La via prende il nome dalla chiesa di S.Ambrogio de Maxima (nella foto sopra), edificata, secondo la tradizione, sulle rovine della casa paterna del vescovo patrono di Milano. Una conferma alla tradizione sembra derivare dal “Liber Pontificalis” che la indica come “monasterium S.Mariae quod appellatur Ambrosii“, mentre il Catalogo di Torino la chiama “monasterium S.Mariae de Maxima“. La chiesa ebbe anche altri appellativi: nel secolo XIV era denominata “S.Stefano de Maxima“, poi fu detta anche “S.Maria in Formosa” e nel Catalogo di Pio IV “S.Antonio della Massima“. Sembra ormai opinione comune che il toponimo “de Maxima” sia da mettere in relazione alla Cloaca Maxima, ma la non breve distanza di quest’ultima dalla chiesa lascia più di qualche dubbio sull’esattezza dell’attribuzione. Appare invece più probabile che il toponimo “Maxima” possa derivare dalla “Porticus Maximae“, la lunga strada porticata che ricopriva la “via Tecta” (in latino “tecta” significa “coperta”), con un percorso ripetuto grosso modo dalle odierne vie del Portico di Ottavia, di S.Maria del Pianto, dei Giubbonari, dei Cappellari, dei Banchi Vecchi e del Banco di S.Spirito, collegando il Teatro di Marcello con il “ponte Elio“: rimasta in uso durante tutto il Medioevo, la strada, nel suo tratto iniziale, transitava quindi nelle immediate vicinanze della chiesa.
Al civico 3 della via è situato il portale del convento (nella foto 1) sopra il quale vi è la scritta “PATERNA S.AMBROSII DOMUS“, ovvero “Casa paterna di S.Ambrogio”, che non può essere una conferma della veridicità della tradizione perché la targa fu apposta dai Benedettini soltanto nel 1861. Una conferma invece potrebbe derivare da un’altra tradizione secondo la quale nel 313 papa Liberio avrebbe qui consacrato monaca la sorella di S.Ambrogio, S.Marcellina, la quale in seguito avrebbe officiato la chiesa insieme ad una sua comunità religiosa. Successivamente la chiesa fu affidata alle Benedettine che vi dimorarono fino al 1860, anno in cui furono espulse per ordine della Santa Sede perché decretavano illecitamente il culto ad una loro consorella, tale Agnese Firrao, ritenuta una mistificatrice: da allora chiesa e convento furono affidati ai Benedettini di Subiaco.
Nel XVII secolo la chiesa fu ricostruita a croce latina ed a navata unica dalla nobildonna Olympia de Torres (come risulta sull’epigrafe che possiamo ammirare nella foto 2) e da suo fratello, il cardinale Ludovico, lavori ai quali sembra abbiano partecipato anche artisti di alto livello come Orazio Torriani, Giovan Battista Mola e Carlo Maderno.
Un primo ingresso è situato al civico 5 della via (nella foto 3), inquadrato dalla bellissima cornice marmorea e dall’epigrafe che ricorda i lavori di ricostruzione sopra menzionati: “MONIALES HUIUS ECCLESIAE B VIRGINI MARIAE AC S.AMBROSIO DE MAXIMA DICATAE ORDINIS S.BENEDICTI LIBERALITATE OLYMPIAE DE TORRES ABBATISSAE EREXERUNT AN DOM MDCXXII“, ovvero “Le monache di questa chiesa della Beata Vergine Maria, detta di S.Ambrogio de Maxima, per l’ordine di S.Benedetto (e) per generosità della badessa Olympia de Torres, eressero nell’Anno del Signore 1622”. Varcato l’ingresso troviamo un secondo cancello in ferro (parzialmente visibile nella foto sotto il titolo) che immette in un cortile sul quale prospetta la facciata della chiesa ed una fontana a parete, costituita da due piccole nicchie laterali ed una più grande centrale, raffigurata con elementi rocciosi a mo’ di grotta, sopra la quale vi è collocata una statua acefala (senza testa) raffigurante una Madonna, adorna ai lati di un motivo a nastro con cascata di fiori. Molto bella la vasca, costituita da un sarcofago che presenta alle estremità due leoni in rilievo.