L’Itinerario sull’Appia Antica che ci apprestiamo a percorrere insieme, oltre ad essere un romantico pellegrinaggio nel passato, è anche l’unico modo per conoscere direttamente e compiutamente il suburbio di Roma antica, altrove praticamente scomparso. Questo itinerario nasce con la volontà di incentivare una visita a questa strada magnifica e, contemporaneamente, di aiutare a riconoscere i tanti monumenti che si incontrano. L’elemento certamente preminente è il monumento funerario, sia che si tratti di sepolcro monumentale, individuale o di famiglia, sia che si tratti di tomba collettiva, sia che abbia la forma e l’aspetto della camera ipogea, della torre cilindrica o del tempietto.
L’inizio della via, presso il lato curvo del Circo Massimo, era a porta Capena, che faceva parte delle antiche Mura Serviane: da qui si iniziavano a contare le miglia. Il primo monumento che incontriamo è situato in quel tratto di strada che, dopo la costruzione delle Mura Aureliane nella seconda metà del III secolo d.C., divenne urbano:
il celebre Sepolcro degli Scipioni.
I primi ritrovamenti risalgono al 1616 ed al 1780 ma soltanto nel 1926 il Comune procedette ad un restauro integrale del monumento. Il sepolcro costituisce un prezioso documento dell’uso arcaico di deporre i morti in tombe di famiglia scavate nei banchi di tufo ed era costituito da una monumentale facciata formata da un alto basamento coronato da una grossa cornice modanata e sormontato da un prospetto tripartito, scandito da sei semicolonne inquadranti tre nicchie nelle quali dovevano trovarsi le statue del poeta Ennio, di Scipione Africano e di Scipione Asiatico. Il basamento era decorato con pitture probabilmente riguardanti scene storiche di soggetto militare. Nello stesso basamento si aprivano tre porte ad arco: una cieca, verso l’angolo di sinistra, distrutta da una calcara medioevale, una al centro, più grande, che immetteva nella parte più antica del sepolcro ed una a destra, per l’accesso alla parte più recente. L’interno del sepolcro è formato da un grande ambiente pressoché quadrato e con al centro quattro grossi pilastri. Lungo le pareti ed intorno ai pilastri, spesso entro vani appositamente scavati, erano sistemati sarcofagi di tufo: da ricostruzioni se ne deduce che dovevano essere almeno una trentina. Affiancato a questo primo ambiente, sulla destra, si trova il secondo, quello più recente dell’ampliamento, più piccolo e modesto, formato in sostanza da un unico braccio di galleria: qui furono sistemati, all’inizio dell’età imperiale, alcune tombe di membri della famiglia dei Corneli Lentuli, divenuti eredi degli Scipioni dopo la loro estinzione. Il fondatore della tomba si può identificare in Lucio Cornelio Barbato, console nel 298 a.C., considerata la posizione dominante che occupava il sarcofago di Barbato (oggi sostituito da una copia perché l’originale, con tutte le iscrizioni, è conservato nei Musei Vaticani): ciò ci permette di determinare la data della tomba all’inizio del III secolo a.C. Al di sopra del sepolcro si insediò, nel corso del III secolo d.C., una casa di abitazione a più piani: evidentemente già da quegli anni l’importanza del sepolcro, e forse anche il suo ricordo, erano perduti.
Subito dopo porta S.Sebastiano la strada raggiunge il suo I miglio, segnalato dalla colonna miliaria inserita nel muro.
Appena oltrepassata la Marrana della Caffarella, accanto al numero civico 41, sul lato sinistro della strada, si erge un sepolcro di epoca imperiale conosciuto come Sepolcro di Geta, figlio minore di Settimio Severo ed ucciso dal fratello Caracalla.
È un mausoleo di tipo a torre, originariamente rivestito con blocchi di marmo bianco ed a più piani sovrapposti e decrescenti verso l’alto: oggi ciò che rimane del mausoleo è un nucleo in calcestruzzo sormontato da una casetta di piccole dimensioni risalente al 1500.
Più avanti, sempre sulla sinistra, si trova la chiesetta del “Domine, Quo Vadis?“.
Sul lato opposto della strada, subito prima del bivio con la via Ardeatina, vi è un’antica osteria che nasconde un grande mausoleo, il Sepolcro di Priscilla.
Quest’ultima era la moglie di Abascanto, potente liberto dell’imperatore Domiziano vissuto nel I secolo d.C., che la volle ricordare con la costruzione di questo sepolcro, dopo la sua scomparsa prematura. Percorso un piccolo vicolo al lato dell’osteria ci appare un basamento quadrato sormontato da un doppio corpo cilindrico. All’interno del basamento si trova la camera funeraria con il soffitto a cupola che ospita quattro nicchie per i sarcofagi, mentre nel corpo cilindrico superiore (sormontato da una torre mozza fatta costruire dai Caetani nel XIII secolo) si trova un’altra camera con dieci nicchie che ospitavano altrettante statue raffiguranti la defunta come una divinità.
Oltre il cancello situato al bivio tra la via Appia e la via Ardeatina si trova l’ingresso alle Catacombe di S.Callisto.
Più avanti, superato il bivio con l’Appia Pignatelli, si trovano le Catacombe di S.Sebastiano.
Di fronte al bivio con via di S.Sebastiano, sulla sinistra della strada, vi sono i resti del Circo di Massenzio.
Da qui possiamo già ammirare, in cima alla salita, la caratteristica mole della Tomba di Cecilia Metella.
Poco dopo l’incrocio con via Cecilia Metella, sulla sinistra, si trova la Torre di Capo di Bove, costruita in calcestruzzo e sulla quale si riconoscono sia alcuni blocchi di travertino che facevano parte del rivestimento, sia gli strati corrispondenti alle diverse fasi di costruzione.
Sulla facciata una targa di marmo così recita: “Nell’anno 1865 Padre Angelo Secchi sulla traccia del P.Boscowich rigorosamente misurava lungo la via Appia una base geodetica e nell’anno 1870 collo stabilire presso i due estremi di essa questo punto trigonometrico e l’altro alle Frattocchie costituiva una base sulla quale fu verificata la rete geodetica italiana ordita nell’anno 1871 dagli ufficiali del Corpo di Stato Maggiore per la misura del grado europeo“.
Da qui in avanti la via assume il caratteristico aspetto che tanto la contraddistingue: una fila quasi ininterrotta di tombe, ad ara, a torre, a dado, a tempietto, a tumulo, nonché i singolari “monumentini”, costruiti da Canova all’inizio dell’Ottocento, per conservare in loco frammenti architettonici, sculture ed iscrizioni disperse nei dintorni.
Sulla sinistra iniziamo con la Tomba del liberto Marco Servilio Quarto, eretta, come dice l’iscrizione, “a sue spese”;
la Tomba di Seneca, a lui attribuita forse perché proprio nella sua villa situata al IV miglio della via Appia fu raggiunto dall’ordine di suicidarsi inviatogli da Nerone;
Sull’altro lato della strada possiamo osservare un Mausoleo con busto di statua acefala (ossia senza testa),
un’iscrizione della famiglia Turania,
ed un calco in gesso (l’originale si trova presso il Museo Nazionale Romano) di una stele funeraria con altorilievo risalente all’età imperiale conosciuta come Rilievo Eroico.
Sul lato sinistro della via, accanto alla Tomba di Seneca, si trova un Mausoleo rotondo su basamento quadrato, dell’inizio dell’Impero, con camera interna coperta a volta e munita di quattro nicchie destinate a contenere sarcofagi;
la Tomba dei figli di Sesto Pompeio Giusto, riconoscibile grazie ad una grande epigrafe in versi. Dalla parete sono stati asportati diversi frammenti archeologici che vi erano murati: restano, oltre all’epigrafe, un frammento di sarcofago bisomo con la raffigurazione dei coniugi. Ai piedi del pilastro vi è stata sistemata una panca con alcuni blocchi di peperino.
Sull’altro lato della strada, oltre il muro di recinzione di una villa, si può osservare il Sepolcro di S.Urbano, del tipo a tempietto con gradinata frontale e pronao colonnato sulla facciata, in opera laterizia della fine del II secolo d.C.: qui vi sarebbe sepolto papa Urbano;
sul lato della strada vi è la Tomba di Caio Licinio, come ricorda l’epigrafe murata sul nucleo in calcestruzzo;
una Tomba dorica, che non ha un’attribuzione perché priva di un’iscrizione; ricostruita dal Canina, è interessante per le decorazioni scolpite sul peperino e si data alla fine dell’età repubblicana. Si tratta di un sepolcro ad ara e presenta al centro un frammento di lastra scolpita che rappresenta forse una scena di combattimento;
la Tomba di Ilario Fusco, dall’epigrafe che qui vi era posta ma scomparsa negli anni ’80; al centro vi è situato un rilievo con cinque ritratti di defunti, un genere abbastanza consueto nei monumenti funerari della fine dell’età repubblicana o dell’inizio dell’Impero;
la Tomba di Tiberio Claudio Secondino, della fine del I secolo d.C., nella quale vi furono posti anche la moglie ed i figli;
la Tomba di Quinto Apuleio, dove si può notare un pezzo dell’iscrizione ed un frammento di lacunare fiorito in travertino pertinente ad un soffitto;
un Sepolcro a tempietto, caratteristico del II secolo d.C.: il podio al di sotto era cavo e vi si potevano collocare i sarcofagi, mentre sulla camera sopraelevata della facciata, alla quale si accedeva tramite una scalinata, si celebravano i riti relativi alla sepoltura. La costruzione è interamente in laterizio e presenta una decorazione in cotto con paraste, timpano su mensole e capitelli;
la Tomba dei Rabiri, due liberti della “gens Rabiria“, come si vede dall’iscrizione. Il ritratto è probabilmente della fine del I secolo a.C. ma successivamente, forse nel I secolo d.C., alla parte centrale viene aggiunto il ritratto di un altro personaggio, Ursia Prima, che si definisce sacerdotessa di Iside;
segue un Sepolcro a Torre, un nucleo in calcestruzzo costituito da vari blocchi decrescenti sovrapposti e con porta ad arco;
la Tomba dei Festoni, del tipo ad ara, ornato da un fregio in rilievo in peperino che mostra dei putti che sorreggono dei festoni, probabilmente di età repubblicana;
una Tomba in forma di edicola detta del Frontespizio: si tratta di una torre ai piedi della quale, su una “quinta” moderna, sono murati un frontoncino marmoreo ornato al centro da una rosetta ed un lungo altorilievo con quattro busti di defunti.
un Sepolcro che molto probabilmente doveva essere una tomba familiare, la cui camera funeraria, di forma rettangolare, ha le pareti traforate da nicchie che contenevano le olle cinerarie, mentre la soglia mostra il prolungamento delle pareti laterali creando una struttura in antis;
Superato l’incrocio con via Erode Attico e via di Tor Carbone, sulla sinistra possiamo notare due Sepolcri a tempietto, del II secolo d.C.;
il primo, a due piani, presenta una facciata sulla quale nell’Ottocento vi furono murati numerosi frammenti marmorei;
il secondo fu trasformato in età medioevale in torre di vedetta, come mostra la tecnica di costruzione a tufelli;
di fronte si trova un Monumento funerario a Torre, in calcestruzzo, ai piedi del quale si trova un’iscrizione dei tre Liberti ebrei della famiglia dei Valerii, L.Valerius Baricha, L.Valerius Zabda e L.Valerius Achiba;
e, a seguire, un Mausoleo rotondo, su basamento quadrato, con sopraelevazione medioevale.
A questo punto si noti la leggera curva che la strada descrive, probabilmente per rispettare “memorie” preesistenti alla sua costruzione, un sacello, un tempio o un altare. In questo punto si riconosce il luogo delle Fossae Cluiliae, una grande fossa che andava trasversalmente alla strada fino alla “via Latina” e che avrebbe segnato il confine tra i territori di Roma e di Albalonga: qui sarebbe avvenuto il celebre combattimento tra gli Orazi ed i Curiazi, ai quali la tradizione attribuisce i monumenti che seguono:
il Sepolcro dei Curiazi, un tumulo di forma circolare che si trova subito dopo sulla destra. La tomba, risalente all’età tardo repubblicana, è costituita da uno zoccolo circolare appena riconoscibile, un nucleo in calcestruzzo, un tumulo di terra ed una torretta in alto, dalla quale si accedeva direttamente alla camera funeraria situata in basso: un sepolcro che, nella struttura, ricorda molto il Mausoleo di Augusto;
i Sepolcri degli Oriazi, in coppia, situati poco più avanti sempre sulla destra, sono due tombe caratterizzate da un cono basso di terra e certamente poco monumentali. Un tumulo è interamente di terra mentre l’altro ha una struttura in calcestruzzo per contenere meglio la terra.
Tra i due tumuli, sulla sinistra, è situato un Sepolcro a piramide, attribuito ai Quintili: il nucleo in calcestruzzo è stato completamente spogliato del rivestimento in blocchi di marmo, compresi quelli della fondazione, così da dare oggi al sepolcro questo caratteristico aspetto di fungo.
Più avanti sulla sinistra vi è una grande villa che si affaccia sulla strada con un grande ninfeo, è la Villa dei Quintili.
Di fronte alla Villa dei Quintili si trova una statua femminile togata che con una mano regge il velo che le copre la testa;
Proseguendo, sulla destra, vi è il Sepolcro di Settimia Galla;
mentre sull’altro lato della strada si trova un Sepolcro a torre, che aveva il solito nucleo in calcestruzzo ed era rivestita in blocchi di peperino: l’ambiente a volta che ricorda un archetto era la camera in cui era collocato il sarcofago, oggi senza più facciata né porta sul retro;
un nucleo in calcestruzzo di un sepolcro con statua acefala (ossia senza testa);
la Tomba dei fasci consolari, appartenuta ad un magistrato e dalla quale sono stati asportati il fregio a rilievo ed i fasci consolari;
Subito dopo Casal Rotondo era collocata la colonnina del VI miglio e poi, sulla sinistra, una torre medievale impostata su un grande mausoleo a tumulo, chiamata Torre Selce. La torre, costruita nel XII secolo, è costruita con una fascia centrale di travertino che crea un contrasto di colori con il peperino, probabilmente per essere visibile anche da grandi distanze.