia e la Beozia fino a raggiungere Corinto. Alla stessa Corinto e ad Atene giungeva anche la lunga via litoranea che dall’Istria scendeva per tutta la costa della Dalmazia e continuava lungo la costa dell’Epiro e dei Golfi di Patrasso e di Corinto.
Nelle province della parte asiatica dell’impero, dalla Penisola anatolica alla Siria, la rete stradale romana non fece che sovrapporsi a quella già evoluta creata dall’impero persiano e dai regni ellenistici. Una grande strada, che riprendeva la via regia dei Persiani in partenza da Susa, attraversava l’Anatolia e, passando per Ancyra (Ankara), arrivava ad Efeso sul Mar Egeo. Qui passava la via costiera che, provenendo da Pergamo e Smirne, proseguiva per Alicarnasso, Antalya e Tarso fino ad Antiochia. Un’altra litoranea correva lungo la costa del Mar Nero fino a Trapezus (Trebisonda). In Siria ed in Arabia importanti nodi stradali furono le città carovaniere di Palmira, Apamea, Damasco e Petra. Una lunga ed importante via costiera in partenza da Antiochia univa l’Asia all’Africa, raggiungendo il delta del Nilo e Pelusium (presso l’odierna Porto Said) dopo essere passata per gli antichi porti fenici di Tiro e Sidone, per Caesarea e Gaza in Palestina ed attraverso la penisola del Sinai. In Egitto, oltre alle antichissime vie che risalivano il Nilo, ebbero grande rilievo quelle che conducevano ai porti del Mar Rosso (come Myus Hormus) che facevano da terminali delle carovaniere provenienti dalla Penisola arabica, dall’Etiopia e dal Corno d’Africa. Da Alessandria, poi, partiva l’ennesima grande via litoranea che per 3.500 km percorreva tutta l’Africa settentrionale arrivando fino a Tingis (Tangeri) ed a Sala (Rabat), in Marocco e sull’Oceano Atlantico, dopo aver toccato Cirene, Leptis MagnaOea (Tripoli), Sabratha, Tacape (Gabes), Hadrumetum (Sussa), Cartagine, Ippona e Caesarea (Cherchell). A questa arteria facevano capo, specie nel settore centrale, le carovaniere che andavano verso l’entroterra libico, come a Cydamus (Ghadames), dove arrivavano le piste provenienti dall’Africa nera attraverso il Sahara. Da Tangeri, infine, attraverso lo Stretto di Gibilterra (le leggendarie Colonne d’Ercole), la litoranea dell’Africa andava a raccordarsi con la via Augusta della Spagna, chiudendo così il cerchio attorno al Mediterraneo.