Le Terme di Caracalla, il più grandioso esempio di grandi terme imperiali, furono costruite dall’imperatore Caracalla (Marco Aurelio Severo Antonino Bassiano) tra il 212 ed il 217 d.C., dal nome del quale presero il nome di “Thermae Antoninianae“. L’alimentazione fu assicurata tramite un ramo speciale dell’Acqua Marcia, l’Aqua Antoniniana, appositamente costruita nel 212 e potenziata con l’aggiunta di una nuova sorgente. Il recinto esterno fu invece opera degli ultimi due imperatori della dinastia dei Severi, Eliogabalo ed Alessandro Severo. Restauri si ebbero poi con Aureliano, Diocleziano e Teodorico. A partire dal 537, in seguito al taglio degli acquedotti ad opera di Vitige, capo dei Goti, le Terme cessarono di funzionare. Nei secoli successivi l’area trascorse periodi di abbandono e di parziale rioccupazione, da cimitero ad abitazione fino a zona agricola, tenuta prevalentemente a vigneto. Sempre in funzione rimase invece lo sfruttamento dei ruderi quale cava di materiali pregiati per il riutilizzo edilizio, come accadde nel XII secolo per la ricostruzione della chiesa di S.Maria in Trastevere. A lungo vi operarono anche le calcare, che trasformavano in calce i marmi antichi. Soltanto dal XV secolo in poi iniziò la trascrizione dei ritrovamenti di maggior pregio mentre nel secolo successivo le rovine furono oggetto di studi e ricerche da parte dei grandi architetti dell’epoca. Nel XIX secolo furono condotte numerose indagini e scavi, che portarono al ritrovamento, nel 1824, di ampi lembi di mosaici pavimentali policromi con 28 figure di atleti, oggi conservati in Vaticano. I primi scavi “documentati” iniziarono nel 1912, altri ne seguirono ma le ricerche in pratica non sono mai terminate. Il grande complesso delle Terme di Caracalla poteva accogliere più di 1.500 persone: nella sua più ampia estensione, recinto compreso, l’edificio misurava m 337 x 328, mentre il corpo centrale m 220 x 114.
Con l’ausilio della piantina 1 possiamo ripercorrere l’itinerario dell’intera struttura. Il recinto esterno era costituito da un portico, del quale non resta praticamente nulla: esso era preceduto da una serie di concamerazioni su due piani, che sostenevano un lato dell’immenso terrapieno artificiale su cui sorgevano le terme. Ai lati vi erano due grandiose esedre (15) che includevano una sala absidata, preceduta da un colonnato e fiancheggiata da due ambienti minori. Sul lato di fondo un’esedra schiacciata (14), a forma di stadio mancante di un lato e munita di gradinate, nascondeva le enormi cisterne che avevano una capacità di ben 80.000 litri. Ai lati dell’esedra erano situate due sale absidate (16) che erano utilizzate come biblioteche. Una passeggiata sopraelevata seguiva il recinto sul lato interno ed era probabilmente porticata, dato che “porticus” era il nome attribuito a questo ambiente. Lo spazio tra il recinto ed il corpo centrale era occupato da giardini (17). Il corpo centrale era accessibile da quattro porte, due che si aprivano sui vestiboli (1) e due direttamente sulle palestre (3). Dal vestibolo (1), che si apriva sulla “natatio” con un portico a quattro colonne, si entrava in un ambiente quadrato (2) denominato “apodyterium“, ossia lo spogliatoio.
Da qui si entrava nella palestra (3) (nella foto 2), al centro della quale un cortile scoperto di m 50 x 20 era concluso sui tre lati da un portico di colonne di giallo antico, coperto a volta e pavimentato in mosaico policromo con motivo a squame (nella foto 3). Sul portico si apriva, su uno dei lati maggiori, un grande ambiente ad emiciclo coperto da una semi-cupola e con nicchie alle pareti, mentre sull’altro era situata una lunga aula tripartita ed absidata al centro. Sul lato minore, quello prossimo all’apodyterium, si affiancavano tre ambienti pavimentati (4) con mosaico bianco e nero ed originariamente coperti con volte a crociera; sull’altro lato minore della palestra il percorso invece proseguiva in una serie di quattro sale (5–6–7–8), di pianta e dimensioni diverse, tutte riscaldate e caratterizzate da piccoli ingressi obliqui, che avevano il compito di evitare la dispersione del calore: nella sala rettangolare con due lati curvi (6) si deve riconoscere il “laconicum” (la sauna).
Da qui si entrava nel “calidarium” (9), una grande sala circolare di 34 metri, con al centro una vasca circolare di acqua calda che serviva ad inumidire l’aria. Questo percorso fin qui descritto poteva essere compiuto anche nell’altra metà dell’edificio, perfettamente identica. Il percorso continuava, non più diviso ma unico, nel “tepidarium” (10), un ambiente più piccolo e temperato, composto da una sala quadrata con due vasche laterali e nicchie alle pareti. Infine, attraverso il grande salone centrale, ossia la basilica (11), il bagno terminava con un tuffo nella “natatio” (13), una piscina all’aperto. La basilica, m 58 x 24, era coperta con volte a crociera poggianti su otto pilastri, fronteggiati in origine da altrettante colonne di granito: al centro dei due ambienti rettangolari (12) comunicanti con le palestre che fiancheggiavano i lati corti della basilica erano probabilmente collocate le due vasche di granito oggi a piazza Farnese. Dal vano con la fontana rotonda, mediante quattro gradini, si scendeva nella “natatio“, un grande ambiente dalle dimensioni pressoché uguali a quelle della basilica, certamente scoperto ed interamente occupato da una piscina di m 50 x 19.
Su uno dei lati lunghi si aprivano due absidi, inquadrate da coppie di colonne di granito: una si trova, dal 1563, nella piazza di Santa Trinita a Firenze (nella foto 4), altre nella chiesa di S.Maria in Trastevere. Sul lato lungo contrapposto, invece, correva una parete rettilinea scandita verticalmente in tre sezioni da gigantesche colonne di granito grigio, mentre orizzontalmente, su due ordini, si aprivano 18 nicchie, 3 inferiori e 3 superiori per ogni sezione, inquadrate da colonnine e destinate ad accogliere statue.
Diverse opere d’arte furono rinvenute nel corso dei secoli, ma particolarmente importanti furono quelle ritrovate nel XVI secolo, sotto il pontificato di Paolo III Farnese, quando, oltre ad alcune statue di Minerva, di Venere, di una vestale e di una baccante, furono riportate alla luce tre gigantesche sculture, il “Supplizio di Dirce” (denominato “Toro Farnese”, nella foto 5), “l’Ercole in riposo” (detto “Ercole Farnese”) e la grande “Flora” (anche questa detta “Farnese”), le quali, neanche a dirlo, andarono a far parte della grande Collezione Farnese ed oggi al Museo Nazionale di Napoli. Tra il 1901 ed il 1912 furono riscoperti anche gran parte dei sotterranei, un lavoro che poi riprese e continuò fino al 1938, quando si scoprì anche il più grande mitreo di Roma, costituito da un vestibolo fiancheggiato da due ambienti di servizio, nel secondo dei quali si può riconoscere la stalla per il toro destinato al sacrificio, seguito da una specie di piccolo atrio e dall’aula principale. Questa, coperta da piccole volte a crociera, presenta i consueti banconi laterali per il banchetto, un pavimento a mosaico bianco, la fossa per la raccolta del sangue del sacrificio, alcune basi per le statue ed una nicchia entro la quale doveva trovarsi un bassorilievo con la scena di “Mitra che uccide il toro”. I sotterranei sono un complesso poderoso, un grande capolavoro dell’ingegneria e dell’architettura romana, costituiti da una serie di ambienti nei quali pulsava la gigantesca distribuzione dei servizi e che costituivano una vera e propria rete stradale sotterranea: gli ampi corridoi permettevano addirittura il passaggio di carri trainati da muli, utilizzati per il carico e lo scarico delle merci, come la biancheria usata, gettata direttamente dai piani superiori attraverso botole; vi erano sistemati anche i forni con gli appositi depositi di fascine e la fitta rete di condutture che guidavano l’acqua calda alle varie vasche e alle fontane.
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Terme di Caracalla di E.Du Pérac