Piazza Mattei prende nome da Palazzo di Giacomo Mattei che qui si affaccia, il più antico dei cinque edifici che costituiscono la cosiddetta “isola Mattei”, insieme a quelli di Mattei di Giove, Mattei di Paganica e di Alessandro Mattei (ora Caetani).
Il palazzo di Giacomo in realtà è costituito da due edifici (nella foto 1): quello al civico 19 (il portale sulla destra), il più antico, risale alla fine del Quattrocento ed è caratterizzato da un bel portale in marmo bianco con lo stemma Mattei, che immette in uno splendido cortile (nella foto 2) con due ordini di arcate e loggia ed una scalinata di rara bellezza. Il palazzo è ricordato nel 1495 come “casa di Domenico Mattei” ma fu poi ristrutturato a metà del Cinquecento dal nipote Giacomo Mattei che fece realizzare una facciata unica unendo anche l’altro suo edificio, al civico 17 (il portale più grande sulla sinistra), che porta la firma di Nanni di Baccio Bigio e presenta un cortile porticato di colonne in marmo grigio.
La facciata, originariamente affrescata da monocromi di Taddeo Zuccari rappresentanti “Storie di Furio Camillo“, oggi completamente scomparsi, è caratterizzata da una finestra murata (nella foto 3) alla quale è legata una leggenda: si narra che uno dei duchi Mattei, giocatore incallito, una notte perse al gioco un’ingente somma. Il futuro suocero, venuto a conoscenza del fatto, gli rifiutò la mano della figlia. Il duca, ansioso di riscattare l’insulto, invitò nel suo palazzo il suocero ed organizzò un ricevimento fino all’alba. Durante la notte fece realizzare, dinanzi al suo palazzo, una splendida fontana ed il mattino seguente invitò il futuro suocero ad affacciarsi dalla finestra, dicendo: “Ecco cosa è capace di fare in poche ore uno squattrinato Mattei!“. In questo modo riebbe la mano della ragazza ma, in memoria dell’accaduto, fece murare la finestra.
La fontana in oggetto è la bellissima Fontana delle Tartarughe (nella foto in alto sotto il titolo) e la sua storia ebbe inizio nel 1570, quando la Congregazione delle Fonti divulgò l’elenco delle nuove 18 fontane alimentate dall’Acqua Vergine e progettate dall’architetto Giacomo Della Porta: piazza Mattei non era inclusa. Ma il 28 giugno 1581 un documento redatto dai “Diputati sopra le fontane” dava comunicazione della costruzione di una fontana nella piazza Mattei ad opera di Taddeo Landini. Questa decisione si spiega sia con la deviazione delle condutture dell’Acqua Vergine fino alla “piazza delli Matthei” sia con la pressione del nobile Muzio Mattei sulle autorità capitoline, il quale offrì anche di pavimentare a sue spese la piazzetta esistente davanti ai suoi palazzi e di assicurarne la vigilanza e la pulizia. Molto probabilmente ci dovette essere un intervento finanziario diretto dello stesso Mattei se la fontana risultò di una foggia più ricca e con una maggiore prevalenza scultorea nei confronti delle altre fontane del Della Porta, spesso semplici supporti architettonici che si limitavano a far sgorgare pittorescamente l’acqua ed a raccoglierla in un bacile. La fontana delle Tartarughe fu costruita tra il 1581 ed il 1588 dal fiorentino Taddeo Landini su disegno di Giacomo Della Porta. Il progetto originario prevedeva che i quattro efebi, progettati in marmo ma realizzati poi in bronzo dal Landini, che si ergono da quattro conchiglie di marmo africano e che poggiano il piede su altrettanti delfini di bronzo, avrebbero dovuto sospingere altrettanti delfini nel catino superiore di bigio africano, che invece non furono mai posti in opera in questa fontana in quanto si ritiene che la pressione dell’acqua non ne consentisse l’elevazione prevista e così andarono ad ornare la fontana della Terrina, allora situata in Campo de’ Fiori ma che oggi si trova in piazza della Chiesa Nuova.
Le bronzee tartarughe sospinte verso il bordo del catino (nella foto 4), nel quale si raccoglie l’acqua dello zampillo che ricade poi nella vasca sottostante, vennero aggiunte solamente nel 1658 da Gianlorenzo Bernini, durante i lavori di restauro voluti da papa Alessandro VII. Un’iscrizione, suddivisa su quattro cartigli in marmo, posti sui lati della vasca principale, tra le conchiglie, così recita: “ALEXANDER VII RESTAVRAVIT ORNAVITQVE ANNO PONTIFIC IV”, ovvero “Alessandro VII restaurò ed ornò nel quarto anno del suo pontificato (1658)”. Le tartarughe hanno avuto, nei secoli, un carattere piuttosto “vagabondo”, poiché varie volte sono scomparse dalla loro sede ma, fortunatamente, sempre ritrovate: nel 1906, nel 1944, quando toccò ad uno “stracciarolo” (straccivendolo) ritrovarle e consegnarle in Comune, e nel 1981: quelle che vediamo oggi sono soltanto copie mentre quelle originali sono situate nei Musei Capitolini. All’angolo della piazza con via della Reginella, al civico 10, è situato un bel portale arcuato tra lesene, architravato e con la scritta “COSTAGUTI“: si tratta del bel palazzo tuttora appartenente a questa nobile famiglia (oggi Afan de Rivera Costaguti) originaria di Rapallo ma presente a Roma sin dal XVI secolo con i banchieri Ascanio e Prospero. L’edificio prosegue lungo via della Reginella, dove si trova la parte più antica, e prospetta su piazza Costaguti.
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