Il nome di Monte Testaccio (nella foto sopra) deriva dal latino “testa“, ossia coccio, in riferimento al materiale con il quale fu artificialmente costituito, cioè le anfore scartate dal limitrofo insediamento annonario (gli Horrea). La calce è l’unico materiale che tiene insieme i detriti fittili, sui quali la presenza di uno strato di terra ha permesso il consolidamento di vegetazione, e conferisce alla collina stabilità ed aspetto di rilievo naturale. Ha un perimetro di 700 metri circa, un’altezza massima sul piano di 36 metri ed una superficie di circa 22.000 metri quadrati. Le datazioni consolari, insieme a molte altre indicazioni commerciali reperibili sui frammenti, consentono di datare la maggior parte degli scarichi fra il 140 d.C. e la metà circa del III secolo.
I tre quarti dei frammenti sono anfore olearie betiche (la Betica fu provincia romana, corrispondente all’attuale Andalusia), mentre i rimanenti frammenti sono anfore olearie africane: nella foto 1 possiamo notare i frammenti sovrapposti l’uno sull’altro, a formare quasi un muro, visibili da Via Galvani, in prossimità dell’incrocio con Via Nicola Zabaglia.
La storia della croce (nella foto 2) che tuttora domina il monte inizia nel XVII secolo quando il Beato Angelo Paoli commissionò tre croci in legno da collocare sull’altura di Monte Testaccio ad imitazione del Golgota. Le croci furono date alle fiamme nella notte tra il 29 ed il 30 aprile 1914 e fu così che il 24 maggio 1914 don Luigi Olivares, parroco della chiesa di S.Maria Liberatrice, fece portare in processione sulla sommità del monte una nuova croce in ferro.
La croce ereditò il compito di perpetuare la memoria del “Gioco della Passione”, celebrato nel Medioevo durante la Settimana Santa, quando il corteo partiva dalla Casa dei Crescenzi (per questo motivo menzionata nella Pianta di Roma di Giovanni Battista Nolli come “Casa dal Volgo detta di Pilato”), proseguiva per S.Maria in Cosmedin, attraversava l’Arco di S.Lazzaro e si concludeva sul Monte Testaccio, simboleggiante il Calvario, con la crocifissione ed il seppellimento di Cristo. Dal 2010, dopo un lungo periodo di oblio, si è ripresa la tradizionale Via Crucis del Venerdì Santo (nella foto 3 alcuni fedeli) con l’allestimento delle stazioni direttamente sulla sommità del monte.
Nel 1964 e nel 1995 la croce fu restaurata a cura dell’Unione degli Ex-allievi di Don Bosco, come recita la targa posta sul basamento marmoreo: “1914-1964-1995 RESTAURATA A CURA DEGLI EX-ALLIEVI DI DON BOSCO DEL TESTACCIO”.
Ma la memoria del monte e del sito circostante è legata soprattutto alle feste del Carnevale, il “Ludus Testaccie“, documentato per la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e rinnovato ogni anno fino al 1470 circa, allorché Paolo II lo trasferì presso la “Via Lata“. I giochi che vi si svolgevano, assai movimentati e cruenti, consistevano nel lancio di maiali, tori e cinghiali giù dal monte dove i “lusores” se li contendevano per ucciderli con la spada e venirne in possesso. Per il buon funzionamento dei giochi molte città soggette (Tivoli, Velletri, Cori, Terracina) consegnavano annualmente un tributo, inviando a Roma “jocatores” e “lusores“. All’Università degli ebrei erano imposte, invece, le spese generali, consistenti in 1.130 fiorini che versavano alla Camera Apostolica, con l’esonero, però, di prestare la persona soggetta a ignobili lazzi, come il caso, rammentato da un Codice Vaticano, dell’anziano chiuso in una botte chiodata fatta ruzzolare dalla cima del colle. Nel Seicento il monte cambiò volto, e precisamente il 17 ottobre 1670, quando certi Pietro Ottini e Domenico Coppitelli acquistarono 200 canne di terreno intorno al colle per aprirvi “grottini” destinati ad osterie che via via aumentarono di numero. La speculazione privata vi si gettò a capofitto per trasformarlo in un enorme frigorifero, ripostiglio di vini e vivande.
Dalle feste medioevali dei tori e dell’albero della cuccagna si passò al sollazzo bacchico e gastronomico delle Ottobrate romane: nella foto 4 possiamo osservare il versante occidentale del monte che prospetta sul Mattatoio, tuttora animato da numerose attività commerciali.
Dagli inizi del Seicento e fino alla metà del Settecento il Monte Testaccio (nella foto 5 il versante orientale) servì anche, come documenta un’incisione del 1628, come poligono di tiro dei bombardieri di Castel S.Angelo, i quali piazzavano la bombarda sui prati in prossimità della Piramide Cestia puntando a tre quarti di altezza del fianco orientale del monte, dove si riscontra effettivamente un forte avvallamento irregolare. È poco prima del Settecento che appaiono le prime testimonianze di interessamento da parte delle autorità cittadine e di Papa Benedetto XIV a salvaguardare l’integrità del monte come prezioso reperto archeologico, vietando e punendo l’asportazione di terra e cocci, il pascolo ed ogni tipo di degrado. Durante la Seconda Guerra Mondiale vi fu installata anche un’intera batteria antiaerea, smantellata alla fine del conflitto, ma tuttora visibile negli avanzi di quattro piattaforme per cannoni antiaerei.
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