Porta Salaria, così denominata perché attraversata dalla “via Salaria nova“, era ad un solo fornice tra due torri semicircolari e fu demolita nel 1871 dopo essere stata gravemente danneggiata dai cannoneggiamenti del 1870.
La porta, che fa parte delle Mura Aureliane, fu ricostruita nel 1873 dall’architetto Virginio Vespignani (nella foto 1) ma poi fu definitivamente demolita nel 1921 per motivi di viabilità. Nella foto in alto sotto il titolo possiamo vedere il taglio effettuato nelle Mura Aureliane: da qui usciva la “via Salaria nova“, la “via del sale” che, dopo essersi unita con la “via Salaria vetus“, si dirigeva verso la Sabina.
Nel 1871, in occasione della demolizione di Porta Salaria, vennero alla luce alcuni monumenti sepolcrali facenti parte del vasto Sepolcreto Salario (nella foto 2), uno dei più vasti dell’immediato suburbio romano, databile tra l’ultima età repubblicana e la prima età augustea, anche se la sua attività funeraria proseguì per tutto il I secolo d.C. e, parzialmente, anche nel secolo successivo.
La necropoli restituì iscrizioni, lastre, cippi e colombari: in particolare, la torre occidentale inglobava il Sepolcro di Cornelia Vatiena (nella foto 3), come recita l’iscrizione funebre incisa a grandi lettere: “Figlia di Lucio Scipione e moglie di Vatieno”. Del sepolcro, oggi collocato su Corso d’Italia, ad ovest di piazza Fiume ed a ridosso delle Mura Aureliane, si conserva il tamburo cilindrico realizzato in opera cementizia con il rivestimento in travertino ed un merlo del coronamento con rilievi di bucrani.
La torre orientale inglobava invece due monumenti funerari che furono sistemati nell’area situata tra via Piave e via Sulpicio Massimo. Uno di essi, databile alla fine del I secolo a.C., è formato da un ambiente quadrangolare con muratura in blocchi di tufo ornata da lesene e da una cornice. Alla base ha una cornice in calcare, così come di calcare sono realizzate le lesene che ne ornano la superficie. Adiacente a questo vi è un secondo monumento funerario databile alla fine del I secolo d.C. e dedicato al poeta adolescente Quinto Sulpicio Massimo (nella foto 4). Si tratta di un cippo di marmo pentelico alto circa 1,61 metri, coronato da un timpano con acroteri angolari, al centro del quale, entro una nicchia semicircolare, è raffigurato in altorilievo il giovinetto in toga con un “volumen“, in parte svolto, nella mano sinistra. La scritta “DEIS MANIBUS SACRUM” separa la parte superiore da quella inferiore, interamente occupata da un’iscrizione dedicatoria in latino ed in greco, dedicata al giovane poeta dai genitori “infelicissimi” Quinto Sulpicio Euganeo e Licinia Ianuaria. Il fanciullo morì alla tenera età di 11 anni “essendosi indebolito e ammalato per il troppo studio e l’esagerato amore per le Muse”, dopo aver gareggiato con altri 52 poeti alla terza edizione del “Certamen capitolino“, nel 94 d.C., suscitando meraviglia ed ammirazione nei giudici, pur non vincendo. Il poema scritto dal fanciullo è riportato, in greco, ai lati della statua ed ipotizza i rimproveri di Giove ad Apollo, colpevole di aver lasciato condurre il carro del sole al giovane ed inesperto Fetonte. Il cippo originale si trova presso la Centrale Montemartini, secondo polo espositivo dei Musei Capitolini, e quello che oggi possiamo ammirare è soltanto un calco. Alle spalle del sepolcro, infine, possiamo ammirare un edificio medioevale adibito a corpo di guardia, ricavato all’interno delle mura.
Sicuramente degna di nota è la presenza, nella parte alta delle Mura, subito ad est della Porta Salaria, di una sorta di garitta semicilindrica poggiata su due mensoloni di travertino: si tratta dell’unica “necessaria” (ovvero latrine) rimasta delle 260 che un tempo ornavano l’intera cerchia delle Mura Aureliane, giunta fino a noi in ottimo stato di conservazione (nella foto 5).